Il delitto di trasferimento fraudolento di valori, il possesso ingiustificato di valori e la confisca c.d. ‘estesa’

Creazione di nuove società, intestazioni di quote societarie a finti neo soci, attribuzioni fittizie di immobili o danaro o altre utilità, distribuzione di utili a soci occulti quali sono i presupposti per l’applicabilità del sequestro e della confisca secondo l’art. 12-sexies della normativa speciale del 1992 che punisce tutte le azioni simulate che creano uno schermo” idoneo ad occultare l’effettiva realtà criminale?

Così la Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza, n. 17700/18, depositata il 19 aprile. La Legge n. 356/1992 ha introdotto le modifiche al nostro codice di procedura penale con riferimento a tutto ciò che afferisce alla attività di contrasto alla criminalità organizzata e, nello specifico, a quelle condotte che tendono ad eludere la normativa in materia di riciclaggio di denaro sporco. La vicenda pervenuta sino in Cassazione riguardava l’applicazione dell’art. 12 quinquies della l. n. 356/1992 che prevede il reato istantaneo, con effetti permanenti, del trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori”, il quale si realizza quando immobili, quote societarie, beni registrati e qualunque altra utilità viene intestata ad un soggetto terzo, differente da colui che li ha acquistati e che ne ha, in realtà, la materiale disponibilità. Il caso di specie. La sentenza della Corte di appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riduceva la pena inflitta all'imputato, colpevole di due distinte ipotesi del delitto ex art. 12 quinquies in relazione ad attività di fittizia intestazione di beni, in realtà, riconducibili ad altro soggetto. Il Tribunale aveva ritenuto di dover affermare la colpevolezza dell'uomo in relazione ad entrambe le intestazioni”, finalizzate sostanzialmente ad eludere le misure di prevenzione patrimoniale che riguardavano, nel primo caso, l'assunzione della carica di amministratore unico di una società immobiliare a responsabilità limitata e, nel secondo, l'acquisizione del 50% di un'altra società immobiliare. Contro la detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l'imputato deducendo una serie di motivi di illegittimità tra cui la violazione della legge per la inapplicabilità della confisca ex art. 12 sexies l. n. 356/1992 disposta su di un immobile di proprietà della moglie dell'imputato. A tal proposito, veniva rappresentato dalla difesa dell’uomo che la misura era stata disposta senza riferimento a quale dei reati contestati” ed in relazione ad una presunta somma indebita e senza alcuna verifica concreta del quantum di ablazione per un immobile dal valore di € 800.000,00 circa. Inoltre, si contestava l'assenza di accertamento circa il nesso di pertinenzialità tra reato ed immobile confiscato e la illegittima quantificazione della confisca in violazione al canone di proporzionalità ex art. 49, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea, sicché, anche ad ammettere la natura di misure di sicurezza e non sanzionatoria della disposta confisca, doveva comunque accertarsi una relazione con il reato presupposto. La carica di amministratore unico o delegato di S.r.l. ed il reato ex art. 12-quinquies l. n. 356/1992. L'unico motivo di gravame accolto dagli Ermellini rimane la questione se l'amministratore di una società a responsabilità limitata risponda in modo automatico di intestazione fittizia. Nello specifico, la Cassazione precisa che l'attività di amministratore di una società di capitali non può essere considerato di per sé indice di fittizia intestazione, ben potendo essere possibile che i titolari delle quote rimangano i soggetti nei cui confronti è proponibile la misura di prevenzione patrimoniale. Esclude, per questo, l'automatismo secondo cui al ruolo di amministratore unico o delegato di una società di capitali corrisponda sempre un'attività di fittizia intestazione dovendosi, invece, indagare se le attività in concreto poste in essere da quella compagine sociale abbiano oggettiva e soggettiva finalità elusiva. Dunque, alla sola carica di amministratore, privo di qualsiasi titolarità di quote sociali, la giurisprudenza della Corte non fa corrispondere la fittizia intestazione ed è per questo che è necessario accertare il tipo di attività svolta dallo stesso al fine di individuare eventualmente operazioni elusive. Ecco perché, nel caso di specie, la affermazione di responsabilità non può conseguire al solo ruolo di amministratore della S.r.l. ma, eventualmente, alla accertata attività di intestazione fittizia di beni compiuta dalla società. La confisca c.d. ‘allargata’. L'aspetto maggiormente analizzato da questa pronuncia della Suprema Corte è quello afferente ai motivi di gravame sulla confisca. Gli Ermellini rilevano come l'orientamento della Corte in tema di confisca ex art. 12 sexies del d.l. n. 306/1992, convertito nella l. n. 356/1992, sia per l’irrilevanza del requisito della pertinenzialità” dei beni rispetto al reato per cui si è proceduto. Più nello specifico -continuano i Giudizi di Piazza Cavour la confisca non è esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in epoca anteriore oppure successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato, ed è per questo motivo che gli Ermellini ritengono che correttamente i Giudici di merito non abbiano approfondito in alcun modo il requisito della funzionalità dei beni rispetto all'attività illecita oggetto di contestazione, non ravvisandosi alcuna violazione di legge in tale conclusione. Sostanzialmente, poi, la Corte richiama l'autorevole insegnamento delle Sezioni Unite in materia, secondo cui la condanna per uno dei reati ex art. 12 sexies della l. n. 356/1992, comporta la confisca dei beni nella disponibilità del condannato, allorché, da un lato, si è provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato od i proventi della sua attività economica ed il valore economico di detti beni e, dall'altro, non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi. Di talché, essendo irrilevante il requisito della pertinenzialità del bene rispetto al reato per cui si è proceduto, la confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato dell’intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato. E tale principio risulta ribadito da altre affermazioni della Suprema Corte che hanno pure precisato come per la confisca ex art. 12 sexies di cui si discorre e conseguentemente anche per il sequestro preventivo anticipatamente disposto non sia necessario individuare un nesso temporale tra data di acquisizione dei beni e momento consumativo dei fatti di reato, trattandosi di requisito che non risulta dal testo del citato articolo ed estraneo alla funzione della c.d. confisca allargata” che tende alla sottrazione di tutti i beni di cui un soggetto, responsabile di gravi fatti di reato, risulti anche per interposta persona titolare ingiustificatamente. La Suprema Corte ricorda come si sia già affermato che il sequestro e la confisca di cui si discorre possono avere ad oggetto beni acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta la condanna ritenendo, così, il legislatore di presumere l'esistenza di un nesso pertinenziale tra alcune categorie di reati ed i beni di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e che risultino di valore sproporzionato rispetto al reddito od alla attività economica del condannato stesso. Il reato-spia quale indice rivelatore. Infatti, il presupposto di tale ipotesi particolari di confisca è l'avvenuta commissione di un reato. Non si tratta, però, di un qualsiasi reato ma di un c.d. reato spia”, teso a rendere legittima l'alterazione o, meglio, la dilatazione” dell'ordinario nesso di pertinenzialità tra il reato e le cose dallo stesso direttamente prodotte o allo stesso direttamente ricollegabili secondo il paradigma classico ex art. 240 c.p. e, nel compiere tale dilatazione dell'aria di confiscabilità e sequestrabilità penale, il legislatore del 1992 utilizza il reato come indice rivelatore” di particolare pericolosità soggettiva, adottando il modello descrittivo dei presupposti della configurabilità, in modo del tutto coincidente con quello già elaborato nel settore della prevenzione patrimoniale. Infatti, si vanno a confiscare beni che non derivano necessariamente da quel reato oggetto del precedente o contestuale accertamento, ma che, in presenza degli indicatori di cui sopra, possono ritenersi ragionevolmente ricollegati all'azione ed al livello di pericolosità, anche patrimoniale, espresso dal soggetto condannato. Quindi, il provvedimento chiarisce come il fondamento logico e giuridico della confisca estesa risieda essenzialmente nella fondata presunzione di derivazione del bene non già dallo specifico reato commesso ma, comunque, dalla attività illecita realizzata dal suo autore e ciò in virtù dell'esistenza degli indicati parametri il reato accertato è di particolare gravità vi è sproporzione tra valore del bene e reddito assenza di dimostrazione della legittima provenienza . Viene, pertanto, escluso che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, della Corte Costituzionale e della normativa europea di riferimento, la confisca ex art. 12 sexies l. n. 356/1992 debba essere proporzionata al reato per cui è intervenuta condanna sotto i differenti profili del prezzo o del profitto ingiusto.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 – 19 aprile 2018, n. 17700 Presidente Gallo – Relatore Pardo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza in data 30 gennaio 2017 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia del 13 maggio 2015 del Tribunale di Milano, riduceva la pena inflitta a G.T. ad anni 3 di reclusione perché colpevole di due distinte ipotesi del delitto di cui all’articolo 12 quinquies L. 356/92 allo stesso contestate ai capi B ed R della rubrica in relazione ad attività di fittizia intestazione di beni in realtà riconducibili a P.N Riteneva il tribunale, dovere affermare la colpevolezza del G. in relazione ad entrambe le intestazioni finalizzate ad eludere le misure di prevenzione patrimoniali che riguardavano, nel primo caso, l’assunzione della carica di amministratore unico della Monzoro Gestione Patrimoni Immobiliari s.r.l. nel febbraio 2010, e, nel secondo, l’acquisizione del 50% dal P. delle quote della Immobiliare Palazzetta s.r.l. per l’importo di 5.000 Euro. 1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, tramite il proprio difensore di fiducia, avv.to Ennio Amodio, deducendo - erronea applicazione dell’articolo 12 quinquies L. 356/92 in relazione al capo b dell’imputazione per insussistenza di fittizia intestazione in capo all’imputato difatti dalla ricostruzione dei fatti risultava che nel caso della Monzoro non vi era stata alcuna attività di fittizia intestazione essendo tale società controllata dalla Raimbow s.a. di Nazareno P., sicché la continuità ed identità del soggetto proprietario escludevano che fosse stata creata una realtà giuridica apparente per mascherare la reale proprietà dei beni. Inoltre, si sottolineava che l’amministratore di società di diritto o di fatto non risulta per ciò solo punibile ex articolo 12 quinqueis e la sentenza impugnata aveva completamente omesso di affrontare tale tema - mancanza, di motivazione in ordine alla fittizietà della intestazione relativa alle quote della Immobiliare Palazzetta, non sussistendo elementi per ritenere che alla cessione del 50% delle quote corrispondeva il mantenimento del potere di controllo delle stesse in capo al P., come doveva ricavarsi da tutti gli elementi probatori che venivano singolarmente analizzati per negarne valenza accusatoria - violazione di legge per non configurabilità del dolo di elusione con riguardo ad entrambe le imputazioni di cui ai capi b ed r , non potendo ricavarsi tale dato dallo stato di detenzione del P. che rimontava al 1996, e cioè a 14 anni prima i fatti, e non essendovi elementi specifici positivi atti a dimostrare tale consapevolezza elusiva in capo al G. - mancanza di motivazione sulla determinazione dell’aumento di pena ex articolo 81 cod.pen. e sulla mancata concessione delle attenuanti generiche - violazione di legge per inapplicabilità della confisca ex articolo 12 sexies L.356/92 disposta sull’immobile sito in e di proprietà della moglie dell’imputato. Al proposito si rappresentava che la misura era stata disposta senza riferimento a quale dei reati contestati ed in relazione ad una presunta somma indebita e senza alcuna verifica concreta del quantum concreto di ablazione per un immobile dal valore di 795.600 Euro. Si rilevava l’assenza di accertamento circa il nesso di pertinenzialità tra reato ed immobile confiscato e la illegittima quantificazione della confisca in violazione del canone di proporzionalità di cui all’articolo 49 comma 3 della carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, sicché, anche ad ammettere la natura di misura di sicurezza e non sanzionatoria della disposta confisca, doveva comunque accertarsi una relazione con il reato presupposto. Considerato in diritto 2.1 n primo motivo è fondato e deve pertanto essere accolto. E difatti a fronte della contestazione del capo b , strutturata sotto il profilo della fittizia intestazione della s.r.l. Monzoro a G.T. vedi rubrica , i giudici di primo e secondo grado hanno individuato la condotta materiale punibile ex articolo 12 quinquies L.356/92 nella attività di amministratore unico della predetta s.r.l. svolta dal ricorrente. Sul punto è inequivocabile la sentenza di secondo grado che, a pagina 4 della motivazione, espressamente afferma che non già di intestazione fittizia di quote si è trattato nel caso di Monzoro, bensì di accettazione della carica di amministratore da parte di G.T. . In tal modo però la corte di appello non ha risposto, quantomeno per il capo b della imputazione, alla questione, anche prospettata nei motivi di gravame avverso la sentenza di condanna di primo grado, se l’amministratore di una società a responsabilità limitata risponde di intestazione fittizia ex articolo 12 quinquies. Posto, infatti, che l’attività di amministratore di una società di capitali non è di per sé indice di fittizia intestazione, ben potendo essere possibile che titolari delle quote rimangano i soggetti nei cui confronti è proponibile la misura di prevenzione patrimoniale, deve essere escluso l’automatismo secondo cui al ruolo di amministratore unico o delegato di una società di capitali corrisponda sempre un’attività di fittizia intestazione, dovendosi invece indagare se le attività in concreto poste in essere da quella compagine sociale abbiano oggettiva e soggettiva finalità elusiva. A tal proposito la giurisprudenza di questa corte ha già affermato che integrano il delitto di di cui all’articolo 12 quinquies D.L. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in l. 7 agosto 1992, n. 356, sia la condotta di chi, titolare di quote di società, le intesti direttamente a terzi, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, sia quella di chi, non essendo titolare delle quote, si adoperi in qualsiasi modo - eventualmente nella veste di amministratore di fatto o di diritto - per favorire la realizzazione della condotta elusiva Sez. 2, n. 41433 del 27/04/2016, Rv. 268631 . E si è ancora precisato, quanto al rapporto tra attività societarie e delitto de quo, che integra il reato di cui all’articolo 12 quinquies D.L. n. 306 del 1992 conv. in L. n. 356 del 1992 la fittizia intestazione di quote di una società, al solo fine di eludere possibili provvedimenti di prevenzione di tipo ablativo, in favore di soggetto che rimanga di fatto estraneo alla società medesima e che risulti privo sia di capitali costitutivi sia di capacità organizzativa e gestionale Sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015, Rv. 265620 . Appare pertanto evidente che alla sola carica di amministratore, privo di qualsiasi titolarità di quote sociali, la giurisprudenza di questa corte non faccia corrispondere la fittizia intestazione e, sarà allora necessario, accertare il tipo di attività svolta dallo stesso al fine di individuare eventualmente operazioni elusive. Nel caso di specie quindi l’affermazione di responsabilità non può conseguire al solo ruolo di amministratore della srl Monzoro Gestione Patrimoni Immobiliari s.r.l. ma, eventualmente, all’accertata attività di intestazione fittizia di beni compiuta dalla società. E posto che dalla ricostruzione dei fatti contenuta nella impugnata sentenza e nel ricorso risulta anche che la Monzoro era società riconducibile al P. e come tale aggredibile direttamente anche in sede di eventuale procedimento di prevenzione, la sola carica di amministratore unico non configura la contestata condotta. Lo svolgimento di tale ruolo, infatti, ove coincida con l’impiego di denaro od altri beni provento di illeciti nelle attività sociali, può comportare eventualmente il delitto di riciclaggio ex articolo 648 bis cod.pen. o di reimpiego ex articolo 648 ter cod.pen. nella misura in cui l’attività di amministrazione attua la condotta di sostituzione o trasformazione del provento illecito ma non anche quella di fittizia intestazione. Alla luce delle predette considerazioni pertanto l’impugnata sentenza deve essere annullata, sussistendo il dedotto vizio di violazione di legge, senza rinvio limitatamente al capo B della rubrica perché il fatto non sussiste. 2.2 Il secondo motivo è inammissibile perché manifestamente non fondato va ricordato come il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme , e cioè di condanna in primo e secondo grado, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Rv 256837 . Inoltre ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello di conferma si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595 . Nel caso in esame non si ravvisa né il presupposto della valutazione da parte del giudice di appello di un differente materiale probatorio utilizzato per rispondere alle doglianze proposte avverso la sentenza di primo grado né, tantomeno, il dedotto macroscopico travisamento dei fatti denunciabile con il ricorso per cassazione in particolare, il giudice di merito, ha già risposto con adeguata motivazione a tutte le osservazioni della difesa dell’imputato che in sostanza ripropongono motivi di fatto osservando che il compendio probatorio a carico del G. è costituito da una molteplicità di elementi probatori analizzati compiutamente e logicamente dalla corte di appello, con valutazione conforme al primo grado, tutti idonei a denotare la natura puramente fittizia della cessione di quote dal P. al G In particolare, nella ampia motivazione esposta alle pagine 18 e seguenti della impugnata sentenza, il giudice di appello richiama, come elementi significativi del carattere fittizio della cessione predetta, le dichiarazioni rese da C.P., il risibile ammontare del prezzo della cessione del 50% di una società che possedeva un rilevante patrimonio immobiliare, il contenuto di un file rinvenuto, la conversazione ambientale del 3 ottobre 2011 proprio intercorsa tra il G. ed il R., la dichiarazione del teste Scotti. Si tratta di un vasto compendio probatorio logicamente valutato ed a fronte del quale il ricorrente prospetta una lettura alternativa di dati di fatto non deducibile nella presente sede di legittimità. 2.3 Anche il terzo motivo con il quale si contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo e dello scopo elusivo appare inammissibile per manifesta infondatezza limitatamente alla condotta di cui al capo r della rubrica a pagina 21 della motivazione il giudice di appello ha adeguatamente spiegato come il lungo periodo di detenzione del P. e l’entità delle operazioni immobiliari nelle quali questi era coinvolto, rendeva notorio al G. l’intento elusivo perseguito dal primo attraverso l’intestazione delle quote sicché consapevolmente l’imputato concorse in tale illecita condotta. 2.4 Con le osservazioni svolte a pagina 33 della sentenza impugnata la corte di appello fornisce adeguata giustificazione della mancata concessione delle attenuanti generiche e della determinazione della pena anche quale aumento per continuazione pur diminuendo la pena inflitta, in accoglimento del preciso gravame difensivo, la corte non smentisce la congruenza del ragionamento seguito dal primo giudice ed evidenzia l’assenza di qualsiasi elemento positivo per concedere le attenuanti ex articolo 62 bis cod.pen. pur a fronte di condotte poste in essere da un soggetto dotato di particolari capacità professionali. Tali ragioni risultano avere anche giustificato l’aumento per continuazione. Avuto riguardo all’intervenuta assoluzione dal delitto di cui al capo B , che nel calcolo della sanzione inflitta risultava determinato quale reato più grave, gli atti vanno trasmessi ad altra sezione della corte di appello di Milano per la rideterminazione della pena in ordine al residuo reato di cui al capo R . 2.5 Altresì manifestamente infondate appaiono le doglianze proposte in relazione alla disposta confisca che questa corte deve comunque procedere ad analizzare avuto riguardo alla definitiva declaratoria di responsabilità in ordine al capo r della rubrica. Rilevato innanzi tutto che le doglianze in punto di confisca risultano proposte solo con i motivi nuovi di appello, va comunque evidenziato come i pur pregevoli motivi sul punto, paiono in evidente contrasto con l’orientamento giurisprudenziale di questa corte, con la struttura del reato di cui all’articolo 12 quinquies per il quale è intervenuta condanna definitiva, con la struttura della misura di sicurezza patrimoniale disciplinata dall’articolo 12 sexies L. 356/92. Quanto al primo aspetto, va infatti rilevato che secondo l’orientamento di questa corte Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269657 in tema di confisca ai sensi dell’articolo 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356, essendo irrilevante il requisito della pertinenzialità dei beni rispetto al reato per cui si è proceduto, la confisca non è esclusa per il fatto che questi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato. Correttamente, pertanto, i giudici di merito non approfondivano in alcun modo il requisito della funzionalità dei beni rispetto all’attività illecita oggetto di contestazione, non ravvisandosi alcuna violazione di legge in tale conclusione difatti questa Corte aderisce all’autorevole insegnamento delle Sezioni Unite secondo cui la condanna per uno dei reati indicati nell’articolo 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356 modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa comporta la confisca dei beni nella disponibilità del condannato, allorché, da un lato, sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e il valore economico di detti beni e, dall’altro, non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi. Di talché, essendo irrilevante il requisito della pertinenzialità del bene rispetto al reato per cui si è proceduto, la confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, Rv. 226490 . E tale principio risulta ribadito da altre affermazioni di questa Corte che hanno pure escluso come per la confisca ex articolo 12 sexies D.L.vo 203/92, e conseguentemente anche per il sequestro preventivo anticipatamente disposto, non sia necessario individuare un nesso temporale tra data di acquisizione dei beni e momento consumativo dei fatti di reato, trattandosi di requisito che non risulta dal testo del citato articolo 12 sexies ed estraneo alla funzione della c.d. confisca allargata tendente appunto alla sottrazione di tutti i beni di cui il soggetto responsabile di gravi fatti di reato risulti anche per interposta persona titolare ingiustificatamente. Si è difatti affermato che il sequestro e la confisca ex articolo 12-sexies D.L. 8 giugno 1992 n. 306 convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356 possono avere ad oggetto beni acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna indipendentemente dall’effettivo valore del profitto o provento di quest’ultimo Sez. 6, n. 22020 del 22/11/2011 Rv. 252849 . Il legislatore ha, quindi, ritenuto di presumere l’esistenza di un nesso pertinenziale tra alcune categorie di reati e i beni di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e che risultino di valore sproporzionato rispetto al reddito o alla attività economica del condannato stesso Corte Cost., ord. 29 gennaio 1996, n. 18 . La confisca e il sequestro dei singoli beni non possono essere, perciò, esclusi per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento dei medesimi reati e ciò in ragione della natura giuridica della confisca estesa di cui all’articolo 12 sexies cit., che consente una attenuazione dell’ordinario nesso di pertinenzialità tra reato e bene che ne rappresenta il profitto. Sul punto si sono chiaramente espresse le Sezioni Unite affermando che il legislatore, nell’individuare i reati dalla cui condanna discende la confiscabilità dei beni, non ha presupposto la derivazione di tali beni dall’episodio criminoso singolo per cui la condanna è intervenuta, ma ha correlato la confisca proprio alla sola condanna del soggetto che di quei beni dispone, senza che necessitino ulteriori accertamenti in ordine all’attitudine criminale. In altri termini il giudice, attenendosi al tenore letterale della disposizione, non deve ricercare alcun nesso di derivazione tra i beni confiscabili e il reato per cui ha pronunziato condanna e nemmeno tra questi stessi beni e l’attività criminosa del condannato. Cosa che, sotto un profilo positivo, significa che, una volta intervenuta la condanna, la confisca va sempre ordinata quando sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato ha la disponibilità e il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza delle cose. Con il corollario che, essendo la condanna e la presenza della somma dei beni di valore sproporzionato realtà attuali, la confiscabilità dei singoli beni, derivante da una situazione di pericolosità presente, non è certo esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto o che il loro valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, Rv. 22649 . Il presupposto di tale ipotesi particolare di confisca è infatti l’avvenuta commissione di un reato. Non si tratta però di un qualsiasi reato, ma di un reato-spia, teso a rendere legittima l’alterazione e la dilatazione come affermato, incisivamente, da C.Cost. n. 18 del 1996 all’alba della riforma dell’ordinario nesso di pertinenzialità tra il reato e le res dallo stesso direttamente prodotte o allo stesso direttamente ricollegabili secondo il paradigma classico dell’articolo 240 cod. pen Nel compiere tale dilatazione dell’area della confiscabilità e sequestrabilità penale il legislatore del 1992 utilizza, pertanto, il reato come indice rivelatore di particolare pericolosità soggettiva ed adotta il modello descrittivo disponibilità anche indiretta dei beni, mancata giustificazione della provenienza, sproporzione di valore con il reddito dichiarato o con i risultati dell’attività economica svolta dei presupposti della confiscabilità, in modo del tutto coincidente con quello già elaborato nel settore della prevenzione patrimoniale. Si vanno, infatti, a confiscare beni che non derivano necessariamente da quel reato oggetto del precedente o contestuale accertamento Sez. U. n. 920 del 17.12.2003, cit. ma che, in presenza degli indicatori di cui sopra, possono ritenersi ragionevolmente ricollegati e da qui confisca allargata con affievolimento del nesso pertinenziale all’azione e al livello di pericolosità, anche patrimoniale espresso dal soggetto condannato. In ciò la normativa italiana del ‘94 risulta, peraltro, aver sostanzialmente anticipato i contenuti della Decisione Quadro n. 212 del 2005 del Consiglio dell’Unione Europea relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato lì dove, all’articolo 3, comma 2 si prevede l’adozione di misure necessarie a realizzare la confisca estesa quando il giudice ritiene che il bene sia prodotto di attività criminose commesse dal condannato in relazione al medesimo reato nel periodo anteriore alla condanna o in relazione ad attività criminose analoghe o ancora, in presenza di sproporzione con il reddito legittimo, il giudice sia convinto che il bene sia provento di attività criminose, in quanto tali. In tale accezione, il fondamento logico e giuridico della confisca estesa risiede essenzialmente nella fondata presunzione di derivazione del bene non già dallo specifico reato commesso ma, comunque, dall’attività illecita realizzata dal suo autore e ciò in virtù della esistenza degli indicati parametri il reato accertato è di particolare gravità, vi è sproporzione tra valore del bene e reddito, con assenza di dimostrazione della legittima provenienza . Da ciò deriva che anche beni acquistati in periodo non coincidente con la specifica condotta di reato giudicata, ovvero non strettamente pertinenti o funzionali all’illecito, sono passibili di confisca estesa , in presenza degli indicati presupposti, non ravvisandosi dal testo del citato articolo la indispensabilità di un criterio di collegamento temporale tra acquisizione dei beni e consumazione del reato ovvero di collegamento funzionale. Deve pertanto essere escluso che secondo la giurisprudenza di questa corte, della Corte costituzionale e della normativa Europea di riferimento, la confisca ex articolo 12 sexies L. 356/92 debba essere proporzionata al reato per cui è intervenuta condanna sotto i differenti profili del prezzo o del profitto ingiusto, così come invece dedotto in ricorso. Inoltre, sussiste un ulteriore e fondamentale ragione per ritenere la manifesta infondatezza del motivo di ricorso relativo alla confisca, proposto nell’interesse del G Invero va sottolineato come la tesi della necessaria strumentalità del bene confiscabile rispetto al reato e della conseguente proporzionalità della entità della confisca stessa rispetto al profitto del reato ha, come postulato necessario, che il reato c.d. spia e cioè quello in relazione all’accertamento del quale viene disposta la misura di sicurezza patrimoniale di cui al 12 sexies abbia capacità di produrre profitto. Solo in tale senso, infatti, si potrebbe spiegare ed ammettere quale requisito della confisca ex 12 sexies quello della proporzionalità, poiché si assume quale necessario presupposto che la consumazione del reato abbia cagionato un profitto illecito ed i beni da sottrarre al patrimonio dell’imputato siano appunto quelli che, oltre a non avere giustificazione lecita, abbiano valore proporzionato rispetto al primo fattore l’illecito profitto . E però tale tesi, pure sostenuta nel motivo di gravame specificamente riferito alla disposta confisca, trova decisa e sicura smentita proprio con riguardo alla astratta struttura del delitto di cui all’articolo 12 quinquies L. 356/92 che per sua natura non è reato produttivo di profitto difatti consistendo la condotta punibile nella semplice intestazione fittizia di beni finalizzata ad eludere le misure patrimoniali, la colpevolezza è indipendente e del tutto sganciata dalla eventuale realizzazione di profitti o proventi illeciti e sussiste pure, e con evidenza, a fronte di condotte di fittizia intestazione che alcun profitto illecito abbiano causato. Appare pertanto evidente che la tesi della necessaria proporzionalità tra confisca ex 12 sexies e delitto presupposto trova una chiara smentita proprio nella struttura e funzione del delitto previsto dal 12 quinquies che essendo indipendente ed autonomo dalla realizzazione di profitti impedirebbe di adottare una confisca proporzionata ad esso. E tale conclusione, che nega in radice la validità della tesi della proporzionalità quale necessario requisito della confisca ex articolo 12 sexies, trova ulteriore conforto nell’analisi di altri delitti presupposto della confisca allargata, tra i quale spiccano ulteriori ipotesi criminose che essendo del tutto inidonee alla realizzazione di profitti illeciti, ovvero indipendenti da un evento di tal genere, confermano la volontà legislativa di agganciare la confisca allargata non tanto alla realizzazione di profitti ingiusti quanto alla sola consumazione di fatti che denotano spiccata capacità criminale ed inserimento in contesti di delinquenza professionale. Così paiono del tutto indipendenti dal profitto illecito le ipotesi di riduzione in schiavitù articolo 600 cod.pen. , la pornografia minorile 600 ter , il disastro ambientale 452 quater , che pure costituiscono tutti presupposti per l’applicazione della confisca allargata ex articolo 12 sexies e dimostrano, pertanto, la precisa volontà legislativa di sganciare la misura ablatoria dal presupposto della proporzionalità rispetto al profitto illecito. Ancora, va rilevato come la tesi della proporzionalità quale elemento costitutivo della confisca ex 12 sexies finirebbe per svilire il contenuto della suddetta forma di confisca rendendola un doppione rispetto alla generale ipotesi prevista dall’articolo 240 cod.pen. che, appunto, già prevede quale misura di sicurezza patrimoniale ordinaria la sottrazione del profitto illecito al condannato per qualsiasi reato produttivo di tali eventi di arricchimento patrimoniale. Alla luce delle predette considerazioni pertanto anche i motivi di ricorso relativi alla disposta confisca vanno dichiarati inammissibili. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo b perché il fatto non sussiste e dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Ordina la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Milano per la rideterminazione della pena in ordine al residuo reato di cui al capo R .