Cosparge di benzina il fratello e la cognata: è tentato omicidio

Affinché possano riconoscersi gli estremi del tentato omicidio, piuttosto che quelli di altra fattispecie penalmente rilevante, occorre riguardare lo specifico atteggiamento psicologico dell'autore della condotta – che dovrà tendere alla causazione di un evento più grave di quello provocato, che non si realizza per ragioni estranee alla volontà dell'agente– nonché la particolare potenzialità dell'azione posta in essere.

Così ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 17174 depositata il 17 aprile 2018. Ti butto la benzina e ti do fuoco . Ecco le parole gridate dal protagonista della sentenza in commento, mentre brandiva un accendino e lo avvicinava al proprio fratello e alla cognata che aveva appena finito di innaffiare di benzina. Giudicato nelle forme del rito abbreviato, l'autore del gesto veniva condannato in primo e secondo grado per tentato omicidio. Il ricorso per cassazione si articolava su di un solo motivo l'erroneità della qualificazione giuridica attribuita al fatto. Non di tentato omicidio si trattava, bensì di minacce l'avere agitato un accendino senza accenderlo non aveva lo scopo di abbrustolire” i due congiunti, ma soltanto di terrorizzarli. La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso perché tendente ad una diversa rilettura degli elementi probatori già valutati nei due gradi di giudizio precedenti, coglie l'occasione per esaminare la fattispecie del delitto tentato e, più in particolare, quella del tentato omicidio con specifico riferimento alla componente soggettiva. Un veloce identikit del delitto tentato. Gli Ermellini affrontano in prima battuta l'argomento generale del delitto tentato poche battute per ricordare che la rilevanza penale della commissione di atti idonei, diretti in modo non equivoco alla commissione di un delitto erroneamente nella sentenza si utilizza il vocabolo reato”, ma il tentativo è punito soltanto con riferimento ai delitti, non alle contravvenzioni presuppone – sul versante oggettivo – l'inveramento di un atto, appunto, idoneo al perfezionamento di una fattispecie delittuosa. Secondo un indirizzo ormai costantemente seguito, il giudizio di idoneità degli atti deve incentrarsi sulla valutazione della loro effettiva e concreta potenzialità lesiva per il bene giuridico tutelato . Ciò perché, in un sistema come il nostro, in cui si criminalizza un fatto” e non già semplicemente l'intenzione criminosa, occorre che l'oggetto giuridico tutelato dalla singola disposizione incriminatrice sia, quantomeno, esposto ad un pericolo di lesione. La domanda, a questo punto, sorge spontanea quale situazione concreta deve essere oggetto di valutazione per giudicare l'idoneità degli atti? La giurisprudenza afferma il principio che lo stato di fatto rilevante è quello che si presenta al colpevole al momento dell'azione in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare . In altri termini, occorrerà individualizzare il giudizio di idoneità, evitando valutazioni astratte e generalizzanti. Ciò che, però, sollecita la nostra attenzione è contenuto nella parte della sentenza dedicata all'analisi della componente soggettiva del tentato omicidio. Il dolo del tentativo un problema di prova? Per individuare il tentativo punibile, occorrerà valorizzare quei gesti dai quali può desumersi che il completamento della fattispecie criminosa appariva, nella mente dell'agente, come inequivoco epilogo dell'azione intrapresa. Come sempre, il principale problema processuale generato dall'elemento soggettivo del reato consiste nella prova della sua esistenza. In questo caso, la Suprema Corte ci ricorda che il dolo andrà desunto con un procedimento inferenziale simile a quello utilizzato per la valutazione della prova indiziaria. E cioè occorrerà valorizzare elementi fattuali espressivi di un sicuro valore sintomatico . Nel caso che ci occupa, quindi, l'aver avvicinato un accendino a due persone intrise di benzina, accompagnando il gesto con espressioni chiaramente minacciose, basta e avanza per affermare che l'intenzione era quella di appiccare il fuoco ai due malcapitati. Cosa che, nel concreto, non avveniva sia per la reazione delle vittime, sia per l'intervento di terzi. Più tentativo di così

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 23 gennaio 2017 – 17 aprile 2018, n. 17174 Presidente Cortese – Relatore Tardio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 22 settembre 2015 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza resa in data 11 febbraio 2015 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Como, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato O.C. colpevole del reato di tentato omicidio pluriaggravato ai danni del fratello O.M. e della cognata C.C.A., ascrittogli per avere compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a cagionarne la morte, consistiti nel cospargerli di benzina, estrarre dalla tasca un accendino e attivarlo a distanza ravvicinata, senza riuscire nell’intento per la reazione della cognata e il successivo intervento dei vicini di casa, e lo aveva condannato alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, ritenuta la continuazione, essendo due le vittime dell’azione aggressiva, apprezzate le aggravanti del fatto commesso anche in danno del fratello e del motivo futile, ritenuta la recidiva contestata e operata la riduzione per il rito. 2. La Corte di appello, richiamata la ricostruzione dei fatti operata dal Giudice di primo grado e ripercorse le considerazioni che avevano supportato la decisione di condanna, dava conto dei motivi di appello, e, premessa la mancanza di sostanziale contestazione dei fatti e della concreta condotta tenuta dall’imputato, sì come ricostruiti, nonché delle ritenute circostanze aggravanti e della recidiva, rilevava, a ragione della decisione, che la riproposta deduzione difensiva che l’azione descritta nel capo di imputazione integrava il reato di minaccia grave e non il reato di tentato omicidio era stata già risolta con la sentenza impugnata con argomenti appropriati ed esaustivi, del tutto condivisi, alla luce dei ripercorsi principi di diritto in tema di valutazioni da farsi dal giudice per qualificare giuridicamente una condotta come tentato omicidio o altro doveva procedersi dal rilievo che la condotta contestata, che non aveva provocato lesioni alle vittime, aveva costituito l’escalation di una pregressa condotta aggressiva, nel corso della quale entrambe le persone offese avevano riportato lesioni, attestate dai certificati medici in atti dette persone erano, poi, state, in progressione, cosparse di liquido altamente infiammabile e l’imputato, tenendo in mano un accendino funzionante a distanza ravvicinata, aveva esplicitamente minacciato di azionarlo contro le persone offese già completamente intrise di benzina tale condotta di per sé, a prescindere dalla uscita o meno della fiamma dall’accendino, aveva già integrato il tentativo punibile, avuto anche riguardo alle frasi minacciose, esplicative della intenzione dell’agente di ammazzare e coerenti con l’azione aggressiva, che avevano accompagnato la condotta la ricostruzione dei fatti resa dalla persona offesa C.C., testualmente riportata, era stata sostanzialmente confermata dagli altri testimoni il teste Ca., in particolare, aveva riferito di avere udito l’imputato urlare ti butto la benzina e ti do fuoco , mentre lo vedeva agitare un accendino di metallo a persona offesa O.M. aveva ricordato che il fratello, da distanza ravvicinata, aveva provato ad azionare l’accendino, e il teste Cappalunga, pure vicino di casa, aveva dichiarato di avere visto l’imputato estrarre un accendino dalla tasca dei pantaloni e di essere corso verso i tre, bloccando l’imputato che continuava a litigare con il fratello e non aveva più in mano l’accendino la condotta dell’imputato, già ritenuta sorretta in primo grado, dal dolo quantomeno alternativo, era stata interrotta dalla reazione rapida e decisa dei presenti, preclusiva del chiesto riconoscimento della desistenza volontaria la pena inflitta era proporzionata ai fatti e, mentre non erano riconoscibili le attenuanti generiche, doveva essere rettificato il calcolo interno per la determinazione della pena riducendo a mesi due l’aumento per l’aggravante dei futili motivi. 3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per mezzo del suo difensore avv. Daniela Danieli, chiedendone l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia errata applicazione della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 56 e 575 cod. pen Secondo il ricorrente, le azioni da lui poste in essere sono tipiche della mera intimidazione, evidenziando la minaccia proferita al fratello e l’omessa accensione dell’accendino per innescare il fuoco la sua intenzione di intimorire concretamente le parti offese, e non di volerne provocare la morte sulla base di un giudizio probabilistico. Peraltro, la destinazione dell’azione in contesto dimostrativo è comprovata dal fatto che l’utilizzo effettivo dell’accendino con la finalità di appiccare il fuoco avrebbe coinvolto egli stesso nel fuoco, essendosi i suoi vestiti impregnati della benzina versata sul fratello e sulla cognata. Sul piano oggettivo doveva essere esclusa l’idoneità dell’azione a provocare la morte delle persone offese, mentre si era erroneamente anticipato il momento di realizzazione del tentativo, attesa l’assenza di fiamma o di scintille e considerato il solo versamento di liquido infiammabile. In ogni caso, anche la presunta fiamma vista dalla parte offesa C. è rimasta accesa, secondo le dichiarazioni della stessa, per un attimo prima di spegnersi quasi subito, e nessuno ha parlato di un suo movimento per porre la fiamma in contatto con il liquido infiammabile. Vi erano stati, quindi, solo atti prodromici che non avevano raggiunto la soglia del tentativo. Considerato in diritto 1. Il ricorso, proposto sulla base di censure manifestamente infondate ovvero generiche o non consentite, deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di legge. 2. Si premette in diritto che, per aversi il reato tentato, l’art. 56 cod. pen. richiede la commissione di atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un reato. È, quindi, elemento strutturale oggettivo del tentativo, insieme alla direzione non equivoca degli atti, l’idoneità degli stessi, dovendosi intendere per tali quelli dotati di una effettiva e concreta potenzialità lesiva per il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, alla luce di una valutazione prognostica compiuta ex post e quindi postuma , con riferimento alla situazione così come presentatasi al colpevole al momento dell’azione in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare, che non può essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti tra le altre, Sez. 1, n. 3185 del 10/02/2000, Stabile, Rv. 215511 Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, Di Salvo, Rv. 241339 Sez. 1, n. 32851 del 10/06/2013, Ciancio Cateno, Rv. 256991 Sez. 2, n. 44148 del 07/07/2014, Guglielmino, Rv. 260855 , e, quindi, tenendosi conto con giudizio ex ante, nella prospettiva del bene protetto, delle circostanze in cui ha operato l’agente e delle modalità dell’azione tra le altre, Sez. 6, n. 27323 del 20/05/2008, R, Rv. 240736 Sez. 1, n. 19511 del 15/01/2010, Basco, Rv. 247197 Sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010, Resa, Rv. 248305 . 2.1. Questa Corte ha anche ripetutamente affermato che, al fine della qualificazione del fatto quale tentato omicidio, invece che quale lesione personale o altro, si deve avere riguardo al diverso atteggiamento psicologico dell’agente e alla diversa potenzialità dell’azione lesiva, richiedendosi nel primo un quid pluris che tende ed è idoneo a causare un evento più grave di quello realizzato in danno dello stesso bene giuridico o di uno superiore, riguardante lo stesso soggetto passivo, che non si realizza per ragioni estranee alla volontà dell’agente tra le altre, Sez. 1, n. 35174 del 23/06/2009, M., Rv. 245204 Sez. 1, n. 37516 del 22/09/2010, Bisotti, Rv. 248550 Sez. 1, n. 51056 del 27/11/2013, Tripodi, Rv. 257881 . Con riferimento particolare all’elemento psicologico del dolo, riguardo al reato di tentato omicidio, è costante l’orientamento alla cui stregua la figura di reato prevista dall’art. 56 cod. pen., che ha come suo presupposto il compimento di atti finalizzati diretti in modo non equivoco alla commissione di un delitto, non ricomprende quelle condotte rispetto alle quali un evento delittuoso si prospetta come accadimento possibile o probabile non preso in diretta considerazione dall’agente, che accetta il rischio del suo verificarsi c.d. dolo eventuale tra le altre, Sez. 1, n. 25114 del 31/03/2010, Vismara, Rv. 247707 Sez. 6, n. 14342 del 20/03/2012, R., Rv. 252565 , ricomprendendo invece gli atti rispetto ai quali l’evento specificamente richiesto per la realizzazione della fattispecie delittuosa di riferimento si pone come inequivoco epilogo della direzione della condotta, accettato dall’agente che prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria c.d. dolo diretto alternativo , o specificamente voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale o perseguito come scopo finale c.d. dolo diretto intenzionale tra le altre, Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 1994, Cassata, Rv. 195804 Sez. 1, n. 10431 del 30/10/1997, Angelini, Rv. 208932 Sez. 1, n. 27620 del 24/05/2007, Mastrovito, Rv. 237022 Sez. 1, n. 12594 del 29/01/2008, Li, Rv. 240275 Sez. 1, n. 11521 del 25/02/2009, D’Alessandro, Rv. 243487 Sez. 1, n. 9663 del 03/10/2013, dep. 2014, Nardelli, Rv. 259465 . La prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, deve essere, in particolare, desunta attraverso un procedimento inferenziale, analogo a quello utilizzabile nel procedimento indiziario, da fatti esterni o certi, aventi un sicuro valore sintomatico, e in particolare da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei a esprimere il fine perseguito dall’agente secondo l’ id quod plerumque accidit , quali esemplificativamente il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte e la reiterazione dei colpi tra le altre, Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, citata Sez. 1, n. 37516 del 22/09/2010, citata Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011, Milettaro, Rv. 251014 Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, Polisì, Rv. 257208 . 2.2. Questa Corte ha da tempo anche sottolineato Sez. 1, n. 450 del 18/03/1968, Orsini, Rv. 108721 e poi riaffermato tra le altre, Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702 che, in tema di tentato omicidio, la scarsa entità delle lesioni cagionate alla vittima e la inesistenza di lesioni non sono circostanze idonee a escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a circostanze indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa. 3. La Corte di merito, in coerenza con tali condivisi principi, ha dato esaustivo conto delle ragioni giustificative della conferma delle valutazioni svolte dal Giudice di primo grado, che aveva già posto in debito risalto gli elementi probatori acquisiti e ritenuto dimostrata l’imputazione ascritta e pertinente la qualificazione giuridica del fatto. 3.1. Facendo richiami non incongrui ai dati fattuali esaminati, tratti dalla svolta ricostruzione della vicenda e della concreta condotta dell’imputato, ripercorsa con illustrazione specifica, nella parte espositiva, degli apporti dichiarativi delle persone offese e dei testi, la Corte di appello, nel dare preliminarmente atto dell’assenza di contestazioni, confrontandosi con le questioni devolute, in ordine a detta ricostruzione che ha condiviso, ha ritenuto, con ragionevole apprezzamento ex ante, che fossero dimostrativi della sussistenza del tentato omicidio e della responsabilità dell’imputato sì come sintetizzato sub 2 del ritenuto in fatto , in continuità argomentativa con l’analisi già svolta, la circostanza fattuale che, in esito a pregresse condotte aggressive dell’imputato e lesive delle persone offese attestate da certificati medici, il primo aveva cosparso il corpo delle seconde di liquido altamente infiammabile e aveva in mano a distanza ravvicinata un accendino funzionante il dato che tale condotta era stata accompagnata, nella progressione dell’azione aggressiva, antecedente e successiva all’utilizzo della tanica per cospargere di benzina le persone offese, dalla ripetuta pronuncia da parte dell’imputato di frasi minacciose, il cui contenuto testualmente ripreso era coerente con l’azione aggressiva in corso ed esplicito della intenzione dello stesso imputato, riferite dalla persona offesa C. e dal teste Ca. la circostanza che l’accendino era stato estratto dalla tasca da parte dell’imputato, gridando la frase adesso ti brucio e provando ad azionarlo secondo le dichiarazioni della persona offesa O. ovvero riuscendo in una occasione ad azionandolo secondo le dichiarazioni della persona offesa C. , e comunque tenendolo, per concorde emergenza, a distanza ravvicinata rispetto alle persone offese la circostanza che la presenza dell’accendino metallico nella mani dell’imputato e/o la pronuncia delle frasi minacciose pertinenti al ricorso al fuoco, correlato all’uso della benzina, era stata rilevata anche dai testi Ca. e Cappalunga, vicini di casa, cui intervento rapido e deciso, unitamente alla reazione delle vittime, aveva interrotto l’azione. La Corte, valorizzando tali precisi e univoci indicatori fattuali, ha, quindi, conclusivamente rimarcato che le evidenze disponibili confermavano la sussistenza, sul piano soggettivo, della volontà omicida, e che i ripresi passaggi argomentativi della sentenza erano corretti in diritto e persuasivi nel merito anche in punto di idoneità e univocità della condotta a cagionare l’evento e di mancata consumazione della stessa per cause non riconducibili alla volontà dell’imputato, senza prescindere dall’analisi delle ragioni prospettate nell’atto di appello, giudicate soccombenti a fronte degli argomenti spesi dal primo Giudice e ripercorsi e approfonditi nel giudizio di appello. 3.2. Tali valutazioni, esenti da vizi giuridici e coerenti nella impostazione e nello sviluppo logico, resistono alle doglianze difensive. Il ricorrente, infatti, mentre del tutto infondatamente si duole della incorsa violazione della normativa di riferimento e genericamente censura la operata riconduzione del fatto nella fattispecie del tentato omicidio reclamandone la qualificazione come mera intimidazione ovvero come atto dimostrativo, oppone sotto l’aspetto della contestazione della congruenza logica della decisione e della completezza della valutazione delle risultanze probatorie deduzioni e osservazioni, che in sovrapposizione argomentativa rispetto ai passaggi motivi della sentenza e senza correlazione specifica e critica con le risposte ricevute ad analoghe deduzioni già sostenute e discusse in sede di merito svolgono sostanziali censure sul significato e sulla interpretazione di elementi di fatto posti a fondamento del discorso giustificativo della decisione quanto alla ricostruzione degli elementi, oggettivo e soggettivo, del tentato omicidio, reclamandone una rivisitazione nel merito con il riferimento, in particolare, al gesto, mancato, di porre in contatto la fiamma con il liquido infiammabile , a fronte dell’accertata distanza ravvicinata dell’imputato alle persone offese, da lui stesso cosparse di liquido fortemente predisposto a infiammarsi , con l’adozione di alternativi parametri di ricostruzione e valutazione, non consentita ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen 4. Alla inammissibilità del ricorso, che si dichiara, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta congrua, di millecinquecento Euro alla cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento Euro alla cassa delle ammende.