Nessuna prescrizione per l’ordine di demolizione

In tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, non avendo natura punitiva - repressiva, ma avendo natura di sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, non è soggetto alla prescrizione stabilita dall'art. 173 c.p. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall'art. 28 l. n. 689/1981 che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva.

Lo ha confermato la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18910/18, depositata il 3 maggio. La disciplina dell’ordine di demolizione nei reati edilizi Preliminarmente, occorre ricordare che l’ordine di demolizione è una sanzione amministrativa di natura ablatoria e giurisdizionale, la cui esecuzione compete all’autorità giudiziaria, non essendo ipotizzabile, né logicamente spiegabile, che l’esecuzione di un provvedimento, adottato dal giudice penale, venga affidato alla pubblica amministrazione. Peraltro, l’ordine di demolizione, pur avendo natura amministrativa, è atto giurisdizionale che deve essere disposto dal giudice con la sentenza di condanna. Ne consegue che, in caso di mancata statuizione in tal senso, il dispositivo della sentenza potrà essere integrato solo dal giudice di appello. Infatti la procedura di cui all’art. 130 c.p.p. relativa alla correzione di errori materiali nel provvedimento emanato può essere applicata solo per porre rimedio ad errori od omissioni rilevabili dal contesto del provvedimento, e di natura tale da non modificare il contenuto essenziale dello stesso, mentre l’omissione in questione integra un vitium iudicando rettificabile solo in sede di impugnazione a seguito di rituale investitura del giudice di essa. Inoltre, l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di restitutio in integrum dello stato dei luoghi, e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo della originaria costruzione. L'ordine di demolizione di cui all'art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380/2001 è sanzione caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell'organo istituzionale al quale il relativo esercizio è attribuito, ma sostanzialmente amministrativa di tipo ablatorio, che il giudice deve disporre anche nella sentenza applicativa di pena concordata tra le parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p A tale sentenza, sono ricollegabili tutti gli effetti di una sentenza di condanna, ad eccezione di quelli espressamente indicati dall'art. 445, comma 1, c.p.p., fra i quali non è compresa la sanzione in oggetto non trattandosi di pena accessoria nè di misura di sicurezza . Nessuna prescrizione quinquennale per l’ordine di demolizione. La sentenza in commento richiama l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito dal giudice con la sentenza di condanna per reati concernenti l'edilizia e l'urbanistica, non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative dall'art. 28 l. 24 novembre 1981 n. 689, in quanto detta prescrizione riguarda le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva, mentre la fattispecie in questione configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio. Inoltre, in materia di reati concernenti le violazioni edilizie, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, non è soggetto alla prescrizione stabilita dall'art. 173 c.p. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall'art. 28 l. n. 689/1981 che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva. La natura amministrativa della sanzione demolitiva. Non deve meravigliare la possibilità di adottare da parte del giudice penale misure aventi natura di sanzione amministrativa si ritiene ormai superato il criterio che distingue tra sanzioni penali ed amministrative in base all'autorità competente ad adottarla, per cui è amministrativa la sanzione irrogata dall'autorità amministrativa, penale quella inflitta dalla relativa autorità giudiziaria. Del resto, in merito sembra fugare ogni dubbio la circostanza che il potere di ordinare la demolizione dell'opera abusiva da parte del giudice penale, non costituisce espressione di supplenza delle autorità amministrative, ma è manifestazione di un potere autonomo anche se coordinabile con quello della Pubblica Amministrazione. Quindi, tale potere ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso, attraverso l'eliminazione delle conseguenze del reato, riconnettendosi all'interesse statuale sotteso all'esercizio della potestà penale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 novembre 2017 – 3 maggio 2018, n. 18910 Presidente Fiale – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. I sigg.ri E.M.L. e D.C.A. ricorrono per l’annullamento dell’ordinanza del 19/01/2017 del Tribunale di Napoli che ha rigettato la richiesta di revoca dell’ordine di demolizione disposto con sentenza del 06/02/2007 di quello stesso Tribunale irr. il 17/04/2007 . 1.1. Con il primo motivo eccepiscono, ai sensi dell’articolo 606, lett. c , cod. proc. pen., la nullità della notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale perché eseguita in violazione degli artt. 157, commi 7 e 8, 161, comma 4, 171, cod. proc. pen 1.2. Con il secondo eccepiscono, ai sensi dell’articolo 606, lett. c ed e , cod. proc. pen., la carenza assoluta di motivazione in ordine ai motivi proposti ai punti 2 e 3 del ricorso per incidente di esecuzione. Considerato in diritto 2. I ricorso sono inammissibili perché generici e manifestamente infondati. 3. E.M.L. aveva eletto domicilio per le notificazioni presso la sig.ra T.G., res. omissis . Constata l’assenza del destinatario, l’ufficiale giudiziario aveva provveduto a depositare il plico presso la casa comunale, affiggendo alla porta il relativo avviso e dandone comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La lettera raccomandata non è stata recapitata per irreperibilità del destinatario. 3.1. La ricorrente lamenta che, in conseguenza della irreperibilità della domiciliataria, la notificazione avrebbe dovuto essere effettuata presso il difensore, ai sensi dell’articolo 161, comma 4, cod. proc. pen 3.2. Secondo l’autorevole arresto di questa Corte, la notificazione di un atto all’imputato, che non sia possibile presso il domicilio eletto per il mancato reperimento, nonostante l’assunzione di informazioni sul posto e presso l’ufficio anagrafe, del domiciliatario, che non risulti risiedere o abitare in quel Comune, deve essere eseguita mediante consegna al difensore e non mediante deposito nella casa comunale con i correlati avvisi, perché detta situazione si risolve in un caso di inidoneità dell’elezione di domicilio. Allo stesso modo occorre procedere nel caso in cui il domiciliatario rifiuti di ricevere l’atto e, ove vi sia invece dichiarazione di domicilio, nel caso in cui al domicilio dichiarato non sia reperito l’imputato né vi siano altre persone idonee a ricevere Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv. 250120 . Spiega la sentenza che il sistema delineato dagli artt. 161, 162, 163 e 164, cod. proc. pen. per le notificazioni da eseguirsi presso il domicilio dichiarato o eletto ovvero mediante consegna dell’atto al domiciliatario, si palesa quale complesso di disposizioni esaustivo, ai fini del perfezionamento della notificazione, e si pone come alternativo a quello previsto dall’articolo 157 cod. proc. pen. per la prima notificazione all’imputato non detenuto sistema che non può essere contaminato con l’applicazione di disposizioni riguardanti le ipotesi della prima notificazione, che risultino incompatibili con esso. Tale sistema, in particolare, è fondato sul dovere dell’imputato, che ne sia stato adeguatamente edotto, di dichiarare o eleggere domicilio e di comunicare alla autorità giudiziaria ogni successiva variazione ai sensi dell’articolo 161, commi 1 e 2, cod. proc. pen. È opportuno precisare sul punto che l’articolo 163 cod. proc. pen., secondo il quale Per le notificazioni eseguite nel domicilio dichiarato o eletto a norma degli artt. 161 e 162 si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell’articolo 157 , per la clausola di salvaguardia in esso contenuta, attiene alla individuazione dei soggetti potenziali consegnatari dell’atto e non al luogo o alle modalità della notificazione. Infatti, le modalità di esecuzione della notifica stabilite dall’articolo 157, comma 8, cod. proc. pen., per il testuale riferimento della norma, sono consequenziali al verificarsi delle situazioni ipotizzate dal comma 7 del medesimo articolo mancanza, inidoneità, rifiuto di ricevere l’atto con conseguente obbligo di effettuare nuove ricerche dell’imputato situazioni di per sé preclusive della possibilità di notificazione presso il domicilio dichiarato o eletto ovvero presso il domiciliatario e idonee ad individuare l’ipotesi prevista dall’articolo 161, comma 4, cod. proc. pen. La impossibilità di procedere alla notifica nelle mani della persona designata quale domiciliatario, per il rifiuto di ricevere l’atto ovvero per il mancato reperimento del domiciliatario o dell’imputato stesso nel luogo di dichiarazione o elezione di domicilio o di altre persone idonee, integra l’ipotesi della impossibilità della notificazione ai sensi dell’articolo 161, comma 4, cod. proc. pen., sicché non è consentito, in tali casi, procedere con le forme previste dall’articolo 157, comma 8, cod. proc. pen. Pertanto, nell’ipotesi in cui la notificazione presso il domicilio dichiarato o eletto risulti impossibile per una delle cause previste dall’articolo 157, comma 7, cod. proc. pen., la notificazione deve essere eseguita ai sensi dell’articolo 161, comma 4, stesso codice, mentre è preclusa la possibilità di procedere con le forme previste dall’articolo 157, comma 8, cod. proc. pen. . Occorre tuttavia precisare che nel caso esaminato dalla Corte il domiciliatario non era stato reperito nel domicilio eletto, nonostante l’assunzione di specifiche informazioni sul posto e presso il locale ufficio di anagrafe né risulta va risiedere o abitare in quel Comune . 3.3. Ne risulta che non sempre, né necessariamente, la irreperibilità del domiciliatario attestata dall’agente postale comporta la automatica impossibilità di procedere alla notifica dell’atto nel domicilio eletto occorre che tale irreperibilità determini l’inidoneità del domicilio eletto. Nel caso di specie, infatti, non solo risulta che la sig.ra T. risiedeva nel Comune di Marcianise, presso il domicilio eletto, ma che l’avviso di deposito del provvedimento oggi impugnato è stato regolarmente notificato a mezzo posta proprio presso detto domicilio e a mani proprie della T. . Il che dimostra, da un lato che l’irreperibilità della domiciliataria era solo momentanea, dall’altro che l’elezione di domicilio era idonea e non ricorreva alcune della delle situazioni ipotizzate dall’articolo 157, comma 7, cod. proc. pen. mancanza, inidoneità, rifiuto di ricevere l’atto con conseguente obbligo di effettuare nuove ricerche dell’imputato , preclusive della possibilità di notificazione presso il domicilio dichiarato o eletto ovvero presso il domiciliatario e idonee ad individuare l’ipotesi prevista dall’articolo 161, comma 4, cod. proc. pen 3.4. La notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale al D.C. è stata effettuata ai sensi dell’articolo 157, comma 8, cod. proc. pen., mediante deposito dell’atto presso la casa comunale e avviso del deposito mediante lettera raccomandata. L’avviso è stato immesso in cassetta e il plico depositato presso l’ufficio postale. Sostiene il ricorrente che il deposito presso la casa comunale non è stato preceduto dalle ricerche presso i luoghi indicati dall’articolo 157, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e che, in ogni caso, di tale attività - ove posta in essere l’ufficiale giudiziario non ha dato atto. 3.5. Occorre in primo luogo evidenziare che la omessa indicazione, nella relazione di notificazione, delle ricerche effettuate articolo 168, comma 1, cod. proc. pen. , costituisce mera irregolarità che non vizia la notificazione stessa in questo senso, Sez. 5, n. 3215 del 22/05/1998, Tonini, Rv. 211306 . Quanto alla mancata effettuazione delle preventive ricerche deve essere ribadito l’indirizzo di questa Corte secondo il quale il ricorso alla procedura di notificazione all’imputato attraverso il deposito dell’atto nella casa comunale, accompagnato dagli ulteriori adempimenti previsti dall’articolo 157, comma ottavo, cod. proc. pen., è possibile solo dopo aver percorso in via cumulativa e non alternativa tutte le vie indicate dai precedenti commi del medesimo articolo, e in particolare la notifica mediante consegna personale ovvero a persone abilitate presso la casa di abitazione o il luogo di abituale esercizio dell’attività lavorativa. L’omissione di tali adempimenti determina la nullità della notifica a norma dell’articolo 171, lett. d , cod. proc. pen. che, inficiando il procedimento della vocatio in ius , ha carattere assoluto ai sensi dell’articolo 179 stesso codice Sez. 6, n. 5722 del 22/01/2015, Moretti, Rv. 262065 Sez. 1, n. 40204 del 29/09/2010, Manzari, Rv. 248462 Sez. 6, n. 9183 del 28/01/2004, Cazzetta, Rv. 229445 . 3.6. Nel caso di specie, la notificazione è stata eseguita presso l’abitazione del ricorrente il quale non solo non allega l’esistenza e la conoscenza da parte dell’ufficiale giudiziario di uno dei luoghi alternativi previsti dall’articolo 157, commi 1 e 2, cod. proc. pen., ma non contesta nemmeno di vivere abitualmente nel luogo nel quale è stato affisso l’avviso di deposito e quindi recapitata la raccomandata informativa. Correttamente, dunque, il tentativo di notificazione è stato effettuato presso la casa di abitazione del ricorrente. 3.7. Il primo motivo è, dunque, manifestamente infondato. 4. Il secondo motivo è generico e manifestamente infondato. 4.1. In violazione del principio di autosufficienza del ricorso, i ricorrenti non indicano in modo specifico quali fossero i motivi negletti dal Tribunale che, nel respingere la loro domanda, ha affermato che il Comune di Pozzuoli aveva rigettato l’istanza di condono. La genericità del motivo non consente di comprendere in che modo la ratio decidendi apparentemente corretta del provvedimento impugnato potrebbe essere sovvertita dall’eccepito mancato esame delle ragioni difensive. Non è nemmeno chiara, nell’economia del ricorso, la funzione del generico riferimento alla richiesta di estinzione del procedimento di esecuzione delle sanzioni amministrative, visto che il rigetto della domanda di condono ne presuppone logicamente il contrario. Il rigetto della domanda di condono non lascia alternative rispetto all’opposta tesi della astratta condonabilità dell’opera, tesi che si può fondare sul malgoverno degli elementi di conoscenza a disposizione della pubblica amministrazione ovvero delle norme che ne disciplinano il procedimento ma di tutto ciò non v’è traccia nel ricorso. 4.2. Né assume miglior fortuna la tesi, appena accennata, della estinzione dell’ordine di demolizione per prescrizione ai sensi dell’articolo 173, cod. pen 4.3. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito dal giudice ai sensi dell’articolo 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 con la sentenza di condanna per il reato di costruzione abusiva, ha natura amministrativa e non si estingue per il decorso del tempo ex articolo 173 cod. pen., atteso che quest’ultima disposizione si riferisce esclusivamente alle sole pene principali così già Sez. 3, n. 39705 del 30/4/2003, Pasquale, Rv. 226573 più recentemente, nello stesso senso, Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670 Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Mercurio, Rv. 250336 Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 264736 Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540 Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Porcu, Rv. 267977 . 5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex articolo 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00 ciascuno. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.