Motivazione “sterile” del Tribunale: non basta richiamare la precedente decisione di legittimità per negare il differimento della pena

Il condannato, dopo alcuni anni, richiede nuovamente il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica. I Giudici di merito sbrigativamente riprendono la decisone precedente sulla medesima istanza, la quale aveva superato lo scrutinio di legittimità, e rigettano la domanda. Secondo gli Ermellini ciò non è sufficiente per negare il differimento serve una puntale valutazione dell’evoluzione sanitaria del condannato e del bilanciamento dei diritti fondamentali dell’individuo con le esigenze penali.

Sul tema la Cassazione con sentenza n. 22307/18 depositata il 18 maggio. Il fatto. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava l’istanza di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica promossa dal condannato. Nella decisione di merito si legge che i Giudici avevano dato atto di un analoga istanza disattesa precedentemente, la cui decisione aveva passato indenne il controllo di legittimità da parte della Cassazione. Contro la pronuncia di merito il condannato ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo. Secondo il ricorrente la motivazione dell’ordinanza impugnata era sbrigativa e non approfondiva le relazioni sanitarie né le risultanze mediche in atti o i pareri delle consulenze di parte. La valutazione del giudice e il senso di umanità. Il Supreme Collegio ha ritenuto fondato il motivo di ricorso. Infatti, anche nella decisione dei Giudici di legittimità pronunciata in relazione all’antecedente procedimento di rinvio facoltativo di esecuzione della pena, la Suprema Corte aveva ricordato i consolidati principi in materia fondati sul diritto alla salute e sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzioni di condizioni personali, nonché contrari ai trattamenti contro il senso dell’umanità. In ragione di ciò, ricordano gli Ermellini, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato, oggetto di specifico e rigoroso esame, possano essere adeguatamente assicurate all’interno dell’istituto penitenziario o, comunque, in centri clinici penitenziari e se esse siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena, con un trattamento rispettoso del senso di umanità, tenuto conto anche della durata del trattamento e dell’età del detenuto, a loro volta soggette ad un’analisi comparativa con la pericolosità sociale del condannato . Il Tribunale di Sorveglianza per negare il differimento della pena deve quindi compiere un attento e saggio bilanciamento . Per questi motivi, secondo la Cassazione, nel caso di specie la motivazione della decisione di merito si limita a richiamare la precedente decisione rilevando il superamento del vaglio di legittimità , senza rinnovare la valutazione del citato bilanciamento tra l’evoluzione della situazione sanitaria, dovuta alle ripercussioni dell’aggravamento della salute del condannato in rapporto con l’incidenza dei continui trasferimenti in ospedale dello stesso, e l’esecuzione penale da mantenere nei limii dell’umanità e della rieducazione. In conclusione la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per un nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 aprile – 18 maggio, n. 22307 Presidente Sarno – Relatore Centofanti Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava l’istanza di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell’art. 147, primo comma, n. 2 cod. pen., e quella subordinata di applicazione della detenzione domiciliare, ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen., già avanzate dal detenuto D.M. , ristretto in istituto in espiazione della pena di sette anni di reclusione, inflitta per concorso esterno in associazione di stampo mafioso. Il Tribunale, dato atto che analoga istanza era già stata disattesa nel novembre 2016, con decisione che aveva passato indenne il controllo di legittimità, richiamava gli esiti della rinnovata perizia collegiale, depositata nell’ottobre 2017, da cui emergeva il complessivo quadro multipatologico del condannato. Le affezioni di maggior rilievo erano di natura cardio-circolatoria con diagnosi di cardiopatia ischemica cronica in buon compenso, ipertensione in trattamento farmacologico, quadro stimato come sovrapponibile al pregresso e prostatica in aggravamento, essendo stato recentemente diagnosticato, a fronte di già esistente iperplasia prostatica benigna, un adenocarcinoma acinare, intracapsulare, ben differenziato, con bassi livelli di PSA, da trattare, in seno alle varie opzione terapeutiche ed in accordo con la volontà del paziente, mediante radioterapia . Il medesimo Tribunale, facendo anche riferimento alla propria speciale qualificazione, derivante dalla presenza nel collegio di esperti dotati di competenze mediche, dichiarava di concordare con la valutazione peritale, che indicava le patologie come fronteggiabili in costanza di detenzione, essendo la radioterapia praticabile mediante ricorso al regime di ricovero previsto dall’art. 11 Ord. pen Ricordate le opposte conclusioni rassegnate, in punto di compatibilità con lo stato detentivo, dai consulenti nominati tanto dal Pubblico ministero che dal condannato, ed invero emergenti altresì delle sopravvenute relazioni sanitarie dell’istituto penitenziario, il giudice di sorveglianza argomentava le ragioni che ne impedivano il recepimento. Infine il decidente escludeva che, in rapporto alle condizioni di salute del condannato, che aveva conservato integre le capacità intellettive, e nonostante la sua età 76 anni , la pena in espiazione potesse considerarsi contraria al senso di umanità o priva di significato rieducativo. 2. Ricorre per cassazione il condannato, tramite i difensori di fiducia. Nell’unico articolato motivo si deduce - ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. - la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. L’ordinanza impugnata, secondo il ricorrente, avrebbe sbrigativamente pretermesso le relazioni sanitarie dell’istituto carcerario, successive alla perizia, che davano atto dell’impossibilità di gestire il detenuto in sede penitenziaria. Essa avrebbe altresì valutato in modo parziale e lacunoso le consulenze di parte, inclusa quella della Procura generale presso la Corte di appello. Non vi sarebbe stato così un adeguato confronto con le risultanze mediche in atti, considerate nella loro globalità ed interezza. La praticabilità in costanza di detenzione di terapie antitumorali così invasive sarebbe stata dichiarata con tono meramente assertivo. D. riceverebbe una terapia farmacologica tuttora inappropriata e la radioterapia non potrebbe eseguirsi nei centri clinici dell’Amministrazione. La pena, in queste condizioni, data anche l’età, non potrebbe sortire i previsti effetti rieducativi, e sarebbe contraria al senso di umanità. 3. Alla requisitoria presentata, nei termini di cui in epigrafe, dal Procuratore generale presso questa Corte, la difesa del condannato ha replicato nei termini con memoria confutativa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati. 2. Questa Corte, nella sentenza Sez. 1, n. 39160 del 04/05/2017 pronunciata a definizione dell’antecedente procedimento di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena, per grave infermità fisica, promosso da D. , aveva ricordato i principi cardine di tale istituto. Esso si fonda, come in allora ribadito, sul principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, su quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità ed, infine, su quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo. Il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato, oggetto di specifico e rigoroso esame, possano essere adeguatamente assicurate all’interno dell’istituto penitenziario o, comunque, in centri clinici penitenziari e se esse siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena, con un trattamento rispettoso del senso di umanità, tenuto conto anche della durata del trattamento e dell’età del detenuto, a loro volta soggette ad un’analisi comparativa con la pericolosità sociale del condannato. Tale impostazione riflette consolidati principi, ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui deve farsi ricorso al differimento ex art. 147, primo comma, n. 2 , cod. pen., anzitutto allorché la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione, dovendosi in proposito operare un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività Sez. 1, n. 789 del 18/12/2013, dep. 2014, Mossuto, Rv. 258406 Sez. 1, n. 972 del 14/10/2011, dep. 2012, Farinella, Rv. 251674 . Inoltre, rispetto al medesimo differimento, debbono rilevare anche patologie di entità tale da far apparire l’espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma contenuta nell’art. 27 Cost. Sez. 1, n. 17947 del 30/03/2004, Vastante, Rv. 228289 , dovendosi avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009, Aquino, Rv. 244132 . Né è dubitabile che, anche in tale evenienza, il giudice di sorveglianza competente sia chiamato ad un attento e saggio bilanciamento, idoneo a contemperare nel modo migliore gli elevati valori in gioco. L’indefettibilità di quest’ultimo, nel caso di rischio di compromissione di tali valori, e la sua centralità in seno alla valutazione rimessa al tribunale di sorveglianza, erano espressamente richiamate nella citata sentenza di legittimità n. 39160 del 2017, che valorizzava l’esigenza di ricercare un equilibrio - certo in concreto talora difficile - tra certezza della pena, da una parte, e salvaguardia del diritto alla salute e ad un’esecuzione penale rispettosa dei criteri di umanità, dall’altra, al fine di individuare la situazione cui dare la prevalenza ovvero i modi del reciproco contemperamento e chiamava il giudice a dare conto degli esiti del suo ragionamento, con motivazione compiuta, ancorché sintetica, che consentisse la verifica del processo logico-decisionale, ancorato ai concreti elementi di fatto emersi nel procedimento. 3. Ciò posto, l’ordinanza impugnata ricostruisce ed analizza indubbiamente nel dettaglio - in relazione al profilo sanitario - le patologie da cui è affetto il condannato, sulla base dell’accurato accertamento peritale svolto, né può ad essa imputarsi per questo aspetto di non essersi confrontata con i rilievi difensivi e dei consulenti di parte, nonché con le sollecitazioni della direzione sanitaria dell’istituto in merito alle patologie stesse, cui si offrono risposte né apparenti né superficiali. Per i rimanenti profili sopra richiamati - che pure devono concorrere a comporre il quadro valutativo - la motivazione sembra invece limitarsi a richiamare la precedente ordinanza, sul rilievo che la stessa avesse già superato lo scrutinio di legittimità. Ma ciò non può ritenersi corretto. È del tutto evidente che il bilanciamento tra i delicati valori antagonisti in campo ed il giudizio di pericolosità ostativa a differenziati trattamenti devono essere necessariamente rinnovati ed attualizzati in parallelo all’evoluzione della situazione sanitaria e che di tale aspetto occorre, quindi, dare conto nel percorso motivazionale. Nella specie - anche per escluderne la decisiva rilevanza - difetta ogni specifica valutazione con riferimento alla più grave diagnosi di natura prostatica ed all’impossibilità di eseguire presso centri clinici penitenziari la radioterapia necessaria e, conseguentemente, il percorso motivazionale omette di confrontarsi anche con le ripercussioni dell’aggravamento delle condizioni sanitarie e con l’incidenza dei quotidiani trasferimenti in ospedale rispetto ad un’esecuzione penale da mantenere nei limiti dell’umanità e della rieducazione. 4. L’ordinanza impugnata, viziata sotto l’aspetto considerato, deve essere per l’effetto annullata, con rinvio al medesimo giudice che l’ha pronunciata perché, impregiudicata ogni valutazione di merito, rinnovi con riferimento all’attualità l’esame di sua competenza. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.