La fotografia di luoghi abbandonati (c.d. urbex) e la tutela della proprietà

L’uso non continuativo, purché sia attuale, del bene dell’avente diritto non esclude la violazione di domicilio dell’invasore ex art. 614 c.p In caso di edifici realmente abbandonati, soccorrono le minori ipotesi di invasione di altrui edifici ex art. 633 c.p. – purché l’offensore eserciti un potere di fatto sulla cosa invasa – o di ingresso abusivo nel fondo altrui ex art. 637 c.p

Così la Cassazione, sentenza n. 23579/18, depositata il 25 maggio. Il fatto. Era giunta condanna a carico dell’accusato di violazione di domicilio ex art. 614 c.p. per essersi introdotto nell’abitazione del fratello mediante sostituzione della serratura, nonostante la persona offesa – comodataria del bene - facesse dell’immobile un uso solo saltuario ed avesse in precedenza comunque diffidato l’offensore dall’introdursi nel bene. In occasione del ricorso dell’imputato, rigettato, la Cassazione coglie l’occasione per fissare i paletti perimetrali della fattispecie, anche in relazione alle altre norme poste dall’ordinamento a tutela della proprietà. Per la violazione di domicilio occorre l’attualità dell’uso del bene della persona offesa, non la continuità. Si tratta di un consolidato giurisprudenziale. Non occorre la residenza né l’abitazione della persona offesa, occorre un titolo giuridico per l’avente diritto – che configuri la proprietà, il possesso o la detenzione del bene occupato ovvero lo ius excludendi alios nei confronti di terzi – che consenta un uso funzionale all’esercizio della personalità – intesa quale nucleo di affari personali od economici, ad esempio in ordine ai locali dell’impresa -. Occorre in ogni caso l’attualità dell’uso del bene, il che consente di escludere che possa configurare la violazione di domicilio cit. l’effrazione all’interno di un immobile ormai abbandonato ovvero non ancora abitato. Non occorre la continuità dell’uso, potendo la persona offesa assentarsi per periodi prolungati dell’anno e svolgere per lo più altrove i propri interessi. Sotto la soglia di punibilità per la violazione di domicilio cit., sta l’art. 633 c.p. – invasione arbitraria di altrui terreni od edifici -. Si tratta tuttavia di un reato punibile a querela di parte – salva l’invasione di cinque o più persone –, punito più blandamente. Non occorre la violenza della condotta penetrante. Occorrono la titolarità giuridica in capo alla persona offesa, l’arbitrarietà dell’invasione – contra ius – e l’esercizio in ogni modo da parte dell’invasore di un potere di fatto sulla cosa – il compimento di fotografie o la raccolta di frutti spontanei -. Mentre la presenza di recinzioni, di serrature e di ingressi impeditivi dell’altrui ingresso non fa che consentire di sostenere l’integrazione del dolo. L’ipotesi minore l’ingresso abusivo nel fondo altrui ex art. 637 c.p. Si tratta di reato punito con la sola risibile multa, in cui la presenza di una recinzione, di una siepe viva, di uno stabile riparo o di un fosso di delimitazione perimetrale dei confini costituisce elemento della fattispecie tipica. Si tratta, di sovente, di reato a bassa lesività materiale strumentale all’ingresso in edifici abbandonati, ad esempio configurabile in caso di apposizione, da parte del proprietario, di canonici cartelli di divieto di ingresso agli estranei, tuttavia ignorati dall’offensore.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 febbraio – 25 maggio 2018, n. 23579 Presidente Zaza – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. C.A. ricorre personalmente per cassazione avverso la sentenza emessa il 31/10/2016 dalla Corte di Appello di Milano, che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza, lo ha condannato alla pena di mesi 8 di reclusione per il reato di cui all’art. 614, commi 1 e 4, cod. pen., per essersi introdotto all’interno dell’abitazione di C.M. contro la volontà di quest’ultimo, con violenza sulle cose, consistita nel cambio della serratura. Deduce i seguenti motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento oggettivo lamenta che la sentenza impugnata abbia rinviato per relationem alla sentenza di primo grado, senza valutare la censura difensiva secondo cui alla persona offesa non competeva lo ius excludendi alios l’imputato aveva il possesso delle chiavi dell’immobile, la persona offesa era assente dall’immobile, e, successivamente, è stato fabbricato un documento falso da una parte della famiglia. 1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante lamenta che la sentenza abbia omesso di pronunciarsi sulla sussistenza dell’aggravante, essendo emerso il possesso delle chiavi da parte dell’imputato, che escluderebbe qualsiasi violenza nell’introdursi nell’appartamento l’assenza dell’aggravante comporterebbe l’improcedibilità del reato per mancanza di querela come già nel caso della minaccia o, comunque, l’attenuazione del trattamento sanzionatorio. 1.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo deduce che non sussista una situazione di fatto idonea a sostenere l’affermazione del dolo, in quanto l’immobile era nella titolarità di una società della quale l’imputato era legale rappresentante ed il fratello era sostanzialmente irreperibile. 1.4. Il reato sarebbe comunque estinto per prescrizione il 08/05/2016, prima della sentenza di appello. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile non soltanto perché ripropone i medesimi motivi proposti con l’atto di appello, e motivatamente respinti dalla Corte territoriale, senza alcun confronto argomentativo con la sentenza impugnata ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 31939 del 16/04/2015, Falasca Zamponi, Rv. 264185 Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, Kasem, Rv. 259456 , ma altresì perché propone motivi diversi da quelli consentiti dalla legge art. 606, comma 3, cod. proc. pen. , risolvendosi in doglianze eminentemente di fatto, riservate al merito della decisione, e perché manifestamente infondato. Va innanzitutto evidenziata l’inammissibilità delle doglianze relative alla contestazione della titolarità dello ius excludendi alios in capo alla persona offesa, in quanto, oltre a proporre censure in fatto possesso delle chiavi dell’immobile da parte dell’imputato, assenza della persona offesa e predisposizione di un documento falso , sollecitano, ictu oculi, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767 Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . Al contrario, la sentenza impugnata, con motivazione immune da censure, e dunque insindacabile in sede di legittimità, ha accertato che le due unità abitative dell’immobile oggetto di indebita intrusione, intestato alla società omissis della famiglia C. , erano state concesse in comodato ai due fratelli A. e M. , rispettivamente l’odierno ricorrente e la persona offesa circostanza che, dunque, conferiva al secondo lo ius excludendi alios nei confronti anche del fratello, che pure era stato diffidato dall’occupare anche il secondo appartamento. Tanto premesso, le doglianze proposte con il primo ed il terzo motivo sono altresì manifestamente infondate, in quanto, come è stato correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, la persona offesa, pur dimorando solo saltuariamente nell’appartamento, era titolare dello ius excludendi alios, e il dolo di fattispecie è evidenziato non soltanto dalla volontarietà della condotta, ma, altresì, dalla consapevolezza della sua contrarietà rispetto alla volontà del titolare, che lo aveva espressamente diffidato dall’introdursi nell’immobile. A proposito dell’irrilevanza della saltuarietà dell’uso dell’appartamento, va richiamato il principio di diritto affermato da Sez. 5, n. 48528 del 06/10/2011, B., Rv. 252116, secondo cui integra il delitto di violazione di domicilio la condotta del soggetto che si introduca, contro la volontà di chi ha il diritto di escluderlo, in un locale di pertinenza di un’abitazione, regolarmente chiuso a chiave e saltuariamente visitato e sorvegliato da chi ne abbia la disponibilità, in quanto l’attualità dell’uso non implica la sua continuità e non viene meno in ragione dell’assenza, più o meno prolungata nel tempo, dell’avente diritto. Anche il secondo motivo, con il quale viene contestato il riconoscimento dell’aggravante, è manifestamente infondato, in quanto la sentenza impugnata ha al riguardo motivato affermando che il cambio della serratura, a fronte del diniego del legittimato a concedere l’immobile, integra anche l’aggravante della violenza sulle cose. Infatti, in tema di violazione di domicilio, perché possa ritenersi sussistente l’aggravante della violenza sulle cose, che comporta la procedibilità di ufficio, occorre non solo che l’azione sia esercitata direttamente sulla res , ma anche che essa abbia determinato la forzatura, la rottura, il danneggiamento della stessa o ne abbia comunque alterato l’aspetto e/o la funzione Sez. 2, n. 32277 del 27/05/2010, D’Alfonso, Rv. 248179 Sez. 5, n. 2170 del 04/01/2000, Ferretti S, Rv. 215674 . Ebbene, la violenza sulle cose non è consistita. nella forzatura della serratura della porta di ingresso dell’appartamento, bensì nella sostituzione della stessa, che ne ha alterato la stessa consistenza, e che ha consentito l’ingresso abusivo all’odierno ricorrente, impedendo l’accesso e l’uso al legittimo detentore. Il motivo con il quale viene eccepita l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione è manifestamente infondato, in quanto, tenuto conto dell’aumento di due terzi previsto per l’ipotesi di recidiva specifica e reiterata, il termine massimo di dieci anni scadrà il 08/11/2018, e non già il 08/05/2016, come sostenuto nel ricorso. 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.