«Non metterai più piede allo stadio»: tifoso condannato per violenza privata ai danni di un giornalista

Casus belli un pezzo riguardante alcuni incidenti avvenuti in occasione di una partita. Il contenuto non è stato gradito dal tifoso, che ha pensato bene di chiederne conto al cronista. Il confronto però si è caratterizzato per le minacce nei confronti del professionista.

Lo ha cercato a casa per contestare il contenuto del pezzo giornalistico pubblicato online e relativo agli incidenti verificatisi in occasione di una partita di calcio. Ma il confronto è stato poco civile l’esponente di un gruppo di ultras ha apostrofato in malo modo il giornalista sportivo, promettendo di non fargli più mettere piede allo stadio . L’episodio, ricostruito nei dettagli, ha una lettura semplice il tifoso va condannato per la violenza privata” – tentata – ai danni del professionista Corte di Cassazione, sentenza n. 18285, Sezione Quinta Penale, depositata oggi . A casa. Linea di pensiero comune per i Giudici del Tribunale e della Corte d’Appello il tifoso va sanzionato per la condotta tenuta nei confronti del giornalista. Nello specifico, egli ha minacciato il professionista col chiaro obiettivo di costringerlo a non effettuare più il lavoro di cronista sportivo . A far esplodere la rabbia del tifoso, componente degli ultras della Recanatese, è stato un pezzo giornalistico pubblicato online e riguardante gli incidenti verificatisi in occasione della partita tra la Santegidiese e la Recanatese nell’ambito di un campionato dilettantistico. Una volta letto il testo, ha pensato bene di recarsi – assieme ad un altro tifoso – a casa del giornalista per avere un confronto. In realtà, però, più che dialogare, hanno sancito i Giudici – anche in Cassazione –, l’obiettivo era minacciare il cronista per convincerlo a non effettuare più il proprio lavoro. Solo così si possono leggere le frasi rivolte dal tifoso al giornalista Tu non la passi liscia non metterai più piede allo stadio . Legittima, di conseguenza, la condanna del tifoso, che, resosi responsabile di violenza privata , dovrà anche risarcire il giornalista.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 aprile – 26 aprile 2018, n. 18285 Presidente Palla – Relatore Caputo Ritenuto in fatto Con sentenza deliberata il 05/06/2017, la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza del 20/04/2015, con la quale il Tribunale di Macerata aveva dichiarato Lu. St. colpevole del reato di tentata violenza privata, perché, minacciando Fa. Ca. con la frase tu non la passi liscia per l'articolo che hai fatto non metterai più piede allo stadio , compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Ca. a non effettuare più il lavoro di cronista sportivo , condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Ancona ha proposto ricorso per cassazione Lu. St., attraverso il difensore avv. P. Mo., denunciando - nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. - erronea applicazione dell'art. 192 cod. proc. pen. in merito al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e di inattendibilità delle dichiarazioni del teste della difesa Gi La Corte di appello non si è limitata alla libera valutazione delle prove, ma ha espresso un giudizio arbitrario, che non si fonda su alcun elemento di riscontro oggettivo e concreto, laddove erroneo è l'assunto che la persona offesa costituitasi parte civile sia parificabile ad un normale teste, come nel caso di specie Gi., la cui deposizione è stata irragionevolmente svalutata ed anzi ritenuta falsa. Considerato in diritto Il ricorso deve essere rigettato. La sentenza impugnata richiama la sentenza di primo grado quanto alla ricostruzione della vicenda, muovendo dall'antefatto rappresentato dalla notizia dell'arresto di un giovane di Porto Recanati in relazione ad incidenti verificatisi in occasione della partita di calcio tra la Santa Egidiese e la Recanatese. Ca. aveva pubblicato un articolo su tale episodio nel sito di cui era responsabile e alcuni giorni dopo, presso la sua abitazione, si erano presentati due giovani qualificatisi come delegazione di ultras della Recanatese aveva conversato per circa un'ora con i due giovani, uno dei quali aveva dialogato più tranquillamente contestandogli il contenuto dell'articolo , mentre l'altro, più ostile, gli aveva rivolto le frasi di cui all'imputazione quest'ultimo era stato identificato nell'imputato, mentre il primo era stato identificato in Gi. Gi La Corte distrettuale ha poi confermato il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, sostenuto da elementi di riscontro logico ed obiettivo messi in luce dalla sentenza di primo grado, che, in primo luogo, aveva osservato che i riferimenti diretti alla famiglia del giovane arrestato non erano contenuti nell'articolo di Ca., ma in altro articolo pertanto, le accuse mosse dall'imputato e da Gi. alla persona offesa di aver scritto cose strettamente personali suIl’arrestato era ingiustificata, laddove Ca. è risultato coerente e credibile quando ha riferito dell'incontro con i due giovani e del fatto che più volte era andato al computer per far leggere il proprio articolo la versione dei fatti prospettata dall'imputato e dal teste Gi., osservava ancora la sentenza di primo grado, non risulta attendibile in quanto il motivo delle loro lamentele contrasta con il riscontro obiettivo e le loro rimostranze erano infondate, ma, nonostante ciò, erano stati incuranti delle spiegazioni fornite da Ca., che, da solo in casa e, quindi, con un atteggiamento aperto e disponibile al confronto , li aveva ricevuti presso la propria abitazione per dare dettagliate spiegazioni e mostrare loro i vari articoli sull'antefatto. Il giudizio di attendibilità formulato in senso positivo nei confronti della persona offesa e in senso negativo nei confronti del teste Gi. rinviene dunque il proprio fondamento giustificativo nella successione degli eventi richiamata dalla sentenza impugnata, che, sotto questo profilo, risulta pienamente in linea con il consolidato principio di diritto in forza del quale le regole dettate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214 . Al contrario, il ricorso articola censure che, in buona sostanza, fanno leva sull'aprioristica attribuzione di una patente di maggior attendibilità alle dichiarazioni del teste rispetto a quelle della parte civile attribuzione priva di alcun fondamento giuridico e non compiutamente correlata alle concordi valutazioni dei giudici di merito, che, come si è visto, hanno riconosciuto la credibilità della persona offesa sulla base della complessiva ricostruzione della vicenda, in termini coerenti con i dati probatori richiamati e immuni da cadute di conseguenzialità logico-argomentativa. Pertanto, escluso che si sia perfezionata la fattispecie estintiva del reato per prescrizione, alla luce della sospensione del relativo corso per complessivi giorni 236, in considerazione del rinvio dall'udienza del 18/09/2012 a quella del 12/03/2013, per astensione dell'avvocatura con sospensione pari a 175 giorni , e del rinvio dall'udienza del 12/03/2013 a quella del 18/11/2013, per legittimo impedimento del difensore con sospensione pari a 61 giorni , il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.