L’adempimento di un dovere giustifica un accesso abusivo del dipendente al sistema informatico di una PA?

Il previsto obbligo di legge di segnalare eventuali illeciti commessi sul luogo di lavoro, non autorizza in alcun modo il dipendente ad acquisire attivamente informazioni, attraverso autonome attività investigative che possano comportare l’accesso a sistemi informatici della pubblica amministrazione.

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 35792/18 depositata il 26 luglio. Il caso. Nei confronti di un pubblico dipendente veniva emessa sentenza, ai sensi dell’art. 131- bis c.p., per il reato di cui all’art. 615- ter c.p. Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico” . Veniva, infatti, ritenuta integrata tale fattispecie seppure dichiarata la particolare tenuità del fatto per essersi l’imputato introdotto nel sistema informatico di un istituto scolastico, utilizzando l’account e la password di una collega per elaborare un falso documento di fine rapporto, a nome di un soggetto che non aveva mai prestato servizio presso l’amministrazione, per cancellarlo subito dopo, affermando di averlo fatto al solo fine di sperimentare la vulnerabilità del sistema”. Ebbene, l’imputato, nonostante la sentenza di assoluzione per tenuità del fatto, proponeva ricorso per cassazione lamentando l’errata valutazione, nel merito, dell’antigiuridicità del fatto, tenuto conto che la finalità dell’accesso non autorizzato era stata quella di denunciare condotte illecite tenute da altri sul luogo di lavoro, in ragione del proprio obbligo giuridico di denuncia derivante dalla legge. In secondo luogo, censurava la mancata motivazione circa la richiesta non menzione della sentenza sul casellario giudiziale. Funzione della denuncia dell’illecito da parte del dipendente e sua tutela. La Corte, dichiarato manifestamente infondato il ricorso, affronta la questione relativa alla sussistenza della causa di giustificazione derivante dall’adempimento di un dovere, in relazione agli artt. 54 e 54- bis , d. lgs. n. 165/2001 Testo unico sul pubblico impiego . Si tratta di norme che, come è noto, prevedono per il dipendente, da un lato, l’obbligo di segnalare eventuali illeciti di cui viene a conoscenza nell’esercizio del proprio servizio e, dall’altro, a causa di tale segnalazione di non essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie nella ipotesi in cui denunci detti fatti. Tale istituto, improntato al c.d. whistleblowing di origine anglosassone, ha quindi la doppia finalità di preservare l’integrità della pubblica amministrazione e di salvaguardare al contempo i denuncianti da ritorsioni di qualunque genere nel proprio contesto lavorativo. I limiti del whistleblower”. Evidentemente, deve trattarsi di circostanze di cui, comunque, il dipendente viene a conoscenza a causa e nell’ambito del proprio ambiente lavorativo, ma non anche di informazioni che lo stesso acquisisce per proprio conto, in violazione, peraltro, dei limiti imposti dalla legge. La norma, infatti, parla di condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro”, con ciò evidenziando che, superato tale confine, non è possibile configurare la scriminante in parola, nemmeno in forma putativa, non potendosi ritenere scusabile alcun errore riguardo l’esistenza di un dovere che possa giustificare l’indebito utilizzo di credenziali d’accesso a sistema informatico protetto”. A maggior ragione, in casi come in quello di specie, quando i dati appresi siano protetti al fine di essere sottoposti a segretezza e, invece, siano acquisiti dal sistema da parte di soggetto non legittimato perché non titolare di dati di accesso personali . Perché la condotta venga scriminata è necessario che la stessa non si inserisca, con rilevanza causale, nell’iter criminis, ma consista unicamente in un’attività di osservazione o controllo e, di conseguenza, di contenimento delle azioni illecite altrui”. Il beneficio della non menzione. Con riguardo, infine, alla richiesta non menzione della declaratoria di cui all’art. 131- bis c.p. nel casellario, la Corte, in accoglimento del motivo di ricorso, afferma che effettivamente sul punto la Corte di merito ha omesso la propria motivazione e, pertanto, il provvedimento va censurato con conseguente annullamento senza rinvio. Ed infatti, considerato che tale beneficio può essere concesso sulla base degli elementi che si ricavano, nel caso di specie, nella sentenza di secondo grado, i giudici di legittimità rilevano che, stante la novella intervenuta a mezzo della legge n. 103/2017 che ha modificato gli artt. 619, comma 2, e n. 620 comma 1, lett. l c.p.p. se la corte ritiene di poter decidere, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, o di rideterminarne la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito o di adottare i provvedimenti necessari, e in ogni altro caso in cui ritiene superfluo il rinvio , a tale errore può porsi rimedio direttamente, tramite una correzione della sentenza.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 maggio – 26 luglio 2018, numero 35792 Presidente Bruno – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Bologna ha dichiarato l’improcedibilità, ai sensi dell’art. 131 bis cod. penumero , del reato di cui all’art. 615 ter cod. penumero per il quale il tribunale in sede aveva affermato la penale responsabilità di C.G La corte territoriale ha ritenuto integrato l’illecito accesso al sistema informatico dell’Istituto Comprensivo di Budrio, in cui l’imputato si era introdotto utilizzando l’account e le password di altra dipendente e mediante il quale aveva elaborato un falso documento di fine rapporto a nome di persona che non aveva mai prestato servizio presso l’amministrazione, cancellandolo subito dopo la compilazione, reputando non conducente - in punto di esclusione dell’antigiuridicità del fatto tipico - l’asserita funzione di sperimentazione della vulnerabilità del sistema, prospettata dal ricorrente. 2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore, deducendo, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla valutazione dell’antigiuridicità della condotta, per avere la corte territoriale omesso di motivare in ordine all’esclusione della rilevanza penale del fatto in conseguenza della finalità di denuncia che ha ispirato l’accesso. Sul ricorrente, persona incarica di pubblico servizio, gravava l’obbligo di segnalazione di condotte illecite di cui fosse venuto a conoscenza nell’esercizio del servizio, con conseguente sussistenza della causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. penumero . Con il secondo motivo, denuncia mancanza di motivazione in relazione alla richiesta del beneficio della non menzione della declaratoria ex art. 131 bis cod. penumero . Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. 2. Nel riproporre la prospettazione avanzata nei motivi d’appello, il ricorrente deduce la sussistenza della causa di giustificazione, anche in forma putativa, dell’adempimento del dovere, fondato sul vincolo di fedeltà che lega il pubblico dipendente all’amministrazione derivante dagli artt. 54 e 54 bis del D.Lgs. 165/2001, disposizioni che prevedono obblighi di informazione finalizzati alla prevenzione di fenomeni illeciti, quali la corruzione, a cui è correlata la non punibilità, sotto il profilo disciplinare e antidiscriminatorio, del dichiarante. 3. Siffatta deduzione appare, all’evidenza, infondata. 3.1.L’art. 54 bis del d. lgs. 165/2001, introdotto dall’articolo 1, comma 51, del d. lgs. 190/2012, nel testo aggiornato dall’articolo 1 della legge 30.11.2017, numero 179, recante disciplina della segnalazione di illeciti da parte di dipendente pubblico , intende tutelare il soggetto, legato da un rapporto pubblicistico con l’amministrazione, che rappresenti fatti antigiuridici appresi nell’esercizio del pubblico ufficio o servizio. L’istituto, che presenta analogie con altre figure di ambito internazionale da cui deriva anche il termine whistleblowing , si conforma strutturalmente all’361 cod. penumero ma se ne distingue in riferimento ai presupposti ed all’ambito di operatività, nella doppia declinazione della tutela del rapporto di lavoro e del potenziamento delle misure di prevenzione e contrasto della corruzione. La segnalazione in esame risponde, difatti, ad una duplice ratio, consistente da un lato nel delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnalata illeciti e, dall’altro, nel favorire l’emersione, dall’interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione. In riferimento al primo profilo, l’ultima parte del comma 1 dell’articolo 54-bis prevede che il dipendente virtuoso non possa essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante. Quanto ai destinatari della comunicazione, la stessa può essere rivolta all’autorità giudiziaria ordinaria, alla magistratura contabile ed al superiore gerarchico del segnalatore. In riferimento all’oggetto, la formula riferita al contesto di acquisizione della notizia di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro esprime che il fatto oggetto di segnalazione possa riguardare - a fini di tutela del dipendente - solo informazioni acquisite nell’ambiente lavorativo. Alle condizioni date, i commi 2 e 4 dell’articolo 54-bis prevedono un articolato sistema di protezione dell’anonimato del segnalante, in una prospettiva palesemente incentivante, escludendo la materia dalla normativa in tema di accesso civico e dall’ambito di applicazione della legge 241/1990 e limitando la rivelazione dell’identità ai soli casi di indispensabilità per la difesa dell’incolpato. Con l’orientamento numero 40 dell’ANAC, il sistema è stato esteso anche mediante la previsione di informativa in favore del responsabile anticorruzione che viene, in tal modo, a potenziare il ruolo centrale, nell’ambito della singola organizzazione pubblica, in materia di prevenzione e contrasto alla corruzione. 3.2. Così sinteticamente delineata la disciplina invocata dal ricorrente quale fonte di un dovere giuridico a cui l’imputato avrebbe inteso ottemperare, emerge, all’evidenza, come la normativa citata si limiti a scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un’attività illecita, mentre non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni, autorizzando improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge. Siffatta evidente limitazione dell’articolato normativo alla tutela del segnalatore e - soprattutto - la mancata previsione di un obbligo informativo non consente di ritenerne la configurazione neanche in forma putativa, non profilandosi come scusabile alcun errore riguardo l’esistenza di un dovere che possa giustificare l’indebito utilizzo di credenziali d’accesso a sistema informatico protetto - peraltro illecitamente carpite in quanto custodite ai fine di tutelarne la segretezza - da parte di soggetto non legittimato. In tal senso, l’insussistenza dell’invocata scriminante dell’adempimento del dovere è fondata sui medesimi principi che, in tema di agente provocatore , giustificano esclusivamente la condotta che non si inserisca, con rilevanza causale, nell’ iter criminis, ma intervenga in modo indiretto e marginale, concretizzandosi prevalentemente in un’attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui ex multis Sez. 4, Sentenza numero 47056 del 21/09/2016Ud. dep. 09/11/2016 Rv. 268998, N. 11634 del 2000 Rv. 217253, N. 31415 del 2016 Rv. 267517 . 3.3. Sussiste, pertanto, l’antigiuridicità del reato contestato, correttamente ricostruito e razionalmente giustificato nella sentenza impugnata. 4. È, invece, fondato il secondo motivo di ricorso. 4.1. Con l’atto di appello, l’imputato aveva richiesto la concessione del beneficio della non menzione della declaratoria ex art. 131 bis cod. penumero nel certificato penale a richiesta dei privati in ordine al quale la corte territoriale ha omesso di provvedere. L’articolo 3, comma 1, lettera f , del d.P.R. 313 del 2002 indica - tra gli atti soggetti ad iscrizione nel casellario giudiziale - i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l’imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza, nonché - in seguito alla novella introdotta con d. lgs. N. 28 del 16 marzo 2015 - quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale. Ai sensi dell’articolo 25 del medesimo d.P.R., siffatta iscrizione non è riportata nel certificato penale del casellario giudiziale richiesto dall’interessato quando sia relativa lett. f-bis ai provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale, se la relativa iscrizione non è stata eliminata. 4.2. Nel caso in esame, la corte territoriale ha omesso di motivare in riferimento alla richiesta del beneficio di cui all’art. 175 cod. penumero e siffatta lacuna è censurabile in sede di legittimità in quanto, sebbene il beneficio sia rimesso all’apprezzamento discrezionale del giudice sulla base della valutazione delle circostanze di cui all’art. 133 cod. penumero , pur senza una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione Sez. 2, Sentenza numero 1 del 15/11/2016 Ud. dep. 02/01/2017 Rv. 268971 , è pur tuttavia necessaria l’ostensione di un minimum giustificativo della sua negazione. Deve essere, pertanto, annullata senza rinvio la sentenza d’appello che ha immotivatamente disatteso la richiesta di concessione del beneficio della non menzione della declaratoria ex art. 131 bis cod. penumero , proposta con specifico motivo di gravame. 5. A siffatto errore può porsi rimedio, in questa sede, ai sensi degli artt. 619, comma II, e 620 comma 1, lett. I , cod. proc. penumero , nella formulazione modificata dalla legge 23 giugno 2017, numero 103, dovendosi applicare il beneficio della non menzione della declaratoria ex art. 131 bis cod. penumero , omessa dal giudice di merito, che non involge alcun apprezzamento di fatto. Il richiesto beneficio può essere, difatti, concesso sulla base degli elementi emergenti dalla sentenza di secondo grado, avuto riguardo all’incensuratezza dell’imputato, alla ritenuta particolare tenuità del fatto ed alla valutazione di episodicità della condotta già formulata dal giudice di merito. Ed invero la possibilità, riconosciuta alla Corte di cassazione, di applicare il beneficio della non menzione della declaratoria ex art. 131 bis cod. penumero sulla base delle statuizioni del giudice di merito, procedendo ad un annullamento senza rinvio, è circoscritta alle ipotesi in cui alla situazione da correggere possa porsi rimedio senza necessità dell’esame degli atti dei processi di primo e secondo grado e della formulazione di giudizi di merito, obiettivamente incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità Sez. 3, Sentenza numero 792 del 25/05/2017 Ud. dep. 11/01/2018 Rv. 271829, N. 21049 del 2004 Rv. 229233, N. 24742 del 2010 Rv. 247747, N. 38972 del 2014 Rv. 261407, N. 25625 del 2016 Rv. 267217 . 6. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio in riferimento alla omessa statuizione riguardo il beneficio della non menzione della declaratoria ex art. 131 bis cod. pen ai sensi dell’art. 175 cod. penumero , con conseguente concessione del medesimo, in accoglimento del secondo motivo di ricorso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla mancata concessione del beneficio della non menzione che concede.