La relazione tra l’amministratore di sostegno e la sua assistita non basta per escludere il peculato

L’imputato ricorre per cassazione contro la sentenza di merito con la quale veniva ritenuto responsabile di peculato per essersi appropriato, in qualità di amministratore di sostegno, di alcune somme di denaro della sua assistita. La relazione sentimentale tra ricorrente e amministrata non giustifica il reato di peculato. Chiara la decisione della Suprema Corte.

Sul tema la Cassazione con sentenza n. 27727/18 depositata il 15 giugno. Il fatto. Con la sentenza in commento la Corte d’Appello di Genova confermava la condanna dell’imputato alla pena di 3 anni di reclusione per il reato di cui all’art. 314 c.p. Peculato per essersi appropriato, in qualità di amministratore di sostegno, del denaro della sua assistita. Il condannato proponendo ricorso per cassazione contro la citata decisione denuncia illogicità della motivazione del Giudice di merito nella parte in cui, sottolinea il ricorrente, non era stata presa in considerazione, per escludere la responsabilità dello stesso, la relazione sentimentale tra l’imputato e l’amministrata che giustificava il trasferimento di denaro come regalie e dazioni. Il motivo di ricorso è disatteso dalla Suprema Corte. La relazione sentimentale tra imputato e amministrata. Infatti, osserva il Collegio, le ragioni di critica del ricorrente non sono fondante posto che correttamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la somma, oggetto del reato, fosse priva di valida giustificazione. In particolare l’esistenza di una relazione tra imputato e amministrata non era sufficiente a colmare la lacuna certificativa degli atti di causa in relazione alle regalie nei termini quantitativi indicati nell’imputazione. Infine, precisa la Cassazione, altrettanto correttamente la Corte territoriale ha qualificato il fatto appropriativo come reato di peculato e non come truffa in quanto non vi è nessuna prova in atti in ordine all’uso di artifici o raggiri ai danni della persona offesa per l’acquisizione delle somme dato che quest’ultime sono state invece oggetto di successiva appropriazione in quanto già precedentemente nella diretta ed immediata disponibilità dell’imputato quale amministratore di sostegno . In conclusione il Supremo Collegio rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 maggio – 15 giugno 2018, n. 27727 Presidente Paoloni – Relatore Gianesini Ritenuto in fatto 1. Il Difensore di C.G. ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di GENOVA ha confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato l’imputato alla pena di tre anni di reclusione per il reato di cui all’art. 314 cod. pen. per essersi appropriato, quale amministratore di sostegno, del denaro della sua assistita. 2. Il ricorrente ha dedotto due motivi di ricorso, per violazione di legge penale sostanziale e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1 lett. b ed e cod. proc. pen. 2.1 Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato vizi di manifesta illogicità della motivazione che aveva elaborato un ragionamento difforme dall’esito delle risultanze probatorie dato che, sul punto delle regalie per circa 10.000 Euro, la testimonianze conclamavano in realtà l’esistenza di una relazione sentimentale tra l’imputato e la amministrata e l’effettività di un trasferimento di quest’ultima in una struttura di recupero giustificata dalle condizioni di salute della donna, così che in realtà non vi era la prova che le dazioni e le regalie non fossero state approvate dalla amministrata, come del resto dimostrato da una relazione dei servizi sociali del tutto trascurata dalla Corte. Quanto poi all’utilizzo dell’automezzo, il ricorrente ha lamentato che la Corte non avesse valutato il fatto che il C. aveva dimostrato di aver utilizzato il mezzo per esigenze della persona offesa. 2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente ha riproposto il tema della qualificabilità del fatto in termini di truffa ex art. 640 cod. pen. e non di peculato ex art. 314 cod. pen., posto che l’imputato aveva in realtà posto in essere una condotta fraudolenta per ottenere l’intestazione a se stesso degli assegni emessi dalla amministrata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 2. Va chiarito preliminarmente che, secondo o fatti come accertati nel giudizi di merito, la somma oggetto di appropriazione da parte dell’imputato ammonta ad una cifra non inferiore ai 9.722 Euro, di cui una parre preponderante, oltre 10.000 Euro, indicati nel rendiconto come regalie e una parte minima, circa 2.000 Euro, costituenti invece spese di manutenzione e assicurazione dell’auto del C. . 3. Così delimitato l’ambito quantitativo e la composizione finanziaria delle somme oggetto di appropriazione, va allora osservato che le ragioni di critica svolte nel ricorso non sono fondate quanto alla somma indicata come regalie , infatti, la Corte ha adeguatamente osservato, con motivazione esente da censure, che i relativi importi ammontavano in realtà, come affermato dalla stessa L. , a qualche saltuaria e sporadica corresponsione di 10/20 Euro, così che l’intera somma sopra indicata è praticamente priva di valida giustificazione anche il tema, riproposto con il ricorso, della esistenza di una sorta di relazione sentimentale tra l’imputato e l’amministrata che avrebbe giustificato le cc.dd. regalie nei termini quantitativi indicati nella imputazione e poi ritenuti dalla Corte non ha trovato alcun riscontro negli atti di causa al di là della certa ma sporadica presenza dell’imputato nella abitazione della donna nelle prime ore del mattino, in ogni caso insufficiente a colmare la lacuna certificativa di cui si è detto. 3.1 Anche la documentazione che il ricorrente indica come trascurata dalla motivazione della Corte, quella dei Servizi sociali secondo i quali il C. riceveva in dono dalla donna importanti somme di denaro, non sembra davvero decisiva se si valuta, da un lato, che la relazione stessa data da ben prima dell’inizio della amministrazione di sostegno da parte dell’imputato e, dall’altra, che comunque ed in ogni caso era specifico obbligo del C. documentare nel rendiconto l’entità di dette entrate e dare ragione della mancata giustificazione del correlativo ammanco, cosa che non è mai stata fatta nel corso del procedimento. 3.2 Sul tema delle spese per l’autovettura, infine, la Corte ha del tutto adeguatamente ed analogamente osservato che le relative uscite non avevano trovato alcuna giustificazione riferibile a interventi a favore della assistita, al di là della indicazione di qualche viaggio alla volta di FIRENZE. 4. Il fatto appropriativo in esame, infine, è stato correttamente qualificato dalla Corte come peculato e non come truffa posto che difetta radicalmente in atti qualsiasi indicazione in ordine all’uso di artifici o raggiri ai danni della persona offesa direttamente causativi della acquisizione della disponibilità delle somme in questione, somme che sono state invece oggetto di successiva appropriazione in quanto già precedentemente nella diretta ed immediata disponibilità dell’imputato quale amministratore di sostegno della L. così da ultimo, per la differenza tra peculato e truffa, Cass. Sez. 6 6/2/2014 n. 15795, Campanile, Rv 260154 . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.