Divieto di avvicinamento: l’individuazione dei luoghi deve avvenire per relationem

L’ordinanza che dispone il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa non deve indicarli in modo esplicito poiché, diversamente, si consentirebbe all’agente di avvicinarsi alla persona offesa nei luoghi non rientranti nell’elenco tassativo eventualmente definito dal giudice .

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 18139, depositata il 24 aprile. Il caso. Il Tribunale di Palermo confermava, con ordinanza, il provvedimento applicativo della misura di divieto di avvicinamento alla persona offesa e ai familiari di quest’ultima per il reato di cui all’art. 612- bis c.p. Atti persecutori . Avverso l’ordinanza del Tribunale l’indagato ricorre per cassazione denunciando l’indeterminatezza della misura, per essere stato disposto il divieto in modo generico, in quanto riferito ai luoghi abitualmente frequentati dall’offesa e dai familiari, con esplicita indicazione della sola abitazione della stessa. L’indicazione dei luoghi per relationem. Il Supremo Collegio, aderendo all’orientamento giurisprudenziale prevalente, ribadisce la legittimità del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa senza indicare specificamente i luoghi oggetto di divieto, in quanto la predetta individuazione deve avvenire per relationem con riferimento ai luoghi in cui, di volta in volta, si trovi la persona offesa, con la conseguenza che, ove, tali luoghi, anche per coincidenza, vengano ad essere frequentati dall’imputato, costui deve immediatamente allontanarsi dagli stessi . Diversamente, precisa la Suprema Corte, nell’ipotesi in cui l’ordinanza riportasse un elenco di luoghi oggetto del divieto, si consentirebbe all’agente di avvicinarsi alla persona offesa nei luoghi non rientranti nell’elenco tassativo eventualmente definito dal giudice, frustrando, così, la ratio della norma, tesa alla più completa tutela del diritto della persona offesa di poter esplicare la propria personalità e la propria vita di relazione in condizioni di assoluta sicurezza . La Corte quindi rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 marzo – 24 aprile 2018, n. 18139 Presidente Sabeone – Relatore Amatore Ritenuto in fatto 1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Palermo - Sezione Riesame ha confermato integralmente il provvedimento applicativo della misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa e ai familiari di quest’ultima disposto dal G.i.p. del Tribunale di Agrigento per il reato di cui all’art. 612 bis cod. pen Avverso la predetta ordinanza ricorre l’indagato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua impugnativa ad una unica ragione di doglianza. 1.1 Denunzia il ricorrente, ai sensi dell’art. 606, lett. b, cod. proc. pen., violazione di legge in relazione all’art. 282 ter cod. proc. pen. con conseguente ineseguibilità del provvedimento cautelare determinato dalla indeterminatezza della misura. Si evidenzia che il provvedimento aveva disposto genericamente il divieto di avvicinarsi da parte dell’indagato ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa nonché dai familiari di quest’ultima, indicando come luogo fisico solo l’abitazione della prima, con ciò determinando un’assoluta indeterminatezza del precetto cautelare ed una lesione del diritto di circolazione dell’indagato i cui spostamenti sarebbero così determinati da quelli dell’indagata e dei familiari di quest’ultima. Considerato in diritto 2. Il ricorso è infondato. 2.1 Sul punto, occorre ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio cui anche questo Collegio intende aderire e dunque fornire continuità applicativa secondo cui in tema di misure cautelari personali, è legittima l’ordinanza che dispone, ex art. 282-ter cod. proc. pen., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa senza indicare specificamente i luoghi oggetto di divieto, in quanto la predetta individuazione deve avvenire per relationem con riferimento ai luoghi in cui, di volta in volta, si trovi la persona offesa, con la conseguenza che, ove tali luoghi, anche per pura coincidenza, vengano ad essere frequentati anche dall’imputato, costui deve immediatamente allontanarsi dagli stessi così, Sez. 5, Sentenza n. 28677 del 14/03/2016 Cc. dep. 08/07/2016 Rv. 267371 . Del resto, diversamente ragionando si consentirebbe all’agente di avvicinarsi alla persona offesa nei luoghi non rientranti nell’elenco tassativo eventualmente definito dal giudice, frustrando così la ratio della norma, tesa alla più completa tutela del diritto della persona offesa di poter esplicare la propria personalità e la propria vita di relazione in condizioni di assoluta sicurezza. Va, peraltro, aggiunto che la diversa giurisprudenza citata nel ricorso introduttivo Sez. 5, Sentenza n. 30926 del 08/03/2016 Cc. dep. 19/07/2016 Rv. 267792 solo apparentemente si pone in contrasto con il principio sopra richiamato e qui riaffermato, atteso che è stato affermato sempre da questa stessa Sezione, ma in un’altra e diversa fattispecie applicativa, che, verbatim, In tema di misure cautelari personali, il divieto di avvicinamento previsto dall’art. 282 ter cod. proc. pen. deve contenere l’indicazione specifica dei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa solo quando le modalità della condotta criminosa non manifestino un campo di azione che esuli dai luoghi che costituiscono punti di riferimento della propria quotidianità di vita, dovendo, invece, il divieto di avvicinamento essere riferito alla stessa persona offesa, e non ai luoghi da essa frequentati, laddove la condotta, di cui è temuta la reiterazione, si connoti per la persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima, in qualsiasi luogo questa si trovi . Ne consegue che l’obbligo di indicazione specifica dei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa si attiva solo allorquando le modalità della condotta criminosa, e, dunque, nel caso di specie, degli atti persecutori, non esulino dai punti di riferimento della vita quotidiana della persona offesa, dovendo, al contrario, essere modellati sugli spostamenti di quest’ultima e sui luoghi di volta in volta frequentati dalla vittima del reato nelle ipotesi in cui la condotta criminosa si connoti, come nel caso di specie, per una persistente ricerca di avvicinamento alla vittima ovunque quest’ultima si trovi. Pertanto, deve considerarsi legittima l’ordinanza che dispone, ex art. 282-ter cod. proc. pen., oltre al divieto di avvicinamento all’abitazione e al luogo di lavoro della vittima, anche l’obbligo di mantenere una determinata distanza, in caso di incontro occasionale con la persona offesa, in quanto l’indicazione specifica nel titolo cautelare dei luoghi oggetto del divieto attiene solo a quelli in cui l’accesso è inibito in via assoluta all’indagato così anche Sez. 6, Sentenza n. 42021 del 13/09/2016 Cc. dep. 05/10/2016 Rv. 267898 . Ne discende il rigetto del ricorso. Va disposto l’oscuramento dei dati delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.