Quali sono i criteri per valutare l’attualità della pericolosità sociale qualificata?

La Suprema Corte ribadisce i criteri per valutare l’attualità della c.d. pericolosità sociale qualificata, chiarendo i limiti del ricorso avverso il provvedimento restrittivo.

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi di un tema frequentemente posto alla sua attenzione, per i delicati effetti pratici, connesso alla pericolosità di proposti appartenenti ad organizzazioni di stampo mafioso. Più in dettaglio, ritorna sui criteri da seguire per valutare la perdurante sussistenza di prognosi negativa in ordine alla reiterazione di condotte devianti, nel quadro di un vincolo associativo le cui effettive potenzialità criminali, per essere pienamente comprese, richiedono specifici approfondimenti. Sotto il profilo procedurale, tuttavia, tali aspetti sono collaterali al nucleo vero della decisione, condizionato dal tenore delle censure che, nell’ambito di un mezzo di impugnazione col quale possono devolversi le sole violazioni di legge, risultano inammissibili. Il caso. Il processo a quo trae origine dal provvedimento della Corte territoriale partenopea che, nel 2016, rigettava il gravame avverso il decreto con il quale il Tribunale di Napoli irrogava la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno ad un soggetto già condannato anche per reati associativi, imponendo il pagamento di una cauzione pari ad euro 3.000. I Giudici di secondo grado confermavano la valutazione di prime cure circa la sussistenza dei requisiti di cautela, presenti pure al momento del provvedimento impositivo e per nulla inficiati dall’esperienza detentiva. In particolare, oltre al giudicato cautelare formatosi rispetto ad una distinta ordinanza impositiva del 2012, sottolineavano una sentenza irrevocabile per fatti di truffa e falsa testimonianza commessi, in seno all’associazione per delinquere, tra il 1998 e il 2001 una successiva decisione del 2013, passata poi in giudicato, per reati riguardanti il traffico di stupefacenti la parte preminente assunta nell’ambiente dal prevenuto che, all’atto dell’arresto del promotore e capo sostanziale, lo sostituiva a tutti gli effetti, subentrandogli anche nella tenuta della contabilità derivante dagli illeciti traffici compiuti. L’interessato ricorre per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, deducendo illogicità e contraddittorietà motivazionali. La Corte, in specie, non avrebbe ancorato il proprio giudizio di persistente pericolosità del proposto ad elementi oggettivi e verificabili, facendo riferimento, invece, a comportamenti lontani nel tempo e che solo tramite mere petizioni di principio avrebbero potuto essere prodromi di ulteriori azioni criminose, senza esplorare adeguatamente il concreto coinvolgimento del ricorrente nella consorteria investigata e, per altro verso, la residua capacità operativa del sodalizio, in seguito alle diverse inchieste che lo avevano colpito. Sotto questo profilo, inoltre, non sarebbe stata in alcun modo considerata l’efficacia deterrente del periodo trascorso in detenzione. Il Collegio – su parere difforme della Procura Generale, che ne aveva chiesto il rigetto – dichiara inammissibile il ricorso, condannando l’impugnante al pagamento delle spese processuali e a versare la somma di euro 2.000 alla Cassa delle Ammende. Misura di prevenzione e restrizione custodiale La Seconda Sezione chiarisce come non possa rilevarsi alcuna incongruenza tra la misura di prevenzione e la restrizione custodiale, salvo l’onere di ri verificare l’attualità della cautela al momento in cui, cessata la detenzione, dovrà rendersi materialmente efficace il diverso regime restrittivo. L’Estensore tuttavia, prima di affrontare gli aspetti più controversi, chiarisce quali siano i vizi per i quali è ammissibile, in simili ipotesi, impugnazione in ultima istanza passa poi ad una succinta rassegna dei principi di diritto che regolano l’operato dei giudici di merito, di cui sembra aver fatto buon governo la Corte campana. I limiti del giudizio di legittimità. Ed infatti, sulla base del dettato normativo, nel procedimento di prevenzione è ammesso ricorso di legittimità per i soli vizi di legge, potendosi lamentare, in quanto violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato, l’eventuale motivazione inesistente o meramente apparente si citano, sul punto, Cass., SS.UU. Pen., n. 33451/2014, Repaci conforme, Cass., Sez. I Pen., n. 6636/2016, Pandico . Nella fattispecie, però, il ricorrente ha diretto le proprie critiche non verso la presenza di una giustificazione alle precedenti decisioni, quanto piuttosto alla coerenza logica dell’impianto argomentativo che è stato posto alla base di tali provvedimenti, con ciò valicando i ristretti confini, nel riferito contesto, del sindacato operabile dagli Ermellini. I parametri per valutare la c.d. pericolosità sociale qualificata. Dopo tale doverosa premessa, il Supremo Collegio riassume schematicamente i precetti essenziali che dominano questa materia, statuendo che andranno opportunamente valorizzati il livello di coinvolgimento dell’attuale proposto nelle pregresse attività del gruppo criminoso [] la tendenza del gruppo di riferimento a mantenere intatta la sua capacità operativa nonostante le mutevoli composizioni soggettive correlate ad azioni repressive da parte dell’autorità giudiziaria [] la manifestazione, in tale intervallo temporale, da parte del proposto, di comportamenti denotanti l’abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise . Non manca di sottolineare, peraltro, che lo scrutinio operato ha consentito di accertare, incidentalmente, come tali canoni siano stati correttamente applicati e, ciò che più conta, che il loro utilizzo è stato adeguatamente giustificato, restando incontroversi, nei processi considerati, il ruolo del prevenuto nel gruppo e l’assenza di franche manifestazioni di dissociazione. Conclusioni. La sentenza in analisi tratteggia efficacemente le peculiarità di un segmento procedurale affatto ordinario, riguardante gli strumenti posti a presidio della pubblica sicurezza quando debba amministrarsi il ritorno in società di condannati, a vario titolo, per reati di stampo mafioso. In tale ambito, da conto di come il limite all’impugnazione trovi necessario controaltare in un continuo monitoraggio sull’attualità della misura, che deve essere condotto, anche d’ufficio e senza alcun meccanismo presuntivo, dall’autorità procedente, esponendone i principali nodi interpretativi. Potrà perciò costituire un’utile sintetica guida anche per il giurista pratico, che debba orientarsi in scenari difensivi complessi, caratterizzati, per di più, da non sottovalutabili difficoltà probatorie.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 marzo – 26 aprile 2018, numero 18250 Presidente Diotallevi - Relatore Cianfrocca Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento del 28.6.2016 la Corte di Appello di Napoli respingeva l’appello proposto nell’interesse di M.G. contro il decreto emesso dal Tribunale in data 14.4.2015 e con il quale al predetto era stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno per la durata di anni due ed imposto il pagamento di una cauzione dell’importo di Euro 3.000 la Corte di Appello, dopo aver premesso come fosse incontroversa la sussistenza dei presupposti su cui fondare il giudizio di pericolosità sociale del proposto ai sensi dell’art. 4 lett. a del D. Lg.vo 159 del 2011, ne ripercorreva comunque i termini aggiungendo che, per altro verso, non poteva nemmeno condividersi il rilievo difensivo circa il difetto del requisito della sua attualità rispetto al momento della proposta e della successiva adozione del provvedimento di prevenzione, dal canto suo non incompatibile con il regime detentivo 2. ricorre per Cassazione, tramite il difensore, M.G. , lamentando violazione di legge con riferimento agli artt. 4 e 6 del D. Lg.vo 159 del 2011, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione rileva, in particolare, che la Corte di Appello di Napoli non avrebbe valutato il profilo della attualità della pericolosità sociale del proposto al momento della formulazione del giudizio prognostico che, a sua volta, deve essere ancorato ad elementi oggettivi e verificabili sottolinea che, nel caso di specie, il giudizio di pericolosità ribadito dalla Corte è stato fondato su condotte illecite pregresse e datate nel tempo oltre che riferite ad un limitato arco temporale ed esplicitato con formule di stile prive di sostanziale contenuto aggiunge, ancora, che laddove il giudizio di pericolosità sociale sia legato al pregresso inserimento del proposto in un sodalizio criminale, occorre considerare sia il livello di coinvolgimento che la tendenza del gruppo a mantenere intatta la sua capacità operativa che, infine, l’eventuale manifestarsi di condotte tali da denunziare l’abbandono o l’allontanamento del proposto dalle pregresse logiche criminali ed organizzative segnala, infine, come la Corte non abbia in alcun modo valutato il tempo trascorso in regime detentivo 3. in data 28.2.2018, il Pubblico Ministero ha depositato la requisitoria scritta in cui richiama i più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità, con particolare riguardo alla sentenza delle SS.UU. Gattuso rilevando, nel contempo, come nel caso di specie la Corte di Appello si sia fatta carico di motivare in punto di attualità della pericolosità sociale ravvisata nei confronti del M. , motivando nel pieno rispetto dei principi fissati nella suddetta pronuncia. Considerato in diritto 1. Prima di affrontare l’esame del ricorso è opportuno ribadire che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, numero 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, numero 575 e, oggi, dagli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, del D. Lg.vo 159 del 2011 ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e , cod. proc. penumero , potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge numero 1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente cfr, così, tra le tante, Cass. SS.UU., 29.5.2014 numero 33.451, Repaci che, in motivazione, ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino in ogni caso assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato conf., Cass. Penumero , 1, 7.1.2016 numero 6.636 Pandico Cass. Penumero , 6, 15.6.2016 numero 33.705, Caliendo . 2. La Corte di Appello di Napoli, nel vagliare le censure mosse nei confronti del provvedimento adottato dal Tribunale, ha spiegato che il giudizio di pericolosità sociale non era stato messo in discussione nemmeno dal ricorrente che non aveva svolto, su questo aspetto, alcuna censura. Ha quindi ancorato tale giudizio alle circostanze evidenziate nel provvedimento impositivo richiamando, comunque, l’ordinanza cautelare numero 112/12 del GIP di Napoli titolo vagliato positivamente dal Tribunale del Riesame e tuttora valido ed efficace la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata numero 624/2013 del 18.7.2013, confermata dalla Corte di Appello di Napoli in data 30.10.2014, divenuta definitiva ed irrevocabile dal 19.1.2016 la Corte ha inoltre richiamato i precedenti più risalenti in particolare, un’altra sentenza di condanna irrevocabile relativa a fatti di truffe assicurative e false testimonianze commessi tra il 1998 ed il 2001 nell’ambito di altro contesto associativo per sottolineare, in tal modo, la conclamata ed accertata tendenza del M. ad operare all’interno di contesti criminali organizzati passando dalle truffe al traffico di stupefacenti ha evidenziato inoltre la posizione assunta del prevenuto all’interno del sodalizio essendo egli risultato vicino al promotore Commesso e pronto a sostituire quest’ultimo al momento dell’arresto del medesimo oltre che essere attivo nel recupero dei crediti e nella tenuta della contabilità del dare-avere dell’attività di cessione di sostanze illecite. La Corte di Appello, in definitiva, ha ritenuto non esservi dubbio alcuno circa la ricorrenza del profilo della pericolosità al momento della pronuncia del decreto di primo grado, in considerazione del ruolo ricoperto dal M. all’interno del sodalizio da epoca certamente anteriore al 2010 e sino al suo arresto, intervenuto nel febbraio del 2012. Ha infine chiarito che lo stato detentivo del proposto che, a partire dal 2014, era stato posto agli arresti domiciliari, non poteva ritenersi incompatibile con la applicazione della misura ovvero con la persistenza della pericolosità sociale che, alla luce dell’insegnamento della Corte e dei principi elaborati anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, andrà semmai verificata come tale al momento in cui, cessata la applicazione della misura detentiva, potrà essere applicata quella di prevenzione personale che con la prima non fosse originariamente incompatibile. In tal modo, peraltro, la Corte ha correttamente valorizzato, con valutazione autonoma, ed anche ai fini della attualità della pericolosità del prevenuto, elementi acquisiti nell’ambito di procedimenti penali definiti ed altri non ancora definiti ma in grado, comunque, di delineare un compendio indiziario idoneo a supportare un provvedimento di custodia cautelare in carcere cfr., per l’autonomia della valutazione dei medesimi elementi ai fini del giudizio di pericolosità rispetto a quello cautelare, tra le tante, Cass. Penumero , 6, 8.1.2013 numero 4.668, Parmigiano Cass. Penumero , 2, 30.4.2013 numero 26.774, Chianese Cass. Penumero , 5, 17.12.2015 numero 1.831, Mannina Cass. Penumero , 5, 31.3.2000 numero 1.968, Mannone, nella quale la Corte ha avuto modo di chiarire che tra gli elementi di indagine circa la effettiva pericolosità sociale del proposto, possono essere ricompresi quelli contenuti in ordinanze applicative della misura cautelare, quantunque annullate dal giudice di legittimità per difetto di motivazione, competendo al giudice della prevenzione rivalutare, in assoluta autonomia di giudizio, quegli elementi che il giudice della misura cautelare non abbia eventualmente coordinato logicamente . I giudici di merito hanno quindi correttamente osservato che la sottoposizione del prevenuto alla misura della custodia cautelare in carcere e, poi, a quella degli arresti domiciliari, non può di per sé consentire di ritenere superato o attenuato il giudizio di attualità della pericolosità sociale configurandosi, in realtà, come indiretta conferma della prognosi così effettuata cfr., in tal senso, Cass. Penumero , 2, 5.3.2015 numero 112.915, Rango Cass. Penumero , 1, 9.3.2017 numero 27.970, Greco . 3. A questo punto, peraltro, anche alla luce del motivo di ricorso articolato nell’interesse del M. , è necessario dar conto del recente intervento operato in materia dalle SS.UU. con la sentenza numero 111 del 30.11.2017 dep. in data 4.1.2018 , Gattuso . In quella occasione, infatti, è stato in primo luogo ribadito il principio per cui il concetto di appartenenza ad una associazione mafiosa, rilevante per l’applicazione delle misure di prevenzione, evoca quella condotta che, non riconducibile specificamente alla partecipazione , si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con la esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale. Per altro verso, poi, le SS.UU. hanno affrontato il quesito, sottoposto alla loro attenzione con la ordinanza di remissione, se, nel procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali nei confronti degli indiziati di appartenere ad una associazione di tipo mafioso, sia necessario accertare il requisito della attualità della pericolosità del proposto . Hanno dato conto delle diverse opzioni interpretative assunte dalla giurisprudenza, a partire da quella che, prima dell’intervento operato con il D. Lg.vo 159 del 2011, muoveva dalle disposizioni in tema di pericolosità qualificata dall’appartenenza all’associazione mafiosa, di cui all’art. 1 della legge 31 maggio 1965, numero 575, rispetto a quelle in tema di pericolosità generica richiamate dall’art. 3, primo comma, legge 27 dicembre 1956, numero 1423, per le quali era specificamente richiesto un giudizio di pericolosità attuale , orientamento che era stato ribadito anche successivamente alla entrata in vigore del D. Lg.vo 159 hanno quindi richiamato quell’orientamento che, invece, considera la presunzione di pericolosità come affievolita per effetto del trascorrere del tempo ed inoltre quella tesi, anch’essa maturata nel periodo precedente alle modifica introdotte con il D. Lg.vo 159 del 2011, che richiede sempre e comunque una motivazione specifica sul punto della attualità della pericolosità non senza, peraltro, segnalare come, in molti casi, le divergenze segnalate fossero, in realtà, più apparenti che reali, dando atto che le decisioni anche successive all’entrata in vigore del decreto legislativo riconducibili al primo indirizzo difficilmente si esprimono in termini assoluti sull’irrilevanza del decorso del tempo, attribuendo invece rilievo alla mancanza di prove sullo sfaldarsi, oggettivo o soggettivo, del gruppo di appartenenza e pervenendo a tale soluzione dopo aver richiamato le specifiche condizioni di fatto, quali, oltre che l’adeguata dimostrazione di appartenenza, la natura storica del gruppo illecito a cui essa si riconduca, alla tipologia della partecipazione, con particolare riferimento all’apporto del singolo proposto, al suo accertamento con sentenza definitiva, alla sua particolare valenza nella vita del gruppo, per effetto, ad esempio, del ruolo verticistico rivestito dall’interessato in tal modo, infatti, era già stato chiarito che dalla sola appartenenza all’associazione mafiosa, pur se riferibile a compagini storiche, non possa automaticamente discendere l’attualità della pericolosità, a prescindere da ogni analisi rapportata ai tempi dell’intervento di prevenzione. Si è pertanto affermato che, superata la differenziazione sul piano normativo, deve concludersi nel senso che la pericolosità, con riferimento all’epoca di valutazione applicativa della misura, vada accertata per tutti i casi previsti dall’art. 4 cit., essendosi parificate le disposizioni attualmente in vigore, secondo le direttive espresse dalla legge-delega del 13 agosto 2010, numero 136, in ordine alla necessità di prevedere presupposti giustificativi delle misure chiaramente definiti e che l’applicazione della massima di esperienza desumibile dal dato della tendenziale stabilità del vincolo può essere invocata solo attraverso la previa analisi specifica dei suoi presupposti di validità nel caso oggetto della proposta e non può essere, da sola, genericamente in grado di sostenere l’accertamento di attualità. In definitiva, le SS.UU. hanno chiarito che il richiamo alle presunzioni semplici deve essere corroborato dalla valorizzazione di specifici elementi di fatto che le sostengano ed evidenzino la natura strutturale dell’apporto, per effetto delle ragioni di collegamento espressamente enucleate sulla base degli atti, onde sostenere la connessione con la fase di applicazione della misura aggiungendo che occorre confrontarsi, al fine della valutazione di persistente pericolosità, con qualsiasi elemento di fatto suscettibile, anche sul piano logico, di mutare la valutazione di partecipazione al gruppo associativo, al di là della dimostrazione di un dato formale di recesso dalla medesima - anche lì dove sia possibile evocare astrattamente un recesso, che si può connettere solo ad attività partecipativa -, quale può ravvisarsi nel decorso di un rilevante periodo temporale o nel mutamento delle condizioni di vita, tali da renderle incompatibili con la persistenza del vincolo . 4. A questo punto, va ancora ribadito che a definire il perimetro e l’ambito del giudizio di legittimità in questa specifica materia concorrono i limiti tipici del sindacato riservato alla Corte Suprema, che non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito quanto, piuttosto, la verifica della struttura logica del provvedimento non potendo tale vaglio risolversi nel ri esame e ri valutazione degli elementi di fatto, riservati al giudice di merito, cui la Corte non può sostituirsi nella ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. 5. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha affrontato il gravame devolutole in maniera puntuale ed esaustiva, dando conto dei criteri fondanti il giudizio di pericolosità qualificata e della sua attualità, ritenendone la persistenza anche alla luce del rilievo fondato sullo stato di detenzione cautelare sofferto dal proposto e, come si è visto, correttamente reputato inidoneo a contrastare la valutazione prognostica di sfavore. Infatti, con riguardo alla verifica della attualità della pericolosità, la Corte di Appello ha operato una ampia ricognizione degli elementi in grado di comprovare le condotte contrarie alle regole di civile convivenza tenute dal M. , ad iniziare dai pregiudizi penali a suo carico, pervenendo, con argomentazioni immuni da vizi logici e giuridici, a ritenerne la probabilità di loro reiterazione. In proposito, come si è già accennato, la Corte di Appello ha richiamato i precedenti cautelari con particolare riferimento alla ordinanza numero 112/12 del GIP di Napoli e penali quali la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata numero 624/2013 del 18.7.2013, confermata dalla Corte di Appello di Napoli in data 30.10.2014, divenuta definitiva ed irrevocabile dal 19.1.2016 nonché, a comprova della risalente tendenza del proposto a vivere del provento di attività delittuose, i precedenti più risalenti la condanna irrevocabile relativa a fatti di truffe assicurative e false testimonianze commessi tra il 1998 ed il 2001 nell’ambito di altro contesto associativo da siffatti elementi ha quindi desunto la proclività del M. ad operare nell’ambito di contesti criminali organizzati con attività via via di maggior rilievo e spessore. In particolare, poi, la Corte ha sottolineato quale fossero il ruolo e la posizione rivestita dal M. all’interno del contesto associativo in cui egli era da ultimo inserito essendo stato egli pronto a sostituire il promotore Commesso quando quest’ultimo fu tratto in arresto distinguendosi anche nell’attività di recupero dei crediti e nella tenuta della contabilità del dare-avere dell’attività di cessione di sostanze illecite. La Corte di Appello, in definitiva, non sottraendosi alla sollecitazione della difesa del ricorrente che, sul punto, aveva formulato una specifica censura, ha ritenuto non esservi dubbio alcuno circa la ricorrenza del profilo della pericolosità attuale del proposto, ovvero della esistenza di tale condizione al momento della richiesta e della pronuncia del decreto di primo grado, in considerazione del ruolo ricoperto dal M. all’interno del sodalizio, tuttora operante, da epoca certamente anteriore al 2010 e sino al suo arresto, intervenuto nel febbraio del 2012. Nel giudizio di prevenzione, d’altra parte, la valutazione di pericolosità soggettiva che sorregge la prognosi formulata dal giudice rappresenta la proiezione di elementi di giudizio acquisiti al procedimento per il tramite di una varietà di fonti di conoscenza e che finiscono con l’essere gli indicatori della inclusione del soggetto proposto in una delle categorie criminologiche previste e delineate dalla legge assumendo in tal modo valore predittivo del comportamento futuro. Il decreto in verifica, dunque, non si presta alle censure articolate in questa sede atteso che, lungi dal dare acritica adesione all’orientamento secondo cui il giudizio di pericolosità qualificata non necessita di una specifica motivazione in punto di attualità della stessa, non ha eluso il problema posto dalla difesa sottolineando come gli elementi acquisiti consentissero di formulare una diagnosi di appartenenza al sodalizio certamente risalente e comunque perdurante sino alla adozione del provvedimento custodiale adottato nel febbraio del 2012. Come è noto, peraltro, in presenza di un apprezzabile intervallo temporale tra condotta accertata in sede penale e giudizio di pericolosità attuale, la valutazione va operata alla luce di tre indicatori fondamentali a il livello di coinvolgimento dell’attuale proposto nelle pregresse attività del gruppo criminoso, essendo ben diversa la potenzialità criminale espressa da un soggetto di vertice rispetto a quella di chi ha posto in essere condotte di mero ausilio o di episodica contiguità finalistica b la tendenza del gruppo di riferimento a mantenere intatta la sua capacità operativa nonostante le mutevoli composizioni soggettive correlate ad azioni repressive da parte dell’autorità giudiziaria, posto che solo in detta ipotesi può ragionevolmente ipotizzarsi una nuova attrazione del soggetto nel circuito relazionale illecito c la manifestazione, in tale intervallo temporale, da parte del proposto di comportamenti denotanti l’abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise. Ebbene, la Corte di Appello di Napoli, con motivazione sintetica ma certamente immune da vizi, ha fatto riferimento a siffatti indicatori confermando, infine, il giudizio di pericolosità attuale e persistente in capo all’odierno ricorrente. 6. La Corte, infine, ha chiarito che lo stato detentivo del proposto il quale, tratto in arresto nel 2012 in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere e, a partire dal 2014, posto agli arresti domiciliari, non poteva ritenersi incompatibile con la applicazione della misura ovvero con la persistenza della pericolosità sociale che andrà ri verificata al momento in cui, cessata la applicazione della misura detentiva o paradetentiva, potrà essere applicata quella di prevenzione personale che con la prima non fosse originariamente incompatibile. In tal modo, la Corte napoletana si è conformata all’insegnamento ormai risalente della Corte che, a partire da SS.UU. 25.3.1993 numero 6, Tumminelli, ha più volte avuto modo di chiarire che la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è applicabile anche nei confronti di persona detenuta al momento della adozione del provvedimento, dovendosi distinguere tra il momento deliberativo ed il momento esecutivo della misura di prevenzione e attenendo la sua incompatibilità con lo stato di detenzione del proposto unicamente alla esecuzione della misura stessa, con la conseguenza per cui la misura di prevenzione può avere inizio solo quando tale stato venga a cessare, ferma restando la possibilità per il soggetto di chiederne la revoca, per l’eventuale venire meno della pericolosità in conseguenza dell’incidenza positiva sulla sua personalità della funzione risocializzante della pena cfr., anche, Cass. SS.UU., 25.10.2007 numero 10.281, Gallo Cass. Penumero , 1, 25.3.2015 numero 30.101, Cambareri che, a sua volta, ha segnalato gli effetti, sul sistema, della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge 27 dicembre 1956 numero 1423, e dell’art. 15 del d.lgs 6 settembre 2011, numero 159, pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza numero 291 del 2013 - con la necessità di procedere, al momento di eseguire la misura, ad una verifica ex officio dell’attualità della pericolosità del prevenuto . 7. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria di Euro 2.000 da versarsi in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragioni d’esonero. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.