La distinzione tra l’espulsione come misura di sicurezza e l’espulsione amministrativa

L’espulsione amministrativa è prevista in tre casi essenziali l’ingresso irregolare dello straniero che, sottrattosi ai controlli di frontiera, non è stato respinto ai sensi dell’art. 10 T.U. n. 286/1998 l’irregolarità di soggiorno, qualora lo straniero non abbia richiesto il relativo permesso, e il caso in cui sia stato accertato che lo straniero appartenga ad una delle categorie di tipica pericolosità di prevenzione.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 37305/18 depositata l’1 agosto. Il caso. Il Tribunale, a seguito dell’arresto di uno straniero, non convalidava la misura precautelare, pur essendo stato lo straniero espulso in esecuzione della misura di sicurezza emessa dal magistrato di sorveglianza e pur avendo fatto ingresso nello Stato senza valido permesso di soggiorno. In particolare, il Tribunale osservava che la normativa in esame non prevedeva un periodo massimo di durata del divieto di reingresso e che quindi si sarebbe dovuto integrare nel caso di specie quanto previsto dall’art. 13, comma 13, d. lgs. n. 286/1998, come caso analogo riguardante il reingresso dello straniero extracomunitario in violazione del provvedimento amministrativo di espulsione. Per queste ragioni il Pm ricorre per la cassazione della sentenza, denunciando che la limitazione della durata massima di reingresso imposta dalla direttiva n. 115/2008 è relativa alle sole espulsioni che risultino in essa regolamentate e che abbiano genesi amministrativa. La distinzione tra le due discipline. La Suprema Corte opera una distinzione tra le misure dell’espulsione cosiddette amministrative e quelle che, al contrario, sono disposte dall’Autorità giudiziaria come misure di sicurezza in senso stretto. Le prime hanno come obiettivo quello di contrastare l’ingresso illegale o l’illecita permanenza del soggetto sul territorio nazionale. Mentre l’Autorità giudiziaria può disporre altri tipi di espulsione, come ad esempio quella prevista dall’art. 235 c.p., disposta dal giudice dopo la condanna, finalizzata al controllo della pericolosità del soggetto che va eseguita dopo l’espiazione della pena. Quindi sul punto occorre effettuare la distinzione tra le misure amministrative volte ad assicurare il controllo della presenza dello straniero sul territorio e l’espulsione come misura di sicurezza, disposta dall’Autorità giudiziaria, che ha la funzione di controllo della pericolosità post delictum . Il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è annullata senza rinvio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 aprile – 1 agosto 2018, n. 37305 Presidente Iasillo – Relatore Cairo Ritenuto in fatto e in diritto 1. Con ordinanza in data 30/12/2017 il Tribunale di Siracusa, in composizione monocratica, a seguito dell’arresto di E.N.R. per il reato di cui all’art. 235 comma 3 cod. pen. non convalidava la misura precautelare. Ciò pur essendo stato costui espulso in esecuzione della misura di sicurezza emessa dal magistrato di sorveglianza di Torino - misura disposta ex art. 86 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 il 14/1/2010 - e pur avendo fatto ingresso nel territorio dello Stato, il 28/12/2017, senza autorizzazione e valido titolo di soggiorno. 1.1. Osservava il decidente che la norma non prevedeva un periodo massimo di durata del divieto di reingresso e che, pertanto, nell’interpretazione della fattispecie si sarebbe dovuto integrare in bonam partem il dato normativo con quanto previsto dalla legge all’art. 13 comma 13 d.lgs 286/1998, caso analogo inerente il reingresso dello straniero extracomunitario in violazione del provvedimento amministrativo di espulsione. Sicché, posta l’assimilazione concettuale indicata, tra i due modelli di controllo della presenza dello straniero sul territorio dello Stato, il fatto di reingresso non avrebbe avuto, comunque, rilevanza penale oltre i cinque anni dall’espulsione. 2. Ricorre per cassazione il P.M. presso il Tribunale di Siracusa e lamenta la violazione dell’art. 235 cod. pen Osserva che la disposizione non risulta rispettata, poiché la limitazione della durata massima del reingresso, imposta anche dalla direttiva 115/2008 è relativa alle sole espulsioni che risultino in essa regolamentate e che abbiano genesi amministrativa. In questa logica, pertanto, risultava erroneo il ragionamento operato dal Tribunale e la intervenuta assimilazione tra le due forme di controllo. L’arresto era, pertanto, legittimo e il giudice a quo avrebbe dovuto procedere alla relativa convalida. 3. Il ricorso è fondato e va accolto per quanto si passa ad esporre. 3.1. Ritiene erroneamente il giudice a quo di dover operare una assimilazione strutturale tra l’espulsione dello straniero, disposta dall’autorità giudiziaria come misura di sicurezza in senso stretto e quella che, al contrario, risulta assunta dall’autorità amministrativa ai sensi dell’art. 13 comma 13 d.lgs 286/1998 o dal Giudice ai sensi dell’art. 13-bis d.lgs. 286/1998 , in guisa tale da recuperare la prima allo statuto di durata della seconda, attraverso il ragionamento analogico dell’ubi eadem ratio ibi eadem iuris dispositio. Osserva il giudice a quo che non essendo prevista una durata massima dell’espulsione stessa, ordinata come misura di sicurezza, ai sensi dell’art. 235 cod. pen. dal giudice penale, il reingresso, avvenuto in violazione di essa, oltre il quinquennio non avrebbe rilievo penale, giacché il termine anzidetto si dovrebbe inferire attraverso un meccanismo di equiparazione logico-giuridica, come termine massimo unitario, applicabile anche alla misura di sicurezza in senso stretto, disposta dall’autorità giudiziaria penale. 3.2. Il ragionamento svolto sconta essenzialmente due profili critici. 3.2.1. Il primo è relativo alla assimilazione strutturale tra le misure dell’espulsione cd. amministrative cioè ordinate dall’Autorità amministrativa e che trovano fonte regolatrice nell’art. 13 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e quelle che, al contrario, risultano disposte dall’Autorità giudiziaria, come misure di sicurezza in senso stretto. Le prime risultano misure di natura amministrativa stricto iure, anche là dove in via sostitutiva disposte dall’Autorità giudiziaria e sono funzionalmente collegate sul piano amministrativo a contrastare l’ingresso illegale o la illecita permanenza sul territorio dello Stato. L’espulsione amministrativa è, infatti, prevista in tre ipotesi essenziali l’ingresso irregolare dello straniero che, sottrattosi ai controlli di frontiera non è stato respinto ai sensi dell’art. 10 del T.U. 286/1998 l’irregolarità del soggiorno, ricorrente nelle ipotesi in cui lo straniero non abbia richiesto il relativo permesso e quelle in cui sia stato accertato che il soggetto straniero appartenga ad una delle categorie di tipica pericolosità di prevenzione, già contemplate dall’art. 1 della legge 1423/1956 ora D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159 . Ancora, l’autorità giudiziaria può disporre ulteriori tipi di espulsione. A prescindere da quella a titolo di sanzione sostitutiva e di sanzione alternativa alla detenzione, in questa sede rileva il provvedimento emesso ex art. 235 cod. pen Esso è disposto dal giudice, dopo la condanna. Si tratta di una misura di sicurezza in senso stretto, di carattere non detentivo, finalizzata al controllo della pericolosità del soggetto e che va eseguita dopo l’espiazione della pena. esecuzione o estinzione art. 211 cod. pen. . Si tratta di una misura sensibilmente diversa dalle precedenti di tipo amministrativo che risultano collegate alla irregolarità della posizione giuridica dello straniero sul territorio dello Stato o a quelle che sono assunte con funzione alternativa o sostituiva della pena e che rivestono il carattere di modelli, in definitiva, alternativi all’esecuzione penale. La legittimazione all’espulsione, come misura di sicurezza, nell’attuale e vigente assetto normativo è frutto delle modifiche apportate dall’art. 1 comma 1 lett. a d.l. 23 maggio 2008 n. 92 conv. in L. 24 luglio 2008 n. 125. Esso prevede l’espulsione nei casi previsti dalla legge e nelle ipotesi in cui vi sia stata la condanna ad una pena di entità superiore a due anni. L’abrogazione dell’art. 204 cod. pen. impone un accertamento concreto e costante della pericolosità sociale prima di procedere all’applicazione della misura di sicurezza, con necessità d’una verifica del presupposto applicativo, demandata al magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 679 cod. proc. pen Le due forme di controllo amministrativo e come misura di sicurezza sono concettualmente e strutturalmente diverse. In ciò sta la ragione degli statuti normativi diversificati, dettati in funzione della distinta finalità cui essi assolvono. Le misure amministrative, cui si è fatto cenno, hanno essenzialmente lo scopo di assicurare il controllo della presenza dello straniero sul territorio e di un possibile contrasto ai profili amministrativi della pericolosità sociale. L’espulsione come misura di sicurezza, disposta dall’autorità giudiziaria, al contrario, prescindendo dalle sanzioni sostitutive o alternative alla detenzione ha la tipica funzione del controllo della pericolosità cd. post delictum, nella logica del doppio binario, cui è ispirato il sistema sanzionatorio prescelto dal codice penale. Esse sono, pertanto, collegate alla commissione di un fatto reato e alla pericolosità sociale del suo autore. Non hanno funzione di contenimento e di controllo della regolarità della presenza sul territorio dello Stato. La mancata previsione, dunque, di un termine di durata massimo è in intimo e naturale collegamento con la gravità del fatto e con lo spessore di pericolosità soggettiva che da esso si inferisce. In ciò risiede la ragione della astratta mancata previsione dell’invocato termine massimo e della mancata equiparazione agli altri modelli di controllo, che al contrario prevedono il quinquennio come limite di durata non valicabile. Non ricorre, pertanto, un’ipotesi in un cui la misura di sicurezza dell’espulsione determina un effetto permanente a carico dello straniero che la subisce, a differenza delle altre misure personali, che prevedono un termine minimo di durata con un riesame di pericolosità alla scadenza. La regola di revocabilità della misura, ai sensi dell’art. 207 cod. pen., opera pieno iure e si lega al venir meno dei presupposti legittimanti, applicandosi anche alle misure istantanee come l’espulsione e non alle sole misure di durata già 29/9/1986, Sattar 26/6/1989, Hermix , attraverso, appunto, il riesame della pericolosità. 3.2.2. Il secondo nodo critico si coglie riflettendo sulla particolarità che alla luce di quanto premesso non ha fondamento il richiamo del ragionamento analogico. Ciò perché i diversi tipi di misura, per struttura, non possono postulare l’applicazione del medesimo statuto giuridico. La misura dell’espulsione amministrativa art. 13 d.lgs. 286/1998 è disposta non necessariamente come conseguenza di un reato o per contrastare la pericolosità sociale del singolo. Piuttosto è un modello di controllo, si è visto, della regolarità della presenza sul territorio che, indirettamente, può rivelarsi anche funzionale all’allontanamento di soggetti pericolosi in via di prevenzione. Ciò se, da un lato, giustifica la durata massima non superiore a cinque anni del divieto di reingresso, dall’altro, non ammette che essa possa assolvere al controllo di pericolosità post delictum in senso stretto, cui è funzionale la misura di sicurezza, che può essere assunta nei soli casi previsti espressamente dalla legge e alle condizioni che il delitto commesso abbia avuto determinate caratteristiche e una pena non inferiore alla soglia stabilita normativamente. La misura di sicurezza dell’espulsione non presenta, pertanto, vuoti normativi o di disciplina da colmare ricorrendo al ragionamento anzidetto, risultato non evocabile neppure là dove l’effetto sia quello di indurre un effetto in bonam partem. La pericolosità sociale, post delictum, cui si ancora l’espulsione stessa come misura di scurezza, ben potrebbe persistere dopo il decorso del quinquennio dall’esecuzione. Non vi sarebbero, dunque, ragioni valide né altri dati, in virtù dei quali ritenere che il reingresso oltre il quinquennio, in violazione della misura di sicurezza, sia fatto penalmente indifferente, attraverso il richiamo del termine che caratterizza la diversa misura amministrativa di cui all’art. 13 comma 14 d.lgs 286/1998. Là dove, pertanto, lo straniero espulso in applicazione della misura di sicurezza di cui all’art. 235 cod. pen. intenda fare ritorno sul territorio dello Stato avrà la possibilità di chiedere una revoca di essa misura e la rimozione con efficacia ex nunc degli effetti ostativi al reingresso che dalla sua esecuzione derivano. Ciò permette il doveroso riesame della pericolosità sociale post delictum e le condizioni per la revoca. 4. Alla luce di quanto premesso, appurato che la misura dell’espulsione era stata disposta per la violazione della normativa sul controllo degli stupefacenti d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 e che, pertanto, si trattava di una misura di sicurezza in senso stretto, il reingresso costituiva fatto penalmente rilevante anche se posto in essere oltre il termine quinquennale, limite di durata non applicabile nel caso di specie. Del resto, ragionando diversamente, si legittimerebbe in capo al giudice a quo l’esercizio di un potere non previsto dal sistema, ammettendo che, in via interpretativa, si possa integrare il precetto normativo con dati extralegali. Il provvedimento impugnato di non convalida dell’arresto va, pertanto, annullato senza rinvio, perché la misura precautelare era stata legittimamente eseguita. P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato, perché l’arresto è stato legittimamente eseguito.