Lui la perseguita, lei lo contatta telefonicamente: inevitabile la condanna per stalking

Plausibile, secondo i Giudici, la spiegazione data dalla moglie rispetto alla sua scelta, in alcune occasioni, di contattare telefonicamente il coniuge. Questo dato, quindi, non può mettere in discussione gli atti persecutori compiuti dal marito.

Rottura profonda tra i coniugi. A rendere la situazione ancora più complicata, poi, i comportamenti tenuti dall’uomo, che ossessiona e minaccia la moglie. Logica la condanna per il marito, che deve scontare ventotto mesi di reclusione. Irrilevante il fatto che egli sia stato in alcune occasioni contattato telefonicamente dalla consorte. Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 29480/18, depositata oggi . Contatto. Ricostruita la vicenda, i Giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, ritengono l’uomo colpevole di atti persecutori, violenza privata e minaccia aggravata ai danni della moglie. Consequenziale la condanna a due anni e quattro mesi di reclusione. Il legale dell’uomo prova a ridimensionare la condotta tenuta dal suo cliente. Per raggiungere questo obiettivo, egli pone in evidenza i contatti telefonici provenienti dalla persona offesa e indirizzati verso il coniuge. Questo elemento non convince però i Giudici della Cassazione, i quali, richiamando le valutazioni compiute tra primo e secondo grado, osservano che la donna ha spiegato di essere stata costretta a rispondere al marito per tranquillizzarlo, per non farlo adirare ancor di più e per impedire che egli si appostasse sotto casa sua . Priva di riscontri, invece, la versione data dall’uomo, secondo cui egli era costretto a contattare spesso la moglie perché temeva per l’incolumità dei figli a causa della tossicodipendenza della donna. Privo di rilievo, infine, il fatto che il marito abbia visto cadere l’accusa di maltrattamenti ai danni della consorte. Su questo punto i Giudici osservano che i singoli episodi di aggressione nei confronti della donna , cioè schiaffi, spintoni, tirate di capelli, minacce, ingiurie , sono stati accertati ma valutati non così gravi da poter essere ricondotti a uno stato di sopraffazione e di umiliazione della donna .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 maggio – 27 giugno 2018, n. 29480 Presidente Settembre – Relatore Fidanzia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5 gennaio 2017 la Corte d'Appello di Brescia Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ritenute le già concesse attenuanti generiche equivalenti all'aggravante di cui all'art. 612 bis comma 2. c.p. , rideterminava in anni due e mesi quattro di reclusione la pena a carico di Si. Si. Pi., per aver perpetrato i delitti di atti persecutori, violenza privata e minaccia aggravata ai danni del coniuge Fo. La 2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione l'imputato affidandolo ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge per inosservanza dell'art. 152 c.p. Lamenta il ricorrente che ove la Corte territoriale avesse riqualificato il reato di violenza privata in quello di minaccia, tenuto conto che in data 7 dicembre 2015 la persona offesa aveva rimesso la querela, tale riqualificazione gli avrebbe giovato atteso che il delitto di atti persecutori non sarebbe stato più connesso ad un reato procedibile d'ufficio quale quello di cui all'art. 610 c.p. e sarebbe quindi divenuto improcedibile. 2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione all'art. 192 c.p.p. nonché vizio di motivazione. Si duole l'imputato che non sia stato considerato a suo favore dalla Corte territoriale il dato fattuale, già evidenziato nei motivi d'appello, dei numerosi contatti telefonici risultanti dai tabulati come provenienti dalla persona offesa nei confronti dell'imputato. La sentenza impugnata non ha, inoltre, tenuto conto che non era emerso alcun elemento idoneo a mettere in discussione la sua credibilità e non aveva valorizzato gli elementi da cui risultava l'inattendibilità quantomeno parziale della persona offesa, la cui imprecisione aveva determinato l'assoluzione del prevenuto per il delitto di maltrattamenti. 2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche, al mancato contenimento della pena nel minimo edittale ed immotivata valutazione di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è inammissibile. Il ricorrente si duole della mancata riqualificazione giuridica del delitto di violenza privata in quello di minaccia senza tener conto, tuttavia, che nei motivi d'appello aveva concentrato in via esclusiva le proprie censure sull'asserita insussistenza del delitto di atti persecutori e sul trattamento sanzionatorio, senza fare alcun cenno al delitto di violenza privata per il quale era stato pure condannato in primo grado. Ne consegue che tali censure si appalesano inammissibili in quanto non consentite a norma dell'art. 606 comma 3. c.p.p 2. Il secondo motivo è inammissibile. Non vi è dubbio che il ricorrente formuli censure di mero fatto in quanto finalizzate a sollecitare una diversa interpretazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito e ad accreditare una diversa ricostruzione della vicenda processuale, non confrontandosi minimamente con le precise argomentazioni della sentenza impugnata - integrate da quella di primo grado con la quale formano un unico apparato argomentativo - che hanno coerentemente evidenziato a con riferimento ai contatti telefonici provenienti dall'utenza della persona offesa verso quella dell'imputato, che secondo l'attendibile e precisa, sotto il profilo logico, spiegazione fornita dalla persona offesa, quest'ultima talvolta era stata costretta a rispondere all'imputato per tranquillizzarlo e per non farlo adirare ancor di più e per impedire che si appostasse sotto casa sua b con riferimento alla credibilità dell'imputato, che l'assunto dello stesso, secondo cui era costretto a contattare spesso la moglie, temendo per l'incolumità dei figli in relazione al fatto che la consorte si drogava, era risultato privo di ogni riscontro c con riferimento all'assoluzione dell'imputato per maltrattamenti in primo grado, che tale pronuncia non era stata dovuta ad una valutazione di inattendibilità della persona offesa, ma al rilievo che i singoli episodi di aggressione nei confronti della persona offesa accertati schiaffi, spintoni, tirate di capelli che provocano ecchimosi sul corpo, minacce, ingiurie non erano stati valutati di entità tali da poter essere ricondotti ad uno stato di sopraffazione e umiliazione della donna. 3. Il terzo motivo è inammissibile. Va osservato che la determinazione del trattamento sanzionatolo, la concessione o meno delle attenuanti generiche, o il bilanciamento delle circostanze rientrano nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737 . In proposito, deve rilevarsi che, nel motivare il diniego delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 . Nel caso di specie, è quindi immune da censure la motivazione con cui la sentenza impugnata ha negato la concessione delle attenuanti generiche sul rilievo che lo stesso aveva cagionato gravi danni alla persona offesa, costretta a vivere sempre nella paura e spesso malmenata, picchiata e gravemente minacciata. In ordine alla censura che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente evidenziato i sopra indicati elementi a suo carico, essendo lo stesso stato assolto per il reato di maltrattamenti, la stessa è palesemente infondata per quanto già illustrato al punto 2. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo stabilire nella misura di 2.000,00 Euro. A norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196/03 deve disporsi l'oscuramento dei dati identificativi delle parti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Dispone l'oscuramento dei dati identificativi.