Al reato di scarico non autorizzato di acque reflue può essere applicata la tenuità del fatto

Qualora lo scarico di acque reflue, all’interno delle condotte fognarie, avvenga senza autorizzazione, tale condotta non è in sé e per sé idonea ad escludere la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 16678/18, depositata il 16 aprile. Il caso. Il Tribunale di Palermo dichiarava l’imputato responsabile dei reati di cui agli artt. 124 e 137, comma 1, d.lgs. n. 152/2006 Norme in materia ambientale , per aver, in qualità di gestore di un autolavaggio, immesso, senza autorizzazione, nella rete fognaria lo scarico di acque reflue. Avverso la pronuncia del Tribunale l’imputato ricorre per cassazione denunciando il travisamento di prova in ordine all’attività di scarico delle acque nonché il mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131- bis c.p Travisamento di prova e tenuità del fatto. Il Supremo Collegio non rilevando alcun travisamento di prova in ordine all’attività di scarico non autorizzato, ribadisce come il ricorrente non era munito di alcuna autorizzazione per lo sversamento delle acque industriali nella condotta fognante, avendola egli conseguita solo a distanza di circa 4 mesi da tale accesso degli agenti presso l’autolavaggio . Relativamente all’omesso riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131- bis c.p., la Suprema Corte precisa che non debba escludersi la possibilità di graduare il pericolo che dal reato in questione scaturisce . Difatti, i Giudici di merito avevano escluso la particolare tenuità in considerazione del territorio urbanizzato in cui l’illecito era stato posto in essere, della configurabilità di un reato formale di pericolo e dell’irrilevanza del successivo conseguimento dell’autorizzazione allo scarico. Tale esclusione, tuttavia, si fonda, secondo i Giudici di legittimità, su presupposti irrilevanti posto che, il contesto urbano non rende di per sé la condotta maggiormente lesiva, poiché, di contro, le acque reflue non si sono disperse nell’ambiente circostante ma sono state, ancorché illecitamente, convogliate nelle condotte fognarie . Ciò posto, la Suprema Corte sottolinea come se da un lato le condotte integranti fattispecie di reato possono avere diversa lesività, dall’altro non è consentita la introduzione, ope iudicis , nella disciplina di cui all’art. 131- bis c.p. di una ulteriore serie di indici-requisito non considerati in sede normativa, quali la tipologia di reato ovvero il bene-interesse tutelato, essendo evidente che laddove il legislatore avesse voluto elevare uno di questi fattori a discrimine ai fini della sussumibilità o meno di determinate ipotesi di illecito nell’ambito della particolare tenuità lo avrebbe fatto, così come lo ha previsto nell’indicare altri, diversi, indici-requisiti necessari perché la disposizione sopra richiamata possa essere applicata . La Corte dunque cassa la sentenza impugnata con rinvio limitatamente all’applicabilità dell’art. 131- bis c.p

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 novembre 2017 – 16 aprile 2018, n. 16678 Presidente Di Nicola – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con sentenza del 4 novembre 2016 il Tribunale di Palermo ha dichiarato L.V.F. responsabile del reato di cui agli artt. 124 e 137, comma 1, del dlgs n. 152 del 2006 per avere, nella qualità di gestore di un autolavaggio, immesso, senza la prescritta autorizzazione, le derivanti acque reflue industriali nell’ordinario scarico idrico senza alcun preventivo trattamento, condannandolo, pertanto, alla pena di giustizia. Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione, assistito dal suo legale di fiducia, il L.V. , deducendo quale motivo di impugnazione la mancanza di elementi probatori in ordine alla effettività dello scarico, non essendo emerso che l’attività del prevenuto fosse in corso al momento dell’accesso dei verbalizzanti. In via subordinata egli ha lamentato la mancata qualificazione della condotta a lui attribuita fra i fatti di particolare tenuità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. Considerato in diritto Il ricorso, fondato nei termini che saranno di seguito precisati, deve essere accolto per quanto di ragione. Chiaramente inammissibile è il primo motivo di impugnazione svolto da parte ricorrente. Con esso il L.V. ha lamentato il travisamento delle risultanze processuali attraverso le quali il Tribunale di Palermo ha desunto lo svolgimento da parte di quello della attività di impresa nel compimento della quale egli ha tenuto la condotta fonte della imputazione a lui contestata. Come è noto si ha travisamento della prova - vizio deducibile di fronte a questa Corte, sia pure a determinate condizioni ove esso riguardi una sentenza di appello confermativa della precedente sentenza di primo grado sui limiti della deducibilità del travisamento della prova in caso di doppia conforme , si veda, da ultimo in ordine di tempo Corte di cassazione, Sezione V penale, 20 aprile 2017, n. 18975 idem Sezione II penale, 20 febbraio 2017, n. 7986 , ai sensi dell’art. 606, lettera e , cod. proc. pen. sotto la specie del vizio di motivazione - allorché il giudice introduca nella motivazione della sentenza una informazione rilevante che non esiste nel processo, in quanto non veicolata in esso attraverso alcuna fonte di prova, ovvero quando si ometta la valutazione degli elementi conoscitivi obbiettivamente ed inconfutabilmente ricavabili dal contenuto di una prova che siano decisivi ai fini della pronuncia della sentenza in questione Corte di cassazione, Sezione H penale, 26 novembre 2013, n. 47035 in altre parole, la efficace deduzione del vizio in parola deve portare alle emersione di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova espletata e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto. Nel caso in esame siffatto travisamento, per come sopra definito, non è affatto ravvisabile, posto che il Tribunale ha ragionevolmente e plausibilmente tratto la convinzione della esistenza in atto della attività di autolavaggio da parte del L.V. dalla circostanza - emersa a seguito dell’esame testimoniale di uno degli agenti operanti - che il predetto imputato, al momento dell’accesso degli agenti della Polizia municipale di Palermo presso la autorimessa da lui condotta, fosse titolare di un contratto di affitto dei locali in questione affinché essi fossero adibiti ad uso autorimessa ed autolavaggio che all’interno dei locali in questione vi fosse l’armamentario tecnico, minutamente indicato in sentenza, necessario per lo svolgimento della attività in questione e che la zona ove erano ubicati i pozzetti di scarico delle acque reflue presentava evidenti segni di acqua stagnante sul pavimento, segni dal giudicante logicamente ricondotti alla recente opera di lavaggio di autovetture. Indiscussa essendo la circostanza che al momento dell’accesso degli agenti operanti il L.V. non era munito di alcuna autorizzazione per lo sversamento delle acque industriali nella condotta fognante, avendola egli conseguita solo a distanza di circa 4 mesi da tale accesso, non appare a questo Collegio che il Tribunale, nel ritenere in atto la attività contestata al L.V. abbia travisato le risultanze processuali acquisite in atti. Fondato è, viceversa, il secondo motivo di impugnazione dedotto dal ricorrente questi, infatti, ha lamentato che il Tribunale abbia escluso la possibilità di ritenere il fatto non punibile, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. in quanto lo stesso non poteva essere qualificato di speciale tenuità sulla base di indici ritenuti dal ricorrente tali da non escludere una siffatta qualificazione del reato. Come detto la censura è fondata infatti, rileva il Collegio, il Tribunale che pure ha concordato con il ricorrente nel senso che, sebbene il reato contestato sia caratterizzato da una valutazione normativa di pericolosità, riscontrabile quest’ultima una volta accertata la ricorrenza delle astratte forme di manifestazione del reato, tuttavia ciò non comporta la esclusione della possibilità di graduare il pericolo che dal reato in questione scaturisce - ha negato che fosse consentito ritenere, quanto al caso di specie, che Io stesso fosse di particolare tenuità a in quanto realizzatosi in un territorio riccamente urbanizzato b in quanto lo stesso era un reato formale di pericolo, per la cui realizzazione non era necessaria la effettiva produzione di un evento dannoso o pericoloso a carico del bene tutelato, da individuarsi nella integrità dell’ambiente c in quanto era fattore irrilevante che il ricorrente avesse, successivamente alla verifica da parte della Polizia municipale di Palermo, conseguito l’autorizzazione allo scarico delle acque reflue industriali da lui prodotte. Gli argomenti addotti appaiono effettivamente inaccettabili. La circostanza che la condotta del L.V. si sia realizzata in un territorio riccamente urbanizzato, considerato che le acque reflue non si sono disperse nell’ambiente circostante ma sono state, ancorché illecitamente, convogliate nelle condotte fognarie, rende irrilevante, ai fini di una maggiore lesività della condotta, il dato relativo alla urbanizzazione dell’ambito territoriale in cui il fatto è avvenuto, non avendo tale dato comportato una maggiore diffusività della lesione, essendo stata questa circoscritta dal convogliamento delle acque inquinanti nella rete fognaria. Quanto al fatto che la tipologia della contravvenzione contestata al L.V. sia finalizzata a costituire una sorta di tutela anticipata ad un bene di rilevante significato per la intera comunità, quale è il bene dell’ambiente, ritiene il Collegio che questo non appaia elemento tale da escludere, peraltro come espressamente rilevato anche nella sentenza impugnata, che nell’ambito della predetta tipologia di reati possano essere individuate delle condotte aventi una più o meno marcata lesività. Una diversa soluzione, tale da comportare la inapplicabilità della particolare causa di non punibilità, comporterebbe la introduzione, ope iudicis, nella disciplina di cui all’art. 131-bis cod. pen. di una ulteriore serie di indici-requisito - elementi così definiti per rifarsi alla terminologia con la quale il legislatore delegato ha illustrato la modifica normativa che ha portato alla introduzione nel codice sostanziale della particolare ipotesi di causa di non punibilità non considerati in sede normativa, quali la tipologia del reato a tale proposito appare significativo osservare che l’art. 131-bis, comma primo, cod. pen., facendo riferimento alle esiguità del danno o del pericolo non distingue ai fini della configurabilità della fattispecie fra illeciti di danno ed illeciti di pericolo, potendo la causa di non punibilità essere ravvisabile sia con riferimento alla prima che alla seconda delle due categorie concettuali di reati ovvero il bene-interesse tutelato, essendo evidente che laddove il legislatore avesse voluto elevare uno di questi fattori a discrimine ai fini della sussumibilità o meno di determinate ipotesi di illecito nell’ambito della particolare tenuità lo avrebbe fatto, cosi come lo ha previsto nell’indicare altri, diversi, indici-requisiti necessari perché la disposizione sopra richiamata possa essere applicata. Ritiene al presente riguardo, il Collegio che esuli dalla attività di interpretazione normativa - consentita al giudice ed anzi a lui, nelle sue varie articolazioni, di fatto riservata in via definitiva - per trasmodare in quella nomopoietica - inibita invece alla autorità giudiziaria essendo essa monopolio del legislatore - la creazione di ulteriori elementi strutturali ostativi alla possibilità di qualificare un fatto come di particolare tenuità ai fini di cui all’art. 131-bis cod. pen Poiché questa è, in sostanza, la operazione cui ha presieduto il Tribunale di Palermo nell’escludere in via di principio la particolare tenuità del fatto quanto al caso di specie, la sentenza sul punto deve essere annullata, con rinvio al medesimo Tribunale affinché, in diversa composizione personale, ripercorra i termini del giudizio riesaminando, tenuto conto dei principi dianzi illustrati, la sussistenza o meno quanto alla ipotesi in contestazione della particolare tenuità del fatto. Mette conto precisare che - essendo il rinvio ora disposto logicamente subordinato alla intervenuta astratta definitiva qualificazione del fatto commesso come penalmente rilevante, atteso che l’eventuale applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. non comporta assolutamente un giudizio di esclusione della rilevanza penale del fatto, la cui sussistenza anzi è il postulato da cui muove la disposizione in questione, afferendo la medesima disposizione alla sola impossibilità di far conseguire all’illecito l’applicazione della sanzione penale - non vi è più, nella fattispecie, alcuna incidenza, ai fini della perdurante sussistenza del reato, dell’eventuale tempo trascorso dal momento della sua commissione, di tal che esso non potrà, comunque, stante la definitività del suo accertamento, essere più dichiarato estinto per prescrizione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla applicabilità dell’art. 131-bis del codice penale e rinvia sul punto al Tribunale di Palermo. Rigetta il ricorso nel resto.