Quali sono i presupposti per la concessione della causa di giustificazione?

È configurabile l’esimente della legittima difesa solo qualora l’autore del fatto versi in una condizione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all’offesa mediante aggressione, essendo la reazione necessaria solo quando inevitabile, ovvero non sostituibile da altra meno dannosa ma ugualmente idonea ad assicurare la tutela dell’aggredito.

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 33837/18 depositata il 19 luglio. Il caso. La Corte di Appello di Milano confermava, nel merito, la sentenza con cui il Giudice di primo grado aveva affermato la penale responsabilità di T.M. per il reato di lesioni personali pluriaggravate commesso ai danni di V.T. riformava, invece, parzialmente la statuizione di prime cure accogliendo la richiesta della parte civile di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale disposta in favore della medesima a titolo di risarcimento del danno. Avverso la decisione de qua ricorreva per Cassazione l’imputato, deducendo due differenti motivi di doglianza in primis, lamentava l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 443 e 576 c.p.p., rilevando la carenza di legittimazione della parte civile ad impugnare un capo della sentenza non riguardante né l’azione né gli interessi civili in secundis, eccepiva violazione di legge e vizio motivazionale relativamente all’omesso riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa. La legittima difesa le argomentazioni della difesa a sostegno della richiesta. Secondo la ricostruzione della difesa, il ricorrente T.M., nel mentre si trovava in auto con la compagna – ex moglie della persona offesa – ed il di lei figlio, notava che vi era una autovettura che li stava seguendo, con a bordo proprio la persona offesa V.T. che gesticolava nella loro direzione quest’ultimo, una volta affiancatosi alla macchina condotta dall’imputato, sarebbe sceso e l’avrebbe colpito al volto con qualcosa. Solo dopo il ricorrente sarebbe sceso dall’auto e si sarebbe difeso con l’ausilio di un cacciavite, essendo la persona offesa di corporatura molto più robusta. Ad avviso della difesa, pertanto, nel caso de quo sussisterebbero tutti i presupposti per la concessione della causa di giustificazione di cui all’art. 52 c.p., ovvero l’ingiustizia dell’aggressione, in quanto non causata da comportamenti dell’imputato l’attualità del pericolo, vista l’ostilità pregressa e l’atteggiamento persecutorio avuto in altre e precedenti occasioni dalla persona offesa nei confronti dell’imputato e della di lui compagna la proporzione tra offesa e difesa, considerata la maggiore stazza dell’avversario. La consolidata giurisprudenza di legittimità sulla causa di giustificazione. La Suprema Corte ha, invece, ritenuto insussistenti i presupposti per la concessione della causa di giustificazione invocata. Da un lato, chiariscono i Supremi Giudici, l’aggredito non aveva utilizzato e non disponeva di alcuno strumento atto ad offendere, così da non potersi ravvisare il requisito della proporzionalità della reazione rispetto ad un attuale o potenziale comportamento violento della controparte. Dall’altro, relativamente al requisito della inevitabilità del pericolo per la propria incolumità, l’imputato era comunque sceso dalla propria auto, pertanto accettando lo scontro, laddove avrebbe invece potuto agevolmente allontanarsi ed evitare lo stesso. Sul punto, la consolidata giurisprudenza di legittimità ritiene che è configurabile l’esimente della legittima difesa solo qualora l’autore del fatto versi in una condizione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all’offesa mediante aggressione fermo restando che, in ogni caso, la reazione è necessaria quando è inevitabile, ovvero non sostituibile da un’altra meno dannosa, ugualmente idonea ad assicurare la tutela dell’aggredito. Donde, l’allontanamento – ove, come nel caso di specie, possibile – si appalesa quale soluzione obbligata, in quanto la reazione è pur sempre un atto violento al quale si deve ricorrere solo come extrema ratio. La parte civile può impugnare per chiedere di subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento del risarcimento del danno? La Corte Regolatrice ha chiarito che la parte civile non è legittimata a proporre impugnazione ex art. 576 c.p.p avverso il capo della sentenza di condanna che non abbia subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, in quanto tale statuizione non riguarda l’azione civile e gli interessi civili, ma gli obblighi imposti al condannato circa l’eliminazione delle conseguenze dannose del reato. Ciò in quanto le disposizioni contenute nell’art. 165 c.p. non riguardano il danno civilistico patrimonialmente inteso, ma il danno criminale, cioè quelle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente apprezzabile e risarcibile, che afferiscono alla lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 marzo – 19 luglio 2018, n. 33837 Presidente Vessichelli – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il difensore di T.M. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, in forza della quale è stata confermata la condanna del suo assistito per un reato di lesioni personali pluriaggravate, ed è stata inoltre accolta - in parziale riforma della decisione di primo grado - la richiesta della parte civile T.V. di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale disposta in suo favore, a titolo di risarcimento del danno. Quest’ultima richiesta era stata avanzata in ragione dell’inerzia dell’imputato, il quale non aveva provveduto ad effettuare ancora alcun pagamento, del tempo trascorso dai fatti, della gravità delle lesioni e dei vari tentativi dell’odierno ricorrente secondo quanto rappresentato dall’accusa privata di sottrarsi all’obbligazione. La difesa lamenta, a quest’ultimo riguardo, l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 443 e 576 cod. proc. pen. nel ricorso viene precisato che non risulta documentato in atti alcun tentativo dell’imputato di sottrarsi ai propri doveri, ed appare comunque evidenziata la carenza di legittimazione della parte civile, che con il proprio gravame avrebbe travalicato i limiti espressamente previsti dall’art. 576 del codice di rito, impugnando un capo della sentenza non riguardante né l’azione né gli interessi civili. A parere del ricorrente, peraltro, l’accoglimento della richiesta de qua avrebbe comportato una reformatio in peius della sentenza di primo grado. Con ulteriore motivo di doglianza, il difensore di T.M. deduce violazione di legge e vizi della motivazione della sentenza impugnata, con riguardo all’omesso riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa. Secondo la ricostruzione del ricorrente, egli si era trovato in auto con la compagna già coniuge della persona offesa e il figlio di lei ad un certo punto, aveva notato che la parte civile li stava seguendo a bordo di un’altra vettura, gesticolando nella loro direzione. Successivamente, T.V. si sarebbe affiancato con quell’auto alla loro, per poi scendere e colpire l’imputato al viso con qualcosa. Assumeva infine di aver estratto il cacciavite per difendersi dall’aggressione la presunta vittima, infatti, era di corporatura molto più robusta di lui, e già in passato aveva usato minacce nei suoi confronti. L’atto di impugnazione si sofferma sulla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della legittima difesa l’ingiustizia dell’aggressione, in quanto non causata da comportamenti dell’imputato l’attualità del pericolo, vista l’ostilità pregressa e l’atteggiamento persecutorio della persona offesa nei confronti del ricorrente e della sua compagna la proporzione tra offesa e difesa, considerata la maggiore stazza dell’avversario. Considerato in diritto 1. Il ricorso è in parte fondato. 2. Le censure della difesa dell’imputato non possono condividersi in ordine all’invocata causa di giustificazione ex art. 52 cod. pen., stante la chiara dinamica dei fatti esposta in entrambe le pronunce di merito. La ricostruzione offerta da T.V. è che egli si era recato in auto presso l’abitazione della donna per prelevare il figlio, ma prima ancora di scendere dalla vettura era stato raggiunto dall’imputato una volta abbassato il finestrino per chiedergli cosa volesse, l’odierno ricorrente l’aveva colpito in volto con un oggetto appuntito, e ne era derivata - dopo che la persona offesa, accortasi del sangue, era scesa dall’auto - una zuffa tra i due. La Corte territoriale, come già il Tribunale, aveva tenuto conto delle dichiarazioni di tutti i soggetti coinvolti, giungendo a ritenere aderente al vero che quella colluttazione avesse in realtà preceduto l’aggressione con un cacciavite proprio l’attuale compagna dell’imputato, in particolare, aveva riferito di un primo scontro consumatosi fuori dalle vetture e di una successiva condotta di T.M. che, impugnato il cacciavite, aveva preso a colpire ripetutamente il rivale, nel frattempo tornato a bordo dell’auto. Ergo, pur tenendo conto della pregressa condotta della persona offesa, financo persecutoria in danno della ex moglie, nonché della conflittualità di rapporti fra i protagonisti della vicenda, la legittima difesa era da escludere da un lato, l’aggredito non aveva utilizzato e non disponeva di alcuno strumento atto a offendere sì da non potersi ravvisare alcuna proporzionalità della presunta reazione rispetto ad un attuale o potenziale comportamento violento della controparte dall’altro, in punto di inevitabilità del pericolo per la propria incolumità, l’imputato era comunque sceso dalla propria auto, accettando lo scontro quando avrebbe potuto agevolmente allontanarsi, per poi giungere a colpire la parte civile nel momento in cui la prima fase del diverbio si era già conclusa. La giurisprudenza di legittimità, con un consolidato orientamento interpretativo, afferma a riguardo che è configurabile l’esimente della legittima difesa solo qualora l’autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all’offesa mediante aggressione Cass., Sez. I, n. 51262 del 13/06/2017, Calì, Rv 272080 . Né il T. , già con riguardo alla prima fase della contesa, avrebbe potuto far valere motivi di onore sottesi alla scelta di fronteggiare l’ex marito della sua attuale compagna, atteso che in tema di legittima difesa, la reazione è necessaria quando è inevitabile vale a dire non sostituibile da un’altra meno dannosa, ugualmente idonea ad assicurare la tutela dell’aggredito. Ne consegue che l’allontanamento di costui, se non fa correre alcun pericolo anche a terzi, deve essere la soluzione obbligata, in quanto la reazione è pur sempre un atto violento al quale si deve ricorrere come extrema, davvero inevitabile, ratio per salvare un proprio bene, e non per sacrificare l’onore Cass., Sez. IV, n. 9256 del 25/05/1993, Barraca, Rv 195857 . 3. È invece fondato il primo motivo di ricorso. Dopo una pluralità di pronunce che avevano escluso la possibilità per la parte civile di impugnare la decisione del giudice di non subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno v. Cass., Sez. VI, n. 43188 del 22/09/2004, Riti , la legittimazione de qua era stata invece riconosciuta con un arresto del 2013 Cass., Sez. II, n. 22342 del 15/02/2013, Cafagna , dove si era sottolineata l’incidenza delle modifiche introdotte dalla legge n. 689/1981 al testo originario dell’art. 165 cod. pen. in particolare, si era fatto osservare che l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, espressamente prevista a far data dalla novella anzidetta, costituisse una ipotesi di subordinazione del beneficio ulteriore rispetto a quelle già contemplate dalla norma, e considerate strettamente riparatorie del danno civilistico dell’adempimento dell’obbligo di restituzione o di risarcimento e della pubblicazione della sentenza. Tuttavia, le più recenti decisioni sono tornate a sposare l’orientamento precedente, giungendo ad affermare che la parte civile non è legittimata a proporre impugnazione ex art. 576 cod. proc. pen. avverso il capo della sentenza di condanna che non abbia subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, in quanto tale statuizione non riguarda l’azione civile e gli interessi civili, ma gli obblighi imposti al condannato circa l’eliminazione delle conseguenze dannose del reato Cass., Sez. VI, n. 38558 dell’08/09/2015, C., Rv 264610 . Ciò in quanto deve ritenersi che tutte le disposizioni contenute nell’art. 165 cod. pen., concernenti il potere del giudice di subordinare la concessione del beneficio alla eliminazione di ogni forma di conseguenza dannosa o pericolosa del reato, non riguardino il danno civilistico patrimonialmente inteso, bensì il danno criminale, cioè quelle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente apprezzabile e risarcibile, che strettamente ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata . 4. Si impongono, pertanto, le determinazioni di cui al dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al punto in cui subordina la sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale, statuizione che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.