Inammissibile l’opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo PEC

Stante il principio di tassatività e inderogabilità delle forme di presentazione dell’impugnazione, è inammissibile l’opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo PEC, poiché manca una norma, tra quelle che regolamentano il procedimento penale, che consenta l’inoltro in via telematica degli atti di parte.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 25986/18 depositata il 7 giugno. Il caso. Il GIP dichiarava inammissibile l’opposizione al decreto penale di condanna presentata a mezzo PEC dall’imputato, il quale ricorre in Cassazione richiamando quanto disposto dal d.P.R. n. 68/2005 che equipara il valore legale della posta certificata a quello della raccomandata postale. L’inammissibilità del ricorso. Secondo l’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte è inammissibile la presentazione dell’opposizione al decreto penale di condanna a mezzo PEC, trattandosi di una modalità non prevista dalla legge, stante il principio di tassatività delle forme di presentazione delle impugnazioni. Infatti, nonostante la legge n. 221/2012 abbia introdotto l’obbligatorietà delle notificazioni a carico della Cancelleria in via telematica presso l’indirizzo di posta elettronica da parte di tutti i soggetti obbligati ex lege ad averlo, dispone la differenza tra processo civile, nel quale l’obbligo concerne tutti gli atti indipendentemente dalla parte che ne sia destinataria, e processo penale dove tale obbligo concerne tutte le parti diverse dall’imputato, per il quale rimangono ferme le forme di comunicazione e notificazione tradizionali. Tale differenza tra i due processi vale anche per il deposito degli atti di parte posto che, mentre nel processo civile il procedimento di digitalizzazione, gradualmente introdotto, è stato concluso, in quello penale non è stato neppure avviato, rimanendo applicate le tradizionali forme di presentazione delle impugnazioni indicate dagli artt. 582 e 583 c.p.p Per questi motivi la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 maggio – 7 giugno 2018, n. 25986 Presidente Diotallevi – Relatore Pardo Ritenuto in fatto e in diritto 1.1 Il G.I.P. presso il Tribunale di PATTI, con ordinanza in data 23/01/2018, dichiarava inammissibile l’opposizione al decreto penale di condanna avanzata a mezzo P.E.C. da R.G. in relazione al decreto dell’8 settembre 2017. 1.2 Proponeva ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il seguente motivo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta assenza di ritualità della proposta opposizione a mezzo posta certificata poiché, in virtù del D.P.R. 68/2005, il valore legale della posta certificata è stato equiparato alla raccomandata postale. 2.1 Il ricorso è inammissibile perché manifestamente non fondato. Ed infatti, secondo la giurisprudenza di questa corte è inammissibile l’opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di Posta Elettronica Certificata, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, stante il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni Sez. 3, n. 50932 del 11/07/2017, Rv. 272095 . E ciò perché manca nelle disposizioni che regolamentano il processo penale, a differenza di quanto previsto per il procedimento civile, una norma che consenta l’inoltro in via telematica degli atti di parte. Invero il decreto legge 179/2012, convertito nella legge 221/2012, che nella graduale trasformazione del sistema processuale tradizionale dei vari settori in giustizia digitale configura il testo cardine del processo telematico, ha introdotto con l’articolo 16 l’obbligatorietà delle comunicazioni e notificazioni a carico della Cancelleria in via telematica presso l’indirizzo di posta elettronica nei confronti di tutti i soggetti obbligati ex lege ad averlo e ciò sia nel processo civile dove l‘obbligo concerne tutti gli atti indipendentemente dalla parte che ne sia destinataria, sia nel processo penale dove l’obbligo dell’inoltro in via telematica concerne tutte le parti diverse dall’imputato per il quale rimangono ferme le forme di comunicazione tradizionale. Diversa è invece la situazione del deposito degli atti di parte atteso che mentre nel processo civile il procedimento di digitalizzazione, gradualmente introdotto, è sostanzialmente ormai concluso, in quello penale non è stato neppure avviato l’articolo 16-bis ha infatti disposto che il deposito degli atti afferenti al procedimento monitorio e a quelli cd. endoprocessuali del procedimento contenzioso civile, e cioè successivi a quelli di instaurazione della controversia, debba essere obbligatoriamente effettuato in via telematica, sia pure dopo una prima fase cd. transitoria in cui il deposito telematico era previsto solo in via facoltativa, ovverosia lasciando aperta l’opzione con il deposito tradizionale in forma cartacea. Non essendo stata dettata alcuna analoga disposizione per il procedimento penale, alla parte privata non è conseguentemente consentito nel suddetto processo l’uso di tale mezzo informatico per la trasmissione dei propri atti ad altre parti né per il deposito presso gli uffici, restando l’utilizzo della posta elettronica certificata riservato, come si è visto, alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex articolo 151 c.p.p. e per le notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall’Autorità giudiziaria, giudice o pubblico ministero che sia. D’altra parte l’inesistenza nel procedimento penale di un fascicolo telematico, che costituisce il necessario approdo dell’architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti, rende l’atto depositato a mezzo PEC di fatto anch’esso inesistente, necessitando per essere visibile in concreto dell’attività di stampa da parte della cancelleria che dovrebbe comunque inserire il documento nel fascicolo d’ufficio, di formazione e composizione esclusivamente cartacea. Allo stato degli atti deve quindi ritenersi che le parti private, e per esse i propri difensori, possano assumere, quanto all’utilizzo del sistema telematico, soltanto la posizione di soggetti destinatari delle comunicazioni, ma mai di soggetti agenti non essendo loro consentito, in difetto di un’esplicita norma in tal senso, effettuare comunicazioni o deposito di atti a mezzo PEC, le cui forme sono tassativamente disciplinate dal codice di procedura penale. De resto, tale principio risulta affermato anche con riferimento ad altri casi difatti si è ritenuto che è inammissibile l’impugnazione cautelare proposta dal P.M. mediante l’uso della posta elettronica certificata c.d. PEC , in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’articolo 583 cod. proc. pen. - esplicitamente indicato dall’articolo 309, comma quarto, a sua volta richiamato dall’articolo 310, comma secondo, cod. proc. pen. - e applicabili anche al pubblico ministero sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC Sez. 5, n. 24332 del 05/03/2015, Rv. 263900 . In forza delle predette considerazioni, pertanto, l’impugnata ordinanza non merita censura alcuna. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila a favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. Sentenza a motivazione semplificata.