La punibilità dell’estorsione commessa tra prossimi congiunti

In virtù dell’art. 649, comma 1, c.p. chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000 .

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 33073/18 depositata il 17 luglio. La vicenda. L’imputato propone ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado con cui veniva confermata la condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale competente per il reato di tentata estorsione familiare. In particolare, il ricorrente, dopo essere entrato nell’abitazione della sorella e di suo marito, che ospitavano anche la madre, aveva preteso la consegna di una somma di denaro con violenze morali e fisiche. Le caratteristiche dell’estorsione familiare. Ricorda la Suprema Corte che la condotta di natura estorsiva può essere indirizzata anche verso soggetti diversi da quello destinato a subire la diminuzione patrimoniale le violenze nel caso di specie erano state rivolte alla sorella e non alla madre, titolare della somma di denaro , qualora essa si manifesti in un contesto spazio-temporale nel quale sia contemporaneamente presente anche il soggetto titolare dell’utilità aggredita . Rileva, inoltre, che il tema mosso nella giurisprudenza si inquadra sul fatto se il delitto tentato contro il patrimonio sia punibile o meno nelle situazioni previste dall’art. 649 c.p. anche nel caso di impiego di violenze solo morali o psichiche. Ma, dato che nel caso di specie le violenze mosse dal ricorrente sono state confermate anche da un teste estraneo ai rapporti familiari e dall’arrivo immediato delle forze dell’ordine dopo sollecitazione da parte delle vittime, il ricorso risulta inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 18 aprile – 17 luglio 2018, n. 33073 Presidente Cammino – Relatore Prestipino Ritenuto in fatto 1.Ha proposto ricorso per cassazione V.V. avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce del 19 ottobre 20106, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal locale tribunale il 19 giugno 2015 per il reato di tentata estorsione in danno di V.O. , D.S.D. e M.S. . 2.Secondo l’accusa, il ricorrente, dopo avere fatto ingresso nell’abitazione della sorella O. e del di lei marito D.S.D. , che ospitavano la madre, M.S. , aveva preteso la consegna della somma di 100 Euro sostenendo la richiesta con violenze morali e fisiche. 3.La difesa articola i seguenti motivi 1.Violazione di legge in relazione al mancato rilievo della genericità della contestazione della recidiva. Secondo la difesa, la circostanza aggravante non sarebbe stata contestata in forma chiara e precisa, in violazione dell’art. 429 lett. c cod. proc. Pen., essendo cumulativamente indicate, nell’imputazione, tutte le possibili ipotesi di recidiva previste dall’art. 99 cod. pen 2. Violazione dell’art. 649 cod. pen La causa di non punibilità dei delitti contro il patrimonio commessi tra prossimi congiunti sarebbe stata ingiustificatamente esclusa dalla Corte di merito, considerando che nei confronti dell’unica persona offesa, la madre del ricorrente, titolare della somma pretesa da quest’ultimo, costui avrebbe formulato semplici minacce verbali, non rilevando eventuali violenze fisiche nei confronti di altri componenti del nucleo familiare. 3. Violazione dell’art. 649 cod pen per non avere comunque la Corte di merito considerato che la causa di non punibilità per i reati commessi nella forma tentata opererebbe anche in caso di violenza alle persone. 4. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di conferma del giudizio di responsabilità e vizio di violazione di legge in relazione al principio del ragionevole dubbio codificato nell’art. 546 cod. proc. pen. La corretta analisi del contenuto delle prova formatesi nel dibattimento non avrebbe consentito, secondo la difesa, la formulazione del giudizio di responsabilità in termini di certezza processuale. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato. 1. La questione della ritualità della contestazione della recidiva poggia, in sostanza, sul confuso affastellamento delle norme di riferimento che si riscontra nell’imputazione, che, però, è completata dall’indicazione naturalistica dei requisiti della reiterazione, della specificità e dell’infraquinquennalità, che non lasciano dubbi sul fatto che il tipo di recidiva contestata corrisponda alla previsione dell’art. 99 quarto comma cod. pen., nulla avendo peraltro osservato la difesa sulla effettiva corrispondenza del tipo ai precedenti del ricorrente. 2. La condotta estorsiva, contrariamente a quanto sostiene la difesa, ben può essere indirizzata verso soggetti diversi da quello destinato a subire la diminuzione patrimoniale quando, come nella specie, essa si manifesti in un contesto spazio-temporale nel quale sia contemporaneamente presente anche il soggetto titolare dell’utilità aggredita. Le violenze del ricorrente nei confronti della sorella, alla presenza della madre, rileverebbero quindi senz’altro ai fini della punibilità del fatto, come ulteriore strumento di pressione nei confronti della M. . Ma la Corte di merito bene osserva, ulteriormente, al riguardo, come anche gli altri familiari debbano considerarsi persone offese dal reato, perché, piegandosi alle violenze, avrebbe dovuto, nelle intenzioni del ricorrente, procurargli direttamente la somma, prelevandola dalle disponibilità della madre. 3. Anche i delitti tentati contro il patrimonio sono riconducibili alla norma di chiusura dell’ultimo comma dell’art. 649 cod. pen Cass. 28210/2010 , conseguendone che sia del tutto erronea, in diritto, la tesi difensiva secondo cui l’estorsione ai danni di familiari sia non punibile nella forma tentata anche quando commessa con violenza fisica. Il problema sì è posto, semmai, in giurisprudenza, in termini esattamente opposti, cioè se il delitto tentato contro il patrimonio sia punibile nelle situazioni previste dall’art. 649 cod. pen. anche nel caso di impiego di violenze soltanto morali o psichiche per la soluzione negativa, cfr., ancora, Cass. 28210/2010 . 4. I motivi sulle presunte carenze motivazionali della sentenza impugnata sul tema della responsabilità penale indugiano su minimi particolari della ricostruzione dei fatti e su presunte incongruenze nelle dichiarazioni testimoniali. La Corte di merito sottolinea, però, efficacemente, che il contesto di violenze in cui si svolsero i fatti è risultato confermato, tra l’altro, dalla deposizione di un teste assolutamente estraneo alle contese familiari, un militare dell’arma dei carabinieri che nell’ispezionare lo stato dei luoghi notò una cassapanca lesionata nel punto in cui era stata lanciata una maniglia, e più seriamente danneggiata in un altro punto quello da dove sarebbe stato divelto, alla stregua dell’imputazione, un pezzo di legno brandito poi dal ricorrente all’indirizzo dei familiari e notò, ancora, la sorella del ricorrente in stato di agitazione e con gli occhiali rotti circostanza, quest’ultima, che rimanda chiaramente allo schiaffo secondo l’accusa infertole dal fratello e le figlie della coppia V. - D.S. rinchiuse in una camera separata dal teatro degli eventi evidentemente al riparo . 4.1. La stessa immediata sollecitazione, da parte delle vittime, dell’intervento sul posto delle forze dell’ordine assume peraltro un chiaro significato di conferma di una disputa degenerata, ad opera del ricorrente, in modi apertamente incivili e penalmente illeciti. Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2000 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000 a favore della Cassa delle Ammende.