Pioggia di messaggi all’ex moglie: contenuto e orario sufficienti per configurare il reato di molestie

Definitiva la condanna. Il marito dovrà pagare 300 euro di ammenda per avere arrecato disturbo alla donna, inviandole per mesi messaggi offensivi e minacciosi durante la notte.

Separazione mal digerita dal marito, che per alcuni mesi tempesta di messaggi la moglie. Inequivocabile il contenuto minaccioso e offensivo dei testi. Rilevante anche il fatto che essi siano stati inviati sistematicamente di notte. Logico parlare di molestie”. Consequenziale la condanna per l’uomo Cassazione, sentenza n. 17442/2018, Sezione Prima Penale, depositata il 18 aprile 2018 . Invadenza. Riflettori puntati su un arco temporale di 4 mesi. Quel periodo è stato vissuto come un incubo dalla donna, subissata durante la notte dai messaggi telefonici a contenuto offensivo e minaccioso inviati dal marito. Il quadro, certificato dalle parole della moglie e dalla documentazione riguardante il contenuto dei messaggi, è ritenuto sufficiente in Tribunale per arrivare alla condanna dell’uomo, punito con 300 euro di ammenda . Questa visione è condivisa ora dalla Cassazione, che conferma la responsabilità del marito per il reato di molestia telefonica nei confronti della coniuge. Nessun dubbio, in sostanza, sul fatto che le comunicazioni notturne abbiano sgradevolmente interferito nella sfera privata della donna, privata della possibilità di vivere una quotidianità serena, attesa l’invadenza e l’intromissione continua da parte dell’ex coniuge . Certa, allo stesso tempo, la volontà dell’uomo di recare disturbo alla destinataria dei messaggi .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 febbraio – 18 aprile 2018, n. 17442 Presidente Sarno – Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza pronunciata in data 22.3.2016 il Tribunale di Civitavecchia ha dichiarato la penale responsabilità di Mi. An. in ordine alla contravvenzione di cui all'art. 660 cod. pen., commessa dal giugno al settembre 2013, e lo ha condannato alla pena di Euro 300 di ammenda, oltre alle statuizioni civili. Il primo giudice ha fondato il giudizio di colpevolezza sulla testimonianza della persona offesa, che aveva dichiarato di aver ricevuto, sino al settembre 2013, dall'imputato, coniuge separato, numerosi messaggi telefonici, a contenuto offensivo e minaccioso, confermata' dalla documentazione acquisita, riproducente il contenuto dei messaggi e attestante l'orario notturno degli stessi. 2. Contro tale provvedimento, il difensore dell'imputato ha proposto impugnazione, trasmessa a questa Corte ai sensi dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., deducendo i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. - violazione di norme processuali, per non aver il Tribunale ammesso l'imputato alla oblazione - violazione della legge penale, per aver il primo giudice ritenuto la sussistenza del fatto nonostante l'assenza di pericolo per l'ordine pubblico - difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va perciò respinto. Si deve innanzitutto rilevare che, esattamente, l'atto di impugnazione, qualificato dalla parte come atto di appello , è stato trasmesso a questa Corte, essendo relativo a sentenza di condanna alla sola pena dell'ammenda e quindi non impugnabile con appello, ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., ma solo con ricorso per cassazione. E' stato precisato che trattasi di mera qualificazione giuridica dell'atto processuale e che la verifica delle condizioni di ammissibilità va compiuta alla stregua delle norme che disciplinano il mezzo di impugnazione ammesso dall'ordinamento Sez. Un. 31.10.2001, Bonaventura, Rv. 220221 . 1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione di norme processuali per aver il primo giudice negato l'ammissione all'oblazione, pur ricorrendone i presupposti. L'istituto previsto dall'art. 162 bis c.p. richiede la sussistenza di alcuni requisiti di ammissibilità il titolo del reato, il pagamento della metà del massimo edittale, le condizioni soggettive ed oggettive e la positiva valutazione, discrezionale, del giudice in ordine alla entità del fatto. A fronte dell'ordinanza di rigetto, che ha fatto riferimento alla gravità del fatto, il motivo di ricorso non ha proposto alcuna critica specifica alla motivazione data sul punto dal Tribunale, ma si è limitato a proporre una propria, e alternativa, valutazione dell'entità del fatto, contestando non la motivazione del rigetto, bensì il contenuto stesso della decisione. Il motivo proposto risulta quindi formulato solo genericamente e comunque per motivi non consentiti. 2.1. Il secondo motivo deduce che erroneamente sarebbe stata ritenuta la sussistenza del fatto, pur in assenza di alcun pericolo per l'ordine pubblico. Sul punto, è stato precisato che la fattispecie di cui all'art. 660 cod. pen. è reato cd. plurioffensivo, in quanto tutela la pubblica tranquillità dai negativi riflessi che possono derivare dalle offese alla quiete della singola persona Sez. 1, 4.5.2016, Calò, Rv. 267112 Sez. 1, 27.6.2014, Terzi, Rv. 261234 Sez. 1, 28.2.2002, Nurcaro, Rv. 221373 . Il ricorrente ha sostenuto che il Tribunale avrebbe affermato il pericolo per l'ordine pubblico, e quindi la sussistenza del fatto, solo sulla base della percezione, da parte della persona offesa, del carattere ambivalente dei messaggi telefonici. In realtà, la sentenza impugnata ha dato atto del turbamento patito dalla persona offesa per il carattere ambiguo delle comunicazioni dell'imputato, ma ha anche evidenziato che quelle comunicazioni avevano interferito sgradevolmente nella sfera privata della persona offesa, comprensibilmente privata della possibilità di vivere una quotidianità serena, attesa l'invadenza e l'intromissione continua da parte dell'ex coniuge . 2.2. Il motivo denuncia anche il difetto di motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato, che il Tribunale avrebbe desunto esclusivamente dall'accertato turbamento della tranquillità della persona offesa . In realtà, dalla esposizione dei fatti compiuta dalla sentenza impugnata emerge coerenza piena tra il contenuto dei messaggi, gravemente offensivi, e la reazione di turbamento provata dalla persona offesa la consapevolezza e volontà dell'imputato di recare disturbo non è provata dalla reazione soggettiva della persona offesa, bensì dalla condotta stessa posta in essere, dalle caratteristiche che chiaramente rivelano una volontà finalizzata a creare disturbo al destinatario dei messaggi. Il motivo risulta quindi infondato. 3. Il ricorso va quindi respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.