Eutanasia o sedazione palliativa? Confermata la misura cautelare per l’anestesista che provocò la morte del fratello

La consapevolezza e la volontà della sorella di porre fine alla sofferenza del fratello malato terminale portano i Supremi Giudici a confermare la misura cautelare del divieto di espatrio, in riferimento al pericolo di fuga e reiterazione del reato facilitata dalla disponibilità dei farmaci in relazione alla professione di medico anestesista.

Con la sentenza n. 26899/18, depositata il 12 giugno, la Corte di legittimità, pronunciandosi sull’impugnazione dell’ordinanza con cui il Tribunale di Genova confermava il rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare in atto del divieto di espatrio, ha l’occasione di affrontare il tema della differenza tra eutanasia e sedazione palliativa. Nella vicenda in esame, l’indagata era stata sottoposta alla misura cautelare citata in relazione al pericolo di fuga e di recidiva in relazione al contestato reato di omicidio del fratello, malato terminale, tramite somministrazione di farmaci di cui la donna aveva disponibilità in ragione della professione di medico anestesista. Misura cautelare. Gli Ermellini ricordano che l’eutanasia, secondo la classica e condivisa definizione , è intesa come l’ azione od omissione che ex se procura la morte, allo scopo di porre fine ad un dolore . La sedazione profonda rientra invece nella medicina palliativa e fa ricorso alla intenzionale somministrazione di farmaci al fine di ridurre o addirittura annullare la coscienza del paziente ed alleviarlo così da sintomi fisici o psichici intollerabili nelle condizioni di imminenza della morte con prognosi di ore o poco più per malattia inguaribile in stato avanzato e previo consenso informato . Avendo riscontrato nella ricorrente la piena consapevolezza e la chiara e specifica volontà di provocare con non irrilevante anticipo la morte del, non informato né consenziente, fratello – e non semplicemente praticarne la sedazione palliativa come si prospetta nel ricorso - , sottolineando inoltre i sospetti di casi analoghi, la facilità di accesso ai farmaci necessari ed il solido radicamento all’estero, il Tribunale ha correttamente motivato la propria decisione che viene quindi confermata anche dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 settembre 2017 – 12 giugno 2018, n. 26899 Presidente Cortese – Relatore Novik Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 24/03/2017 il Tribunale di Genova, in funzione di giudice del riesame, ha rigettato l’appello proposto ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. nell’interesse di C.M. avverso l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di La Spezia del 20/02/2017 di rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare in atto del divieto di espatrio in ordine ai reati di cui agli artt. 575, 576 n. 1, 577, 110, 485 e 491 cod. pen. omicidio del fratello C.M.V. nonché formazione e uso di falso testamento olografo del fratello . Il G.I.P. aveva osservato che permaneva il pericolo di fuga, disponendo l’indagata di molteplici contatti personali e professionali - sia nella Guyana francese, luogo di svolgimento dell’attività lavorativa di medico anestesista, che altrove utilizzabili per sottrarsi alla pretesa punitiva dello Stato, e che la misura, minimamente invasiva, appariva indispensabile per salvaguardare le esigenze cautelari. Il Tribunale del riesame ha rilevato l’esistenza di un rischio di reiterazione dei reati, sebbene non esplicitamente ribadito dal G.I.P., alla luce delle modalità dell’azione, delle pregresse esperienze di eutanasia risultanti dalla conversazione telefonica n. 61 del omissis aiuti prestati al padre e al fratello di tale Ma. , della professione esercitata e della facilità di accesso ai farmaci all’uopo necessari, e ha confermato la persistenza del pericolo di fuga, correlato alla variegata e lunga esperienza dell’indagata, emergente dai molteplici incarichi assunti tra il 2000 e il 2015 e dall’iscrizione all’AIRE, che le consente di muoversi con disinvoltura in realtà diverse, svolgere l’attività lavorativa ovunque e sfruttare il suo radicamento all’estero. 2. La C. , a mezzo dei propri difensori, propone ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame sulla base dei motivi di impugnazione di seguito indicati. 2.1. Vizio di motivazione in ordine alla persistenza delle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura in atto in relazione all’art. 274, comma 1, lett. c , cod. proc. pen Si deduce l’assenza di motivazione in ordine alla persistenza del pericolo concreto e attuale di recidiva, osservando che il giudice del riesame si è limitato a ripercorrere ab origine gli elementi di accusa indicati dal P.M., attinenti alla gravità indiziaria e privi di rilevanza prognostica in un’ottica specialpreventiva nonostante il considerevole lasso di tempo dal fatto, si rileva l’assenza di motivazione in relazione al requisito dell’attualità. La motivazione risulterebbe poi viziata nella parte dell’indebita sovrapposizione dei concetti di eutanasia e sedazione palliativa del malato terminale. Né il pericolo di recidiva può essere ancorato allo svolgimento di professione medica, in quanto all’estero sarebbe soggetto a controlli meno stringenti, trattandosi di affermazione del tutto congetturale. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di un concreto e attuale pericolo di fuga, ai sensi dell’art. 274, comma 1, lett. b , cod. proc. pen Si sostiene che l’ordinanza non reca l’indicazione delle ragioni per le quali la residenza all’estero dell’indagata e la sua maturata esperienza professionale in ordine alle organizzazioni umanitarie costituirebbero occasione di nuovi contatti lavorativi, rendendo concreto e attuale il pericolo di una sua sottrazione alla pretesa punitiva dello Stato. In particolare la documentata trasparenza dei rapporti con detti enti escluderebbe il predetto rischio. Congetturale e generico sarebbe anche il riferimento a una non meglio specificata disinvoltura dell’indagata. Si osserva infine che il trasferimento della C. in un paese estero in epoca di molto antecedente all’inizio del procedimento non può rappresentare di per sé un criterio sintomatico della situazione di pericolosità di cui all’art. 274, comma 1, lett. b , cod. proc. pen Né risultano sufficienti la mera residenza all’estero o la disponibilità all’estero di mezzi e strutture, trattandosi di aspetti funzionali all’AIRE. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Si ritiene opportuno preliminarmente ricordare che per eutanasia, secondo classica e condivisa definizione, s’intende un’azione od omissione che ex se procura la morte, allo scopo di porre fine a un dolore. La sedazione profonda, invece, è ricompresa nella medicina palliativa e fa ricorso alla somministrazione intenzionale di farmaci, nella dose necessaria richiesta, per ridurre, fino ad annullare, la coscienza del paziente, per alleviarlo da sintomi fisici o psichici intollerabili nelle condizioni di imminenza della morte con prognosi di ore o poco più per malattia inguaribile in stato avanzato e previo consenso informato. Ciò chiarito, si osserva che il Tribunale, facendo riferimento, da un lato, alla piena consapevolezza e chiara e specifica volontà dell’indagata di provocare con non irrilevante anticipo la morte del, non informato né consenziente, fratello,- e non semplicemente praticarne la sedazione palliativa, come si prospetta nel ricorso -, ai sospetti casi di analoghi interventi effettuati in precedenza e alla facilità di accesso, anche illecito, ai farmaci all’uopo necessari, e, dall’altro, al solido radicamento all’estero della ricorrente e alla sua possibilità di muoversi e operare agevolmente nelle realtà più disparate, ha reso una motivazione sufficiente e non manifestamente illogica a sostegno della persistenza dei presupposti cautelari pericoli di recidivanza e fuga giustificativi della contenuta misura del divieto di espatrio. Da tale motivazione emerge infatti un atteggiamento della ricorrente tuttora incline a reiterare, con l’utilizzo della propria competenza professionale, comportamenti di positiva agevolazione dei decessi e, parallelamente, a sottrarsi, grazie ai molteplici contatti e alla facile mobilità in campo internazionale, al controllo e alla specifica pretesa di perseguirla penalmente per uno dei detti comportamenti da parte di uno Stato del quale, all’evidenza - come si evince dalla riferita posizione difensiva tenuta innanzi al TdR -, essa non condivide la definizione e la valutazione delle pratiche eutanasiche. Superfluo, infine, aggiungere che nessuno può invocare la propria pluriennale e ulteriormente auspicata esperienza lavorativa all’estero come uno speciale status che lo sottrae alle minimali esigenze della giustizia italiana. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.