La condivisione di file a contenuto pedopornografico è divulgazione o mera cessione?

Ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 600-ter c.p., il giudice deve valutare la portata della condotta per accertare la sussistenza di una diffusione del materiale pedopornografico o la mera offerta o cessione ad un determinato soggetto.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23844/18 depositata il 28 maggio. La vicenda. La Corte d’Appello di Firenze confermava la condanna inflitta in primo grado all’imputato per essersi procurato, aver detenuto e divulgato tramite E-mule materiale pedopornografico. Avverso la decisione ricorre per cassazione l’imputato dolendosi per l’erronea connotazione della condotta quale diffusione” per mancanza dell’elemento soggettivo posto erano contestate due sole connessioni, effettuate a distanza di 31 minuti l’una dall’altra, e dirette ad un soggetto determinato, potendo al più configurarsi il reato di offerta o cessione di cui al comma 4 dell’art. 600- ter c.p Divulgazione. La Corte di Cassazione, sottolineando che dal materiale probatorio non è possibile accertare se i contenuti pedopornografici siano effettivamente stati inviati ad un solo soggetto o a diverse persone, annulla la sentenza impugnata. La Corte territoriale ha infatti fornito una motivazione carente sulla rilevanza di detta circostanza ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Il ricorrente lamenta infatti che la semplice utilizzazione di file sharing , con acquisizione e condivisione con altri utenti di file a contenuto pedopornografico, non dimostra di per sé la volontà di divulgazione degli stessi. Il giudice del rinvio dovrà dunque procedere ad un nuovo esame della vicenda.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 febbraio – 28 maggio 2018, n. 23844 Presidente Rosi – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. N.R. ha proposto ricorso avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Firenze in data 25/11/2016 di conferma della sentenza del Tribunale di Firenze di condanna per i reati di cui agli artt. 600 ter, comma 3 capo a , 600 quater commi 1 e 2 capo b e 600 quater comma 1 cod. pen. capo c per essersi procurato, avere detenuto su supporti informatici e divulgato, mediante il programma E-mule, in relazione a due connessioni del omissis , materiale pedopornografico. 2. Con un primo motivo lamenta, in relazione al reato di cui al capo a , l’erronea connotazione della condotta in termini di diffusione nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione concernente la presenza dell’elemento soggettivo. Deduce che nelle due connessioni effettuate a distanza di 31 minuti l’una dall’altra utilizzando due IP diversi corrispondenti alla utenza telefonica intestata alla convivente B.S., non può configurarsi alcuna condotta di divulgazione che peraltro sarebbe comunque esclusa laddove le indagini sono consistite in intercettazione telematica a carico di un soggetto determinato, ovvero S.S., con conseguente integrazione, semmai, del reato di offerta o cessione di cui al comma 4 lamenta inoltre che, non essendo state rinvenute sul computer portatile in sequestro tracce del suo utilizzo per procurarsi contenuti di natura pedo-pornografica, la sentenza, per via congetturale, sarebbe giunta a ritenere che il fatto sia stato commesso dall’imputato presumibilmente utilizzando un altro computer non reperito all’atto della perquisizione. Infine, lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato giacché la semplice utilizzazione di file sharing che comportino l’acquisizione e la condivisione con altri utenti di file a contenuto pedopornografico non dimostra di per sé in alcun modo la volontà di divulgazione degli stessi. 3. Con un secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 15, 62 bis e 133 cod. pen. per omessa motivazione sul diniego di concessione delle attenuanti generiche fondato sull’ingente quantitativo di materiale pedopornografico detenuto, senza considerare che la diffusione contestata al capo a riguardava un solo file e che il reato del quantitativo era già stato considerato dal primo giudice quale circostanza aggravante del reato sub b . Sottolinea, del resto, che la concessione delle attenuanti generiche non implica necessariamente un giudizio di non gravità del fatto-reato. 4. Con un terzo motivo lamenta violazione di legge in relazione all’aumento di pena per la continuazione fondato sempre sulla quantità di materiale detenuto. In questo modo, la Corte avrebbe posto a carico dell’imputato un elemento già valorizzato nell’ambito del complessivo trattamento sanzionatorio, altresì considerato quale circostanza aggravante del delitto di cui al capo b della rubrica nonché rilevato per negare la concessione delle attenuanti generiche. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è fondato nei limiti di cui oltre. Va anzitutto chiarito che la motivazione della sentenza impugnata, letta in connessione con quella di primo grado, appare offrire una logica, motivata e pertanto insindacabile, spiegazione della riferibilità del video di cui al capo a la cui divulgazione viene ivi contestata alla persona del ricorrente. È, sul punto, dirimente la circostanza che detto video, individuato ed acquisito dalla Polizia postale a seguito di intercettazione telematica effettuata a carico di tale S., è risultato essere stato inviato, in due distinte occasioni e a breve distanza di alcuni minuti l’una dall’altra, da due indirizzi IP facenti capo ad utenza telefonica nella titolarità di B.S., convivente del ricorrente. Appare dunque del tutto giustificata la conclusione, cui sono giunte le pronunce di merito, secondo cui, essendo l’imputato dedito alla detenzione di materiale pedopornografico come desunto dal rinvenimento nella sua disponibilità di numeroso materiale in tal senso , e risultando invece la B. estranea a fatti del genere e non avendo altre persone fatto utilizzazione delle apparecchiature informatiche presenti nella casa comune, la trasmissione del video deve essere attribuita a N Del resto, i presupposti fattuali valorizzati in tal senso anche dalla sentenza impugnata non sono stati contestati dal ricorrente che ha unicamente posto in evidenza il fatto che, come accertato dal consulente del P.M., dal computer dell’imputato rivenuto durante la perquisizione domiciliare svolta, il video non risulta essere stato inviato ciò che, tuttavia, tenuto conto della logica possibilità di utilizzo di altro strumento non rinvenuto, debitamente posta in evidenza dalla Corte territoriale, non può inficiare il ragionamento deduttivo svolto dalla sentenza ed appena sopra ricordato. 2. Ciò posto, è invece assente la spiegazione offerta dalla sentenza circa la prova della sussistenza della condotta di divulgazione di materiale della cui natura pedopornografica l’imputato avesse la necessaria consapevolezza, aspetto già investito dalle censure mosse con l’atto di appello. Come già ricordato, risulta che il video non è stato rinvenuto materialmente su alcun dispositivo riferibile all’imputato, ma è stato oggetto di intercettazione operata sulla persona di soggetto che ebbe a riceverlo non è dato perciò comprendere con chiarezza, dalla sentenza impugnata, se il materiale sia stato concretamente inviato al solo S. od anche ad altri soggetti, del resto mai menzionati specificamente dai giudici di merito, e se l’invio del video, che parrebbe essere stato effettuato via E-Mule pur non essendo mai stato rinvenuto il dispositivo che tale programma avrebbe utilizzato , e che non risulta essere mai stato visionato dall’imputato, sia avvenuto contestualmente al suo scaricamento sì che diverrebbe necessario sapere se il video sia stato appositamente ricercato in virtù della sua natura, nessun elemento però ricorrendo in proposito oppure no. Detti profili, infatti, appaiono rilevanti, da un lato, al fine della configurazione della condotta illecita, se cioè di divulgazione, come contestato ed implicante il raggiungimento di una serie indeterminata di persone ovvero di mera cessione ad una determinata persona rispettivamente contemplate, infatti, nei differenti commi 3 e 4 dell’art. 600 cit. , e, dall’altro, ai fini della consapevolezza della stessa natura pedopornografica del materiale. Sennonché, su entrambi tali aspetti la sentenza non ha dato alcuna risposta, limitandosi, quanto al secondo, a sottolineare che l’imputato deteneva numerosi file di contenuto pedopornografico, in tal modo illogicamente desumendo la conoscenza della natura del video inviato dal fatto che detenesse altro materiale di analogo contenuto. Ne deriva, assorbiti il secondo e terzo motivo, la necessità di annullamento della sentenza con rinvio sul punto ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze che dovrà comunque, nel procedere alla determinazione della pena base per il ritenuto più grave reato sub a sin qui considerato, escludere dagli elementi valorizzabili ex art. 133 cod. pen., quello dell’ingente quantità del materiale, sia perché attinente al reato satellite sub b , sia perché, comunque, già considerata dalla legge a titolo di circostanza aggravante e, dunque, non valorizzabile una seconda volta. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo a e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso.