Inconsapevolmente padre: condannato comunque per violazione degli obblighi di assistenza familiare

L’obbligo giuridico di contribuzione in capo al genitore e in favore del figlio naturale, sussiste fin dalla nascita del minore e non dalla data della sentenza che ne abbia accertato la paternità.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27194/18, depositata il 13 giugno. Il fatto. La Corte d’Appello di Palermo rideterminava la pena inflitta in primo grado all’imputato per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare commesso ai danni del figlio minore. Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato dolendosi del fatto che i giudici di merito abbiano contestato l’omessa assistenza familiare dalla data di nascita del bambino e non da quella in cui la madre aveva convenuto in giudizio lo stesso ricorrente per sentirne dichiarare la paternità. Contestazione. La Corte territoriale ha correttamente applicato il principio secondo cui l’obbligo giuridico di contribuzione in capo al genitore e in favore del figlio naturale, sussiste fin dalla nascita del minore e non dalla data della sentenza che ne abbia accertato la paternità. La violazione dell’obbligo di mantenimento del genitore si configura infatti in termini astratti per poi essere posta in relazione con la concreta affermazione della colpevolezza secondo i principi generali in materia di contestazione ed anche in presenza di contestazione c.d. chiusa – ovvero quando l’imputazione contenga una data iniziale ed una finale -. In tal caso, in relazione ad un eventuale ulteriore segmento della condotta illecita, deve essere modificato il capo di imputazione e, nell’ipotesi di imputato contumace o assente, è necessario provvedere alla notifica dell’estratto del verbale dibattimentale contenente la nuova contestazione. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha correttamente rilevato che non si è in presenza di una modifica della contestazione da parte del giudice di prime cure ma un mero contrasto tra motivazione e dispositivo. Non è dunque configurabile un’ipotesi di nullità, dovendo semplicemente dare prevalenza all’elemento decisionale risultante dal dispositivo. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 maggio – 13 giugno 2018, n. 27194 Presidente Rotundo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Palermo, concessegli le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato in mesi due di reclusione ed Euro 200,00 di multa la pena inflitta ad L.A. per il reato di cui all’art. 570, comma 2, n. 2 cod. pen., commesso in Palermo dal 1 marzo 2010 al 1 dicembre 2011 in danno del figlio minore. Ne ha confermato la condanna generica al risarcimento del danno, con assegnazione di una provvisionale in favore della parte civile di Euro cinquemila. 2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. il ricorrente denuncia 2.1. vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 516, 521, 522 e 187 comma 3, cod. proc. pen., poiché, a fronte della contestazione temporalmente determinata in relazione al periodo marzo 2010/dicembre 2011, e a partire dalla data in cui la madre del minore aveva convenuto in giudizio l’imputato per sentirne dichiarare la paternità del minore, il Tribunale ha, invece, ritenuto che l’obbligo a carico del ricorrente decorresse dalla data di nascita del bambino avvenuta il g. 11 dicembre 2008 , estensione che realizza una indebita violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza con conseguenze che si riverberano sulle conseguenti statuizioni civili. Da qui la nullità della sentenza di appello per il mancato accoglimento dell’eccezione difensiva 2.2. violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento delle prove dichiarative con riferimento alla impossibilità di adempiere. I giudici di merito hanno ritenuto accertato che l’imputato fosse stato allontanato dalla casa dei genitori avesse frequentato uno stage formativo a Malta e, rientrato in Itali, fosse stato ospitato dalla nonna materna iniziando a lavorare solo a partire dal gennaio 2012 epoca dalla quale iniziava a corrispondere alla persona offesa quanto dovuto per il mantenimento del minore. La sentenza impugnata, pur ritenendo pacifiche tali circostanze fattuali attestanti l’impossibilità di adempiere, ha, invece, travisato le dichiarazioni rese dalla persona offesa e dal padre di costei, circa l’agiato tenore di vita che l’imputato nel frattempo conduceva e pur avendo i testi confermato di non sapere se l’imputato svolgesse attività lavorativa. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere rigettato. 2. È infondato il primo motivo di ricorso. 2.1. La Corte territoriale cfr. pag. 2 della sentenza impugnata ha escluso che ricorresse una nullità per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza sul rilievo che la sentenza di condanna aveva affermato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli, benché, nel corpo della motivazione, fosse illustrato il principio secondo il quale l’obbligo di giuridico di contribuzione in capo all’imputato, in favore del figlio naturale, sussiste fin dalla nascita del minore, e non dalla data della sentenza che ne accertato la paternità e fin da tale momento sussiste la correlata violazione penale di cui all’art. 570, comma 2, n. 2 cod. pen 2.2. Ritiene il Collegio che tale affermazione di principio sia senza dubbio esatta, se correlata all’astratto accertamento della configurabilità dell’obbligo di mantenimento del genitore in favore del figlio minore naturale, affermazione che, tuttavia, in relazione alla concreta affermazione del giudizio di colpevolezza, deve confrontarsi con i principi generali in materia di contestazione e che in presenza di contestazione cd. chiusa, come nella fattispecie, ossia quando l’imputazione contenga una data iniziale e finale della condotta, esigono, ai fini della validità del giudizio di colpevolezza pronunciato in relazione ad ulteriore segmento della condotta illecita, la modifica del capo di imputazione, attraverso il riferimento all’ulteriore durata della permanenza del delitto contestato e con la conseguenza che, nell’ipotesi di imputato contumace o assente, è necessario provvedere alla notifica dell’estratto del verbale dibattimentale contenente la nuova contestazione Sez. 6, n. 5576 del 26/01/2011 - dep. 14/02/2011, Cacozza, Rv. 249468 . Se è vero, infatti, che il reato di cui all’art. 570, comma 2, n. 2 cod. proc. pen., involge una serie di condotte omogenee è indubbio che la estensione temporale della condotta omissiva, sia prima che dopo quella oggetto di contestazione, comporti una sostanziale modifica dell’imputazione che concerne, nella struttura della fattispecie incriminatrice, circostanze positive, quali lo stato di bisogno del destinatario della prestazione, o negative, e, cioè elementi dai quali possa desumersi l’impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, e rispetto a ciascun elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice deve dispiegarsi, attraverso la contestazione, il diritto di difesa dell’imputato. 2.3. Nel caso in esame, tuttavia, la Corte di appello ha correttamente rilevato come nella decisione impugnata si sia in presenza non già di una modifica della contestazione, realizzata dal giudice di primo grado attraverso la decisione, ma di un mero contrasto tra la motivazione ed il dispositivo che rimanda espressamente, senza alcuna precisazione in punto di tempus commissi delicti, alla contestazione ove era richiamata la estensione temporale dell’omissione contributiva a far data dalla proposizione della domanda giudiziale di accertamento della paternità cioè al marzo 2010 . In tale evenienza, secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza di questa Corte, non si è in presenza di una decisione inficiata da nullità, ma in una fattispecie in cui va data logica prevalenza all’elemento decisionale, risultante dal dispositivo, rispetto a quello giustificativo, chiaramente servente rispetto al primo Sez. 5, n. 22736 del 23/03/2011, Corrado e altri, Rv. 250400 Sez. 6, n. 19851 del 13/04/2016, Mucci, Rv. 267177 , donde l’esatta conclusione dei giudici di appello che alcuna violazione del principio di correlazione poteva riscontrarsi per mancanza di un elemento strutturale e, cioè, di una decisione che avesse realizzato una immutazione del fatto implicante la violazione dei diritti di difesa dell’imputato, esattamente condannato per il fatto che gli era addebitato in contestazione. 2.4 Né dal contenuto della sentenza di primo grado, in presenza di una condanna generica al risarcimento del danno, emergono elementi indicativi di una decisione che abbia esteso temporalmente la contestazione, che, nelle sue componenti essenziali va ricondotta ai fatti storici enucleati nella formulazione dell’imputazione ed alla correlativa decisione emergente dal dispositivo. 3. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso, in presenza di una congrua motivazione dei giudici del merito sul punto della insussistenza di una causa di giustificazione dell’inadempimento che non si esaurisce nella allegazione di mere difficoltà economiche ma richiede, a cura dell’imputato, la dimostrazione dell’impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione Sez. 6, n. 7372 del 29/01/2013, S., Rv. 254515 . In applicazione di questi principi e valorizzando con argomentazioni del tutto logiche le dichiarazioni rese dalla parte civile, dal padre della ragazza e dallo stesso imputato, i giudici del merito hanno ritenuto accertato che il ricorrente aveva frequentato un corso di formazione all’estero e proveniva da famiglia agiata che gli assicurava un buon tenore di vita, e, conseguentemente, hanno escluso che versasse in una situazione economica tale che gli precludesse di assistere economicamente il figlio e tale da giustificare il totale disinteresse dimostrato per l’accudimento delle elementari esigenze di vita del bambino. 4. Men che mai è ravvisabile il denunciato travisamento delle prove dichiarative rivenienti dalla parte civile e dal padre della teste, che ricorre solo quando il travisamento abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 - dep. 20/02/2018, Grancini, Rv. 272406 . Dichiarazioni che, nel caso, sono state concordemente apprezzate dai giudici del merito e valorizzate non tanto con riguardo allo svolgimento di attività lavorativa da parte dell’imputato ma con riferimento alle sue generali condizioni di vita e che non sono state ritenute confacenti con la impossibilità di adempiere al mantenimento del figlio. 5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.