Riconosciuta la retroattività delle disposizioni più favorevoli in caso di adempimento del debito tributario

L’integrale pagamento degli importi dovuti, comprese sanzioni amministrative ed interessi, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, comporta l’applicazione dell’art. 13-bis d.lgs. n. 74/2000, con la riduzione delle pene fino alla metà, senza pene accessorie, anche per i fatti pregressi dove è intervenuta l’apertura del dibattimento di primo grado, in quanto la disposizione in oggetto prevede un trattamento sanzionatorio più favorevole che deve trovare applicazione ex art. 2, comma 4, c.p. e 7 CEDU.

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 37083/18 depositata l’1 agosto, interviene, con la pronuncia in commento, a chiarire la portata retroattiva della disciplina di favore prevista dall’art. 13- bis d.lgs. n. 74/2000 per fatti pregressi, anche nel caso di già intervenuta apertura del dibattimento. A nemico che fugge ponti d’oro. Secondo l’autore latino Frontino, si attribuisce a Scipione l’Africano il noto brocardo Hosti non solum dandam esse viam ad fugiendum, sed etiam muniendam” . Senza dubbio il legislatore del 2015, con le modifiche apportate alla lettera dell’art. 13 e con l’inserimento dell’art. 13- bis d.lgs. n. 74/2000, non solo ha dato una via di fuga all’evasore fiscale che intenda adempiere alle obbligazioni tributarie, ma, in ossequio ai dettami del trionfatore di Zama, ha reso sicura la via di fuga con la previsione, per talune ipotesi delittuose, della non punibilità art. 13 in caso di integrale pagamento di debiti tributari, interessi e sanzioni ed, in altri casi, una riduzione della pena pari alla metà art. 13- bis . È opportuno precisare che l’operatività della causa di esclusione della punibilità è limitata solo a talune fattispecie delittuose quelle connotate da un minore grado di decettività e subordinata al rispetto di precise scansioni temporali ovvero, per taluni reati, alla spontaneità” dell’iniziativa di ravvedimento, che deve intervenire, infatti, prima che sia operato ogni accertamento fiscale o tributario di sorta. La circostanza attenuante, che comporta il dimezzamento della pena, opera, invece, per tutte le fattispecie delittuose previste dal d.lgs. n. 74/2000, ma a condizione che l’adempimento avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. L’importanza dell’adempimento delle obbligazioni tributarie è rafforzata dalla previsione che limita la possibilità di adire il rito alternativo del c.d. patteggiamento” proprio solo in tale caso, cioè allorché ricorra la circostanza attenuante di cui all’art. 13- bis, comma 1. Le questioni derivanti dall’assenza di una disciplina transitoria. Il legislatore del 2015 si è ben guardato dal dettare una disciplina transitoria relativa all’entrata in vigore della nuova normativa e, dunque, delle correlate nuove cause di estinzione del reato e delle nuove circostanze attenuanti, aprendo così il campo alla questione della applicabilità di tali ipotesi ai procedimenti in corso. La soluzione della questione è resa ancor più complessa dal dato che l’operatività di tale fattispecie è subordinata dal legislatore ad un termine che attiene lo stato di avanzamento del processo penale l’integrale adempimento deve avvenire prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Come conciliare la previsione di detto termine decadenziale con il generale principio della retroattività della norma penale più favorevole? La soluzione giurisprudenziale. La pronuncia in commento, operando un’ampia e convincente disamina degli istituti giuridici in questione, anche alla luce dei più recenti e illuminati principi derivanti dalla giurisprudenza europea, offre un’esauriente ed esaustiva risposta al quesito. Gli Ermellini prendono le mosse da una elaborazione giurisprudenziale ormai consolidata, secondo la quale la clausola di non punibilità prevista dall’art. 13 d.lgs. n. 74/2000 in relazione ai delitti di cui agli artt. 10- bis , 10- ter e 10- quater stesso decreto si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 158/2015, anche qualora, in detta data, fosse già stata dichiarata l’apertura del dibattimento. Osserva la Corte che il d.lgs. n. 158/2015, riconoscendo per detti reati, all’integrale adempimento del debito tributario, vera e propria efficacia estintiva della responsabilità penale, rispetto alla semplice circostanza attenuante prevista dalla previgente normativa, eleva la condotta riparatoria a elemento che fa venir meno l’opportunità di ricorrere alla sanzione penale. Ne consegue l’ineluttabilità della sua applicazione anche a quei procedimenti in corso, in cui, alla data di entrata in vigore della novella, fosse già stato dichiarato aperto il dibattimento, ciò in ossequio sia all’art. 2 c.p. che all’art. 7 CEDU. Il campo di operatività della mera circostanza attenuante. Poiché, nel caso oggetto della pronuncia in commento, il ricorrente, condannato nella fase di merito per violazione dell’art. 4 d.lgs. n. 74/2000, aveva dimostrato l’integrale pagamento del debito tributario, ma non anche il ricorso al ravvedimento operoso, osservano gli Ermellini, lo stesso può invocare esclusivamente l’applicazione della circostanza di cui all’art. 13- bis e non anche la causa di non punibilità di cui all’art. 13, che, come noto, richiede anche il ravvedimento operoso. Si pone, dunque, il problema della applicabilità della mera circostanza attenuante ai processi in corso in cui, al momento della entrata in vigore della novella, fosse già stata dichiarata l’apertura del dibattimento. Precisa la Corte che la nuova norma sul trattamento sanzionatorio è sicuramente norma più favorevole la previgente prevedeva la riduzione della pena di solo 1/3 e che quindi anch’essa, per i principi dell’art. 2 c.p., deve trovare applicazione anche a chi ha pagato dopo l’apertura del dibattimento di primo grado, perché la nuova norma, all’epoca dell’apertura del dibattimento, non era in vigore. Sotto il profilo squisitamente tecnico osservano gli Ermellini come, pur essendo la norma che prevede il pagamento prima della apertura del dibattimento di natura apparentemente processuale, in realtà la stessa ha effetti assolutamente sostanziali comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole. Trattandosi di un effetto sostanziale più favorevole – osserva la Corte – soltanto il passaggio in giudicato della sentenza può impedirne la sua applicazione retroattiva e non certo la mera dichiarazione di apertura del dibattimento. A conforto di detta interpretazione vengono richiamati, altresì, i principi affermati dalla Corte EDU nel caso Scoppola contro Italia secondo cui l’art. 7 § 1 della Convenzione prevede non solo il principio della irretroattività della legge penale più severa, ma anche quello della retroattività della legge penale meno severa. Poiché, nel caso di specie, detto principio non era stato osservato dalle Corti di merito, ferma la declaratoria di irrevocabilità dell’accertamento della responsabilità dell’imputato, la pronuncia impugnata viene annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per la doverosa rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 gennaio – 1 agosto 2018, numero 37083 Presidente Cavallo – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. Con sentenza della Corte di appello di Milano, del 9 maggio 2017, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Milano, del 30 aprile 2015, ritenute le circostanze attenuanti generiche prevalenti alla recidiva è stata ridotta la pena a mesi 5 e giorni 10 di reclusione nei confronti di C.E. , relativamente al reato di cui all’art. 4, d.lgs. numero 74/2000, per il periodo di imposta 2008 con la recidiva infraquinquennale. 2. L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, tramite difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. penumero . 2.1. Vizio di motivazione. Il ricorrente ha pagato le tasse a Montecarlo, dove era residente, e ha ritenuto tale comportamento legittimo, quindi doveva in ogni caso essere assolto in applicazione dell’art. 59, cod. penumero . La Corte di appello, invece, con motivazione contraddittoria ed insufficiente, ha ritenuto il ricorrente residente in Italia risultano allegati al ricorso i documenti, relativi alla residenza del ricorrente a omissis . La sentenza poi non motiva sull’applicazione dell’art. 59, cod. penumero Il ricorrente ha comunque regolarmente pagato le rate come da accordo con il fisco, e quindi la Corte di appello ha errato nel ritener escluso l’art. 131 bis, cod. penumero . In ogni caso In considerazione del pagamento, doveva essere concessa l’attenuante dell’art. 62, numero 6, cod. penumero . La Corte di appello ha fatto riferimento alla sola prima parte della norma, e non anche alla seconda. Manca inoltre la prova dell’elemento psicologico del reato. 2.2. Violazione di legge, art. 53, l. 689/1981. La difesa aveva chiesto la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, la Corte di appello ha rigettato il motivo di appello con motivazione solo apparente, contraddittoria ed illogica, disapplicando la norma. 2.3. Violazione di legge, art. 13, e 13 bis, d.lgs. 74/2000. Con i motivi aggiunti il ricorrente, in sede di giudizio di appello, aveva chiesto l’applicazione dell’art. 13, e in subordine del 13 bis, del d.lgs. 74/2000, in considerazione del pagamento del debito tributario come da accordi con l’Agenzia delle entrate. Secondo l’accordo di rateizzazione stabilito con l’agenzia delle entrate il debito tributario è stato estinto, mediante pagamento dell’ultima rata, prima della celebrazione del giudizio di appello, dopo l’entrata in vigore della norma. La legge più favorevole deve essere applicata retroattivamente, come previsto da Cass. sez. 4, numero 11417/2017. Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata. Con successiva memoria il ricorrente ha ribadito la fondatezza del ricorso, anche relativamente alla giurisprudenza ultima della Cassazione, Sez. 3, numero 52640/2017 propone inoltre motivi aggiunti, ovvero, eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 649, cod. proc. penumero per violazione dell’art. 117, comma 1, Costituzione, o, in alternativa, chiede di proporre questione pregiudiziale di interpretazione ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, relativa all’art. 50 CDFUE, alla luce dell’art. 4, prot. 7, CEDU. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato, relativamente al motivo della violazione di legge, art. 13 bis, d.lgs. 74/2000 e dell’art. 53 della legge, 689/1981 infondato nel resto relativamente ai motivi nuovi, presentati con la memoria, deve rilevarsi che gli stessi non sono relativi ai punti dell’originaria impugnazione, e quindi inammissibili In tema di ricorso per cassazione, la presentazione di motivi nuovi è consentita entro i limiti in cui essi investano capi o punti della decisione già enunciati nell’atto originario di gravame, poiché la novità è riferita ai motivi , e quindi alle ragioni che illustrano ed argomentano il gravame su singoli capi o punti della sentenza impugnata, già censurati con il ricorso Sez. 1, numero 40932 del 26/05/2011 - dep. 10/11/2011, Califano e altri, Rv. 25148201 vedi anche, nello stesso senso, Sez. 2, numero 53630 del 17/11/2016 - dep. 16/12/2016, Braidic, Rv. 26898001 . 3. 1. In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. numero 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. numero 158 del 2015 - per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti - è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. numero 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento. In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto ammissibile la rilevabilità della suddetta causa di non punibilità anche nel giudizio di legittimità, rinviando al giudice di merito per la valutazione circa la sussistenza in concreto delle condizioni previste dall’art. 13 del D.Lgs. numero 74 del 2000 . Sez. 3, numero 15237 del 01/02/2017 - dep. 28/03/2017, Volanti, Rv. 26965301 vedi anche Sez. 3, numero 40314 del 30/03/2016 - dep. 28/09/2016, Fregolent, Rv. 26780701 . L’art. 11 del d.lgs. 24 settembre 2015, numero 158, sostituendo il previgente art. 13 d.lgs. 74 del 2000, ha attribuito all’integrale pagamento dei debiti tributari, nel caso dei reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, d.lgs. 74 del 2000, efficacia estintiva, e non più soltanto attenuante. Pur indicando nella dichiarazione di apertura del dibattimento il limite di rilevanza della causa estintiva, nel senso che, per aversi estinzione dei reati, l’integrale pagamento degli importi dovuti deve avvenire prima dell’inizio del giudizio penale, va rilevato però che la diversa natura giuridica e l’efficacia estintiva del reato implica, nei procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. 158/2015, la necessità di una parificazione degli effetti della causa di non punibilità, anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione della dichiarazione di apertura del dibattimento. La trasformazione della fattispecie attenuante in fattispecie estintiva implica che l’integrale pagamento del debito tributario non assuma più rilevanza normativa in termini di minore gravità del reato o di indice della capacità a delinquere del soggetto il riconoscimento di una efficacia estintiva del reato, infatti, va inquadrata nel diverso fenomeno della degradazione dell’illecito penale in ragione di condotte susseguenti al reato, nel caso di specie di carattere restitutorio, che rispondono alla differente logica incentivante e premiale il nuovo istituto, ancorché espressione evidente di esigenze di deflazione del processo penale, costituisce il frutto di una valutazione legislativa sull’opportunità di punire l’autore di un fatto antigiuridico colpevole a fronte di una condotta reintegrativa ex post del bene giuridico leso. In una analisi costituzionale, la condotta restitutoria l’integrale pagamento di debito, interessi e sanzioni assume rilievo nell’esclusione della finalità rieducativa o risocializzante assegnata alla sanzione penale dalla Costituzione art. 27, comma 3, Cost. . La pena astrattamente prevista non ha più ragione di essere applicata allorquando la condotta restitutoria susseguente implichi il venir meno della funzione rieducativa ad essa assegnata. La diversa natura assegnata al pagamento del debito tributario, quale comportamento che non riguarda più soltanto l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, ma la stessa punibilità, comporta che nei procedimenti in corso, anche se sia stato oltrepassato il limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l’imputato debba essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l’efficacia della causa estintiva il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti per situazioni uguali, impone, infatti, di ritenere che, sotto il profilo sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purché prima del giudicato. La preclusione assegnata, in maniera non irragionevole, ad un momento della scansione processuale, non può operare allorquando, in applicazione del principio del favor rei, la più favorevole disciplina - introdotta in pendenza del procedimento, ed allorquando la scansione era stata già superata - debba essere applicata agli imputati che hanno provveduto al pagamento integrale del debito tributario. Né potrebbe obiettarsi che la preclusione era prevista anche in relazione alla precedente fattispecie attenuante, in quanto l’efficacia estintiva ora attribuita al pagamento integrale del debito tributario è diversa e più ampia dell’efficacia attenuante, da essa dipendendo la stessa punibilità, e non solo la misura della pena. L’interesse a provvedere al pagamento dell’intero debito tributario è necessariamente diverso, e più intenso, ove sia collegato ad una efficacia estintiva del reato, anziché ad una efficacia soltanto attenuante quindi, nei soli procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158/2015, deve ritenersi che l’imputato sia nella medesima situazione giuridica che fonda, allorquando non vi sia ancora stata l’apertura del dibattimento, l’efficacia estintiva prevista dalla nuova causa di non punibilità viceversa, si registrerebbe una disparità di trattamento in relazione a situazioni uguali in ordine alla quale sarebbe prospettabile una questione di illegittimità costituzionale. Del resto trattandosi di causa di non punibilità deve trovare piena applicazione l’art. 2, cod. penumero e l’art. 7 della CEDU retroattività della legge più favorevole . 3.2. La norma prevede, quindi, una causa sopravvenuta di non punibilità, ovvero con un comportamento successivo alla commissione del reato nel caso il pagamento integrale , che elimina l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma, il soggetto può beneficiare della non punibilità. Le cause di punibilità sopravvenute implicano un termine entro il quale deve essere tenuto il comportamento del reo è il legislatore che individua il termine relativamente alla fattispecie concreta regolata. La ratio delle cause sopravvenute di non punibilità consiste nell’interesse concreto che ha l’ordinamento ad incentivare comportamenti antagonisti al fatto criminoso il ricorso a tali cause di non punibilità è possibile quando lo stato di sofferenza del bene giuridico è materialmente eliminabile, e quando il legislatore giudichi particolarmente efficace l’intervento antagonistico da parte del’autore del fatto il pagamento, pertanto, è per l’ordinamento un motivo valido - in assoluto - per la causa di non punibilità . Esempi di cause sopravvenute di non punibilità sono la desistenza volontaria art. 56, comma 3, cod. penumero Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso il termine qui è dato dalla non consumazione del reato, non realizzazione dell’evento e la ritrattazione art. 376, cod. proc. penumero Nei casi previsti il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento. Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile il termine qui è dato in relazione agli sviluppi del processo penale e del processo civile . Altra causa sopravvenuta di non punibilità è quella dell’art. 2, comma 1 bis, d. I. 12 settembre 1983, numero 463, il pagamento delle ritenute previdenziali entro tre mesi dalla contestazione o dall’avvenuto accertamento della violazione. Il termine che il legislatore individua può essere riferito, quindi, ad una fase processuale - se necessario, e pratico -, o ad altre evenienze extraprocessuali. Il termine entro il quale deve essere tenuto il comportamento del reo, per l’applicazione della causa sopravvenuta di non punibilità è, però, sempre un termine sostanziale , anche se per praticità inserito all’interno della scansione temporale del processo. Il termine è connaturale alla causa sopravvenuta di non punibilità, non è una evenienza accessoria, ma strutturale essendo causa sopravvenuta alla commissione del reato, e il termine è inoltre incentivante per il reo al comportamento riparatore antagonista . Tutti i termini previsti dalla legge nelle ipotesi di cause sopravvenute di non punibilità ricevono in questo modo una parità di trattamento , per l’applicazione dell’art. 2, cod. penumero e 7, CEDU. Distinguere a tal fine i termini delle cause sopravvenute di non punibilità in processuali se inseriti nella dinamica degli atti del processo e sostanziali se relativi a scadenze non collegate con il processo , sarebbe sicuramente incostituzionale, e contrario alla ragionevolezza, costituirebbe inoltre un’interpretazione non restrittiva della norma penale, a scapito del favor rei - vedi C.edu G.C. Grigoriades V/ Grecia, 25 novembre 1997, § 38 - per la considerazione del termine come processuale, vedi Sez. 3, numero 30139 del 12/04/2017 - dep. 15/06/2017, Fregolent, Rv. 27046401 Nel caso di specie, il requisito normativo secondo cui tale possibilità deve essere esperita prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ha evidentemente natura processuale e non sostanziale. Pertanto, in assenza di disciplina transitoria, opera una preclusione processuale, prevista dalla legge che non contrasta con il principio della retroattività della lex mitior sostanziale. L’art. 13 ha una doppia previsione, una di natura sostanziale - il pagamento del debito che estingue il fatto-reato commesso prima della sua entrata in vigore - e una processuale - il pagamento prima dell’apertura del dibattimento - . Non può ritenersi una causa sopravvenuta di non punibilità parzialmente processuale relativamente al termine entro il quale deve essere tenuto il comportamento del reo , in quanto il termine - come visto - è connaturale e strutturale alla stessa causa di non punibilità, a volte riferito al processo e altre volte a termini extraprocessuali. 4. Nel nostro caso, però, viene in rilevo la previsione del comma 2, dell’art. 13, citato, che prevede la non punibilità se i debiti tributari, comprese sanzioni ed interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali . L’integrale pagamento non è in discussione, anche per la sentenza impugnata, ma quello che rileva è la mancata dimostrazione, in sede di giudizio di merito della presentazione della dichiarazione, anche se in ritardo, o del ravvedimento operoso - ravvedimento nemmeno prospettato -, resta solo il pagamento dopo gli accertamenti. Non può quindi trovare applicazione l’art. 13, comma 2, d.lgs. 74/2000, in quanto non sussiste prova della presentazione della dichiarazione o del ravvedimento operoso. 5. Il pagamento, invece, per il ragionamento sopra svolto relativo all’art. 13, comma 1, è rilevante per l’applicazione dell’art. 13 bis, d.lgs. 74/2000, che prevede nelle ipotesi del pagamento la riduzione delle pene fino alla metà. In precedenza l’art. 13, d.lgs. 74/2000 - nel testo in vigore dal 17 settembre 2011 al 21 ottobre 2015 - prevedeva la diminuizione delle pene fino ad un terzo se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti. È evidentemente una norma nuova sul trattamento sanzionatorio, più favorevole, e quindi per i principi dell’art. 2, cod. penumero deve trovare applicazione anche a chi ha pagato dopo l’apertura del dibattimento di primo grado, perché la norma all’epoca dell’apertura del dibattimento non era in vigore invece la norma all’epoca prevedeva solo la diminuizione di un terzo . Il passaggio dalla riduzione delle pene di un terzo a quella della metà, comporta un sicuro interesse maggiore all’adempimento lo sconto di pena è superiore . Infatti, come esattamente affermato da questa Suprema Corte di Cassazione In tema di giudizio abbreviato, l’art. 442, comma 2, cod. proc. penumero , come novellato dalla legge numero 103 del 2017 nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina - si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. penumero , in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito Sez. 4, numero 832 del 15/12/2017 - dep. 11/01/2018, Del Prete, Rv. 27175201 . È, quindi, solo il passaggio in giudicato della questione che potrebbe impedire l’applicazione della norma più favorevole, non certo l’apertura del dibattimento, di primo grado, prima dell’entrata in vigore della nuova e più premiante normativa. Se così fosse ci sarebbe una disparità di trattamento non giustificata infatti il termine non è processuale, come sopra visto per l’art. 13, d.lgs. 74/2000, ma ha sempre natura e scopo relativa al trattamento sanzionatorio, di diritto sostanziale - vedi sul punto Sez. 1, numero 48757 del 04/12/2012 - dep. 17/12/2012, Aspa, Rv. 25452401 -. Sul punto è illuminante la sentenza Corte EDU, 17/09/2009, Grande Camera, SCOPPOLA contro ITALIA. N. del ricorso, 10249/03, che ha affermato § 108. Agli occhi della Corte, è coerente con il principio della preminenza del diritto, di cui l’articolo 7 costituisce un elemento essenziale, aspettarsi che il giudice di merito applichi ad ogni atto punibile la pena che il legislatore ritiene proporzionata. Infliggere una pena più severa solo perché essa era prevista al momento della perpetrazione del reato si tradurrebbe in una applicazione a svantaggio dell’imputato delle norme che regolano la successione delle leggi penali nel tempo. Ciò equivarrebbe inoltre a ignorare i cambiamenti legislativi favorevoli all’imputato intervenuti prima della sentenza e continuare a infliggere pene che lo Stato e la collettività che esso rappresenta considerano ormai eccessive. La Corte osserva che l’obbligo di applicare, tra molte leggi penali, quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato, si traduce in una chiarificazione delle norme in materia di successione delle leggi penali, il che soddisfa a un altro elemento fondamentale dell’articolo 7, ossia quello della prevedibilità delle sanzioni. § 109. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che sia necessario ritornare sulla giurisprudenza stabilita dalla Commissione nella causa X c. Germania e considerare che l’articolo 7 § 1 della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività della legge penale meno severa. Questo principio si traduce nella norme secondo cui, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato . Non può ignorarsi un tale principio di civiltà giuridica, espresso dalla Corte EDU,17/09/2009, Grande Camera, SCOPPOLA contro ITALIA. Può conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto L’integrale pagamento degli importi dovuti, comprese sanzioni amministrative ed interessi, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie comporta l’applicazione dell’art. 13 bis, d.lgs. 74/2000, con la riduzione delle pene fino alla metà, senza pene accessorie, anche per i fatti pregressi dove è intervenuta l’apertura del dibattimento di primo grado, in quanto la disposizione in oggetto prevede un trattamento sanzionatorio più favorevole che deve trovare applicazione ex art. 2, quarto comma, cod. penumero e 7, CEDU . In considerazione della necessità di accertamenti di merito, relativi all’integrale pagamento anche di sanzioni ed interessi, si rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. 6. Per la richiesta applicazione dell’art. 53, della legge, numero 689/1981 si deve rilevare che la motivazione della sentenza impugnata è manifestamente illogica, e in violazione di legge, in quanto esclude l’applicazione della norma, sulla considerazione che l’entità della sanzione non consente la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria invece la sostituzione della pena detentiva in quella pecuniaria può avvenire, per l’art. 53, citato, nei limiti dei sei mesi di pena detentiva e nel nostro caso la pena detentiva è di mesi 5 e giorni 10 di reclusione . Anche su questo punto, quindi, deve annullarsi con rinvio la decisione impugnata. Ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. penumero si dichiara irrevocabile l’accertamento di responsabilità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione dell’art. 13 bis, d.lgs. 74/2000 e dell’art. 53 della legge numero 689 del 1981 e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara irrevocabile l’accertamento di responsabilità.