Messa alla prova del maggiorenne e del minorenne: la Corte di Cassazione solleva una questione di legittimità

Deve ritenersi rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 27 e 31 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli art. 29 d.P.R. n. 448/1988 e 657-bis c.p.p., nella parte in cui, in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice possa determinare la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova.

Così la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 16358/18, depositata il 12 aprile. Il caso. L’imputato minorenne veniva sottoposto a due periodi messa alla prova prevista dall’art. 28 e 29 d.P.R. n. 448/1988 , nell’ambito di due diversi procedimenti. Tuttavia, in entrambi, la stessa dava esito negativo, in quanto l’imputato non aver palesato alcun movimento trasformativo” sia sul piano comportamentale che attitudinale, in conseguenza del programma trattamentale e, pertanto, veniva condannato alla pena detentiva, poi cumulata con successivo provvedimento. Dopo una prima richiesta di applicazione dell’art. 657- bis c.p.p., rigettata dal PM, l’imputato proponeva, personalmente, incidente di esecuzione diretto ad ottenere il riconoscimento dello scomputo previsto dalla citata disposizione. Anche in questo caso, il Tribunale per i Minorenni rigettava la richiesta, affermando che l’art. 657- bis c.p.p. è norma non estensibile al procedimento minorile, tenuto conto che la stessa è stata inserita con riferimento alla messa alla prova degli adulti che ha finalità e ratio differenti rispetto a quella rivolta agli imputati minorenni. Veniva, in conseguenza, proposto ricorso per cassazione, in cui si deduceva, al contrario, l’applicabilità della norma, pena una disparità di trattamento ingiustificata tra i due istituti. La normativa di riferimento. Preliminarmente, va ricordato che l’art. 657- bis c.p.p., inserito dall’art. 4, comma 1, lett. b , l. n. 67/2014, disciplina l’istituto della fungibilità in caso di messa alla prova revocata o con esito negativo. La norma, invero, dispone che, in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita. Ai fini della detrazione, tre giorni di prova sono equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a 250 euro di multa o di ammenda . Messa alla prova degli adulti e dei minori differenze funzionali. In primo luogo, rileva la Corte, come l’istituto persegua, tendenzialmente, nel processo minorile e in quello ordinario, finalità differenti. In particolare, la messa alla prova degli adulti, che si instaura su iniziativa dell’imputato, ha una forte componente afflittiva, rappresentata dallo svolgimento di lavoro di pubblica utilità e soltanto, in via residuale, natura ripartiva, diretta alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti da reato. Al contrario, la messa alla prova del minore, perché possa ritenersi positivamente espletata, deve incidere sulla personalità del minore, così che possa, in effetti, evidenziarsi, al termine della stessa, una evoluzione della sua personalità. In mancanza, di tale risultato” il giudice può disporre che la stessa abbia avuto esito negativo, pronunciandosi, di conseguenza sui fatti oggetto di imputazione, applicando la pena ritenuta di giustizia. Conclusioni della Corte. Nonostante le menzionate differenze, e discostandosi dalla decisione del giudice di merito, che ha ritenuto inapplicabile l’art. 657- bis c.p.p. alla messa alla prova per i minori, la Corte ritiene, tuttavia, che l’esclusione di una qualunque rilevanza del percorso seguito durante la prova, pur segnato da un epilogo sfavorevole, realizza un regime ingiustificatamente differenziato rispetto a quanto previsto per gli imputati maggiorenni. Tale circostanza, da un lato, evidenzia un contrasto con il principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 Cost., e dall’altro, confligge con quel principio generale di maggiore protezione e favor previsto per gli imputati minorenni. Per tali ragioni, la tesi accolta nel giudizio di merito, che nega la possibilità di scomputare la pena inflitta dal periodo di messa alla prova già svolto, si pone, secondo gli ermellini, in palese contrasto con i principi di tutela del minore e della finalità educativa di cui agli artt. 31, comma 2 e 27 comma 3 Cost., nonché del principio di uguaglianza, risultando evidente che tale disparità trattamento è certamente ingiustificata rispetto a quanto previsto per gli imputati maggiorenni, stante la identica sottoposizione del minore a limitazioni della propria libertà personale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 5 dicembre 2017 – 12 aprile 2018, n. 16358 Presidente Di Tomassi – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. A seguito della richiesta di rinvio a giudizio davanti al Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i Minorenni di Milano per rispondere del delitto di cui agli artt. 110 e 648 cod. pen., B.A. aveva beneficiato della sospensione del processo con messa alla prova ai servizi minorili applicata, per un periodo pari a un anno, con ordinanza dello stesso giudice in data 17/10/2011. Nel corso della misura, egli era stato sottoposto a un progetto elaborato dal Servizio sociale minorile che prevedeva interventi di orientamento formativo e lavorativo, di sostegno per il conseguimento del patentino per il ciclomotore, per il mantenimento della frequenza di uno sport di squadra, per lo svolgimento di attività di utilità sociale, da individuarsi a carico dello stesso servizio sociale, nonché colloqui di monitoraggio con l’assistente sociale e di sostegno psicologico dell’equipe penale. Dopo un iniziale periodo in cui B. aveva aderito al progetto educativo, egli aveva successivamente disatteso gli impegni assunti, interrompendo bruscamente i contatti con gli operatori psico-sociali e riallacciando strumentalmente i rapporti con i servizi soltanto in prossimità dell’udienza finale. Per tale motivo, con sentenza in data 3/10/2012 il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i Minorenni di Milano aveva ritenuto che la messa alla prova si fosse conclusa con esito negativo e aveva condannato l’imputato alla pena di sette mesi e quattro giorni di reclusione, riconosciute le attenuanti generiche ed applicata la diminuente della minore età. 1.1. Successivamente, B. era stato nuovamente tratto a giudizio davanti al Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i Minorenni di Milano per rispondere dei delitti di cui agli artt. 81, 609-octies, 609-bis e 609-ter cod. pen. e con ordinanza in data 14/04/2014 era stato ammesso, una seconda volta, alla sospensione del procedimento con messa alla prova al Servizio sociale minorile per un periodo di un anno e sei mesi. Il progetto elaborato dal Servizio sociale prevedeva il mantenimento della frequenza scolastica, con profitto e buon comportamento, colloqui di sostegno psicologico, con cadenza quantomeno quindicinale, finalizzati anche alla rielaborazione dei reati e dei sottesi stili di vita e relazionali con i pari lo svolgimento di attività socialmente utili inizialmente presso un oratorio e successivamente presso altri contesti al fine di incentivare sentimenti di condivisione e di empatia , di attività di servizio alla persona, con l’inserimento, ove possibile, in gruppi rivolti alla presa in carico di minori coinvolti in reati di stampo sessuale, nonché colloqui di verifica e di sostegno con l’assistente sociale, con il coinvolgimento dei familiari. La misura, anche in questo frangente, non era stata gestita in maniera adeguata, sicché in sede di relazione conclusiva, datata 16/09/2015, il Servizio affidatario aveva sottolineato l’esito negativo del percorso di messa alla prova. Su tali basi, il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Milano aveva valutato sfavorevolmente l’andamento della misura, sottolineando come il giovane si fosse sottratto ad una presa in carico psicologica, avesse interrotto e ripreso i rapporti con gli operatori a proprio piacimento, si fosse mantenuto emotivamente distante rispetto alle relazioni di aiuto a lui offerte , avesse autonomamente orientato la propria progettualità lavorativa, dimostrando una totale mancanza di interesse al contesto penale , non avesse svolto alcuna significativa riflessione sulle condotte di reato , non palesando alcun movimento trasformativo sia sul piano comportamentale che attitudinale. In questa prospettiva, il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Milano, con sentenza in data 13/10/2015, lo aveva condannato, con la riduzione per il rito prescelto e con la diminuente dell’art. 98 cod. pen. ritenuta prevalente sulle aggravanti contestate, alla pena di due anni e sei mesi di reclusione. 1.3. Le due sentenze di condanna erano state, quindi, unificate dal provvedimento di cumulo del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano in data 23/08/2016, che aveva determinato la pena espianda in tre anni, un mese e quattro giorni di reclusione. 2. In data 6/10/2016, B.A.P. aveva presentato, a mezzo del difensore avv. Luigi Marinelli, richiesta di applicazione dell’art. 657-bis cod. proc. pen. in relazione al periodo, pari a complessivi due anni e sei mesi, nel quale il giovane era stato ammesso alla prova in relazione alle condanne unificate dal menzionato provvedimento di cumulo. In data 10/10/2016, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano aveva rigettato la richiesta, sul presupposto della non applicabilità al processo minorile dell’art. 657-bis cod. proc. pen. previsto per i soli imputati adulti, avuto riguardo alle sostanziali differenze, sia sul piano strutturale che funzionale, tra le due ipotesi di sospensione del processo con messa alla prova. 2.1. Per tale ragione, in data 12/10/2016, B.A.P. aveva personalmente formulato un incidente di esecuzione volto ad ottenere il riconoscimento dello scomputo previsto dalla citata disposizione. Tuttavia, con ordinanza in data 6/03/2017, il Tribunale per i minorenni di Milano, pronunciandosi in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato la predetta richiesta. Anche secondo il giudice minorile, infatti, le due ipotesi di sospensione del processo con messa alla prova avrebbero una sostanziale diversità, sia sul piano strutturale che della ratio, con una spiccata vocazione in senso educativo e non afflittivo dell’istituto previsto per il processo minorile. Tale circostanza, secondo il giudice dell’esecuzione, avrebbe impedito l’estensione dell’art. 657-bis cod. pen. al caso in esame, atteso che il principio di sussidiarietà previsto dall’art. 1 del d.P.R. n. 448 del 1988 avrebbe consentito l’estensione al processo minorile delle norme del codice di procedura penale soltanto ove si fosse in presenza di una sostanziale lacuna nel sistema regolativo proprio del rito minorile lacuna nella specie non ravvisabile. Sotto altro, ma connesso, profilo, essendosi in presenza di una disposizione che si sarebbe inserita in uno specifico e autonomo sistema di regole, non sarebbe stato, dunque, possibile configurare alcuna violazione del principio di uguaglianza, essendo il diverso regime giustificato dalle peculiarità del processo minorile e del relativo istituto della messa alla prova. 3. Avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione ha proposto ricorso per cassazione lo stesso B., a mezzo del difensore di fiducia, avv. Luigi Marinelli, deducendo, con un unico articolato motivo di impugnazione, inosservanza o erronea applicazione della legge penale e processuale nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B , C ed E cod. proc. pen Si opina, da parte del ricorrente, che l’art. 1 d.P.R. n. 448 del 1988 consenta la estensione, anche al processo minorile, delle disposizioni del codice di procedura penale previste per i maggiorenni e, sotto altro profilo, che la mancata applicazione della norma de qua sarebbe ingiustificata, creerebbe un assetto sostanzialmente discriminatorio e, dunque, sarebbe incostituzionale per contrasto con il principio di eguaglianza. 4. In data 14/07/2017, il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato in Cancelleria la propria requisitoria scritta, con la quale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. A parere del P.G., l’art. 657-bis cod. proc. pen. sarebbe, infatti, applicabile anche al processo minorile in virtù della menzionata clausola di estensione contemplata dall’art. 1 del d.P.R. n. 448 del 1988, laddove l’opposta soluzione ricostruttiva contrasterebbe con i principi posti dagli artt. 3 e 31 Cost., su cui si baserebbe l’intero diritto penale minorile. Considerato in diritto 1. Ritiene il Collegio che la sollecitata applicazione estensiva dell’657-bis cod. proc. pen. alla messa alla prova per i minorenni, prevista dall’art. 28 d.P.R n. 448 del 1998, non sia, alla luce dei dati testuali e di sistema, praticabile. L’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1998 stabilisce, al comma 1, che il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova disposta a norma del comma 2. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno e, al comma 2, che con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato . L’art. 27 del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 272 recante Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, prevede, al comma 2, che il progetto di intervento elaborato dai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali, sulla base del quale il giudice provvede a norma del citato art. 28, deve prevedere tra l’altro a le modalità di coinvolgimento del minorenne, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita b gli impegni specifici che il minorenne assume c le modalità di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dell’ente locale d le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa. Sul piano contenutistico le prescrizioni possono consistere in prescrizioni formali per le esigenze di controllo sociale prescrizioni di tipo riparatorio prescrizioni di vario contenuto quali il trattamento sanitario, la terapia disintossicante, il trattamento psicologico/psichiatrico prescrizioni aventi un contenuto in positivo, quali ad esempio l’obbligo di frequentare scuole professionali o di svolgere determinate attività lavorative. Ai sensi dell’art. 29 D.P.R. n. 448/88, decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo. Dunque, la valutazione circa l’esito della stessa viene compiuta alla stregua degli effetti che la prova ha prodotto sulla personalità del minore, essendo l’istituto rivolto, secondo una autorevole dottrina, al completamento, al consolidamento della personalità del minore . Ne consegue che la prova possa, quindi, ritenersi fallita nel caso in cui essa non abbia inciso positivamente sulla personalità del minore, quand’anche le sue prescrizioni siano state formalmente rispettate. Ed in caso di esito negativo, il giudice dispone la prosecuzione del procedimento e si pronuncia, nel merito, sui fatti oggetto di imputazione. 2. Quanto, invece, all’istituto della sospensione del processo per messa alla prova dell’imputato maggiorenne, introdotto dalla legge 28/04/2014, n. 67, esso si configura come un procedimento alternativo rispetto al rito ordinario, riconducibile, sul piano sostanziale, alle cause estintive del reato effetto che si produce in caso di esito positivo della prova. Sul piano procedimentale, ai sensi degli artt. 168-bis, comma 1, cod. pen. e art. 464-bis, comma 1, cod. proc. pen., il rito si instaura su esclusiva iniziativa dell’imputato, il quale deve altresì consentire all’esecuzione del programma di trattamento cui viene sottoposto a seguito della sospensione del processo. Nessun consenso deve essere espresso dal pubblico ministero, salvo il caso di domanda di sospensione del procedimento presentata nel corso delle indagini preliminari. Il beneficio può essere chiesto unicamente dagli indagati o dagli imputati di reati puniti con pena detentiva che, sola o congiunta alla pena pecuniaria, non sia superiore nel massimo a quattro anni e di quelli previsti all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen Inoltre, la sospensione è preclusa per i delinquenti e contravventori abituali o professionali e per i delinquenti per tendenza non può essere concessa nuovamente qualora sia stata revocata o qualora la prova non abbia dato esito positivo, e, in ogni caso, non può essere concessa più di una volta. Ai sensi degli artt. 168-bis, commi 2 e 3, cod. pen. e 464-bis, comma 4, cod. proc. pen., la prova consiste in una attività, indefettibile, dal contenuto retributivo, consistente nell’affidamento dell’imputato al servizio sociale, secondo le modalità definite nel programma di trattamento concordato con l’U.E.P.E. e nello svolgimento del lavoro di pubblica utilità nonché, in una attività, soltanto facoltativa, di natura riparativa, diretta all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, alle restituzioni, al risarcimento del danno, ove possibile nonché alla eventuale mediazione con la persona offesa. Nel dettaglio, nel programma di trattamento devono essere indicate, se necessario e possibile , le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale , le prescrizioni comportamentali relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, quali le misure finalizzate alla riparazione in favore della vittima e a vantaggio della collettività, consistenti nel lavoro di pubblica utilità e in attività di volontariato di rilievo sociale. Quanto, in particolare, al lavoro di pubblica utilità, l’art. 168-bis, comma 3, cod. pen. stabilisce che esso consista in una prestazione non retribuita, individuata sulla base della professionalità e delle attitudini lavorative del richiedente, da svolgersi presso lo Stato, gli enti territoriali, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale sanitaria o di volontariato, da svolgersi con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato. Ove non debba pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., il giudice, decidendo con ordinanza, accoglie l’istanza allorquando, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., compia un apprezzamento favorevole in relazione alla gravità del fatto, alla idoneità del programma, alla prognosi positiva in relazione alla futura astensione dal commettere ulteriori reati. In tal caso, il giudice deve indicare la durata della sospensione che, comunque, non può essere superiore a due anni se si procede per un reato per il quale è prevista la pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria e ad un anno per i reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria. Nella fase esecutiva, l’U.E.P.E. deve compiere le periodiche verifiche sull’andamento della prova, su cui deve relazionare il giudice, proponendo eventuali modifiche al programma di trattamento, l’abbreviazione della durata della prova, ovvero la revoca dell’ordinanza ammissiva nel caso in cui ricorra talune delle condotte previste dall’art. 168-quater cod. pen. e, dunque, la grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte il rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità la commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede . Alla fine del periodo di prova, il giudice ne valuta l’esito sulla base della relazione conclusiva dell’U.E.P.E., avuto riguardo al comportamento tenuto dall’imputato e al rispetto delle prescrizioni stabilite. In caso di esito positivo, il giudice dichiara con sentenza che il reato è estinto e, in caso contrario, dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso. In caso di successiva condanna, l’art. 657-bis cod. proc. pen. stabilisce che il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente alla prova comunque eseguita, computando un giorno di reclusione o di arresto, oppure duecentocinquanta Euro di multa o di ammenda, per ogni tre giorni di prova. 3. Alla luce delle evidenziate caratteristiche dei due istituti, deve rilevarsi che la sospensione del processo con messa alla prova per gli imputati minorenni presenta significative differenze, sia sul piano strutturale che funzionale, rispetto al corrispondente istituto previsto per gli adulti. Sotto il primo aspetto, 1 esso non ha limitazioni oggettive e soggettive 2 comporta lo svolgimento di attività di osservazione trattamento e sostegno e l’assoggettamento a disposizioni che prescindono da richieste o dal consenso del minore 3 ha ad oggetto, sul piano contenutistico, prescrizioni variamente modulabili e almeno tendenzialmente connotate da una minore afflittività 4 ha una durata diversa 5 il suo esito è strettamente correlato con la valutazione della personalità dell’imputato e, quindi, può essere negativo anche nel caso in cui vengano rispettate le prescrizioni previste nel progetto. Sotto il profilo funzionale, mentre la presenza, nel caso della messa alla prova per gli adulti, del lavoro di pubblica utilità connota l’istituto in termini prettamente afflittivi, questa caratterizzazione, nel caso dell’istituto minorile, assume un rilievo eventuale e comunque meno pregnante, a favore delle istanze educative che sono proprie del processo minorile. Dalle evidenziate differenze tra i due istituti consegue, come anticipato, ad avviso del Collegio la impossibilità di estendere l’art. 657-bis cod. proc. pen. anche al processo minorile, in particolare per quanto concerne il rigido automatismo previsto dalla norma, la quale, in ragione dei profili afflittivi delle prescrizioni altrettanto rigidamente disciplinate per l’istituto previsto dall’art. 168-bis cod. pen., contempla un meccanismo di fungibilità costruito alla stregua di un criterio matematico tre giorni di messa alla prova corrispondono a un giorno di pena detentiva da detrarre ovvero a 250 Euro di pena pecuniaria , che sembra non esportabile automaticamente in ogni caso di messa alla prova del minorenne. 4. Pur in presenza delle evidenziate differenze tra i due istituti, attinenti sia al piano strutturale sia a quello funzionale, anche l’istituto della messa alla prova per i minorenni può presentare però, in concreto e caso per caso, significativi profili di afflittività. Ciò è evidente nelle situazioni in cui, tra le prescrizioni, sia previsto l’inserimento comunitario obbligatorio con obbligo di permanenza all’interno della struttura, attesa la consistente limitazione della libertà di movimento che esso implica. Ma ad analoga valutazione deve pervenirsi anche nel caso in cui le prescrizioni, lungi dal presentare un contenuto debole , consistente in una mera offerta trattamentale e di sostegno educativo, consistano, come nella fattispecie in esame, in un obbligo di fare o di non fare , atteso che anche in tali ipotesi è comunque configurabile una limitazione della libertà personale, il cui contenuto presenta, ontologicamente, un carattere afflittivo, al di là della finalizzazione verso un obiettivo di natura prettamente educativa. Ne consegue che, in tale evenienza, l’esclusione di qualunque rilevanza del percorso seguito durante la prova, pur segnato da un epilogo sfavorevole, realizza un regime ingiustificatamente differenziato rispetto all’assetto regolativo che caratterizza l’omologo istituto per gli imputati maggiorenni, sì da confliggere con il principio di uguaglianza posto dall’art. 3 Cost E ciò tanto più ove si consideri lo specialissimo statuto, ispirato a una prospettiva di deciso favor, che l’ordinamento penale riconosce, sia sul piano sostanziale che processuale, agli imputati minorenni, a sua volta radicato nella previsione dell’art. 31, secondo comma, Cost. secondo cui la Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo . Un principio, questo, che con specifico riferimento alla Giustizia minorile è stato declinato nel senso che l’intervento giudiziario deve essere funzionale a preservare e consolidare i processi educativi che riguardano il minore, soggetto da tutelare in quanto tale, adattando gli istituti giuridici alle sue peculiari esigenze cfr. Corte cost., sent. n. 222 del 1983, secondo cui l’art. 31, secondo comma, Cost. è alla base del principio secondo il quale il processo minorile deve essere ispirato alla prevalente esigenza educativa del minore sent. n. 109 del 1997, secondo cui la protezione della gioventù ex art. 31 Cost. si attua attraverso la specifica individualizzazione e flessibilità del trattamento che l’evolutività della personalità del minore e la preminenza della funzione rieducativa richiedono . In questo modo, peraltro, si configura un evidente collegamento con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, il quale finalizza l’intervento penale al principio rieducativo, secondo quanto riconosciuto dalla Consulta con la sentenza n. 222 del 1983, la quale ha affermato che la funzione di recupero del minore, imposta dall’interesse superiore alla protezione del medesimo espresso nel secondo comma dell’art. 31 della Costituzione, deve essere perseguita mediante la richiesta di interventi individualizzati da parte di organi giurisdizionali specializzati, attraverso istituti processuali ad hoc e mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale, in armonia con la meta additata al terzo comma dell’art. 27 della Costituzione, nonché dall’art. 14, paragrafo 4, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 19 dicembre 1966 e la cui ratifica ed esecuzione sono state disposte con legge 25 ottobre 1977 n. 881 oltre che dalle Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile dette anche Regole di Pechino , approvate dal VI Congresso dell’ONU nel 1985. In questa prospettiva, la previsione di un regime giuridico chiaramente sfavorevole per il minore, il quale, secondo la tesi accolta dal giudice dell’esecuzione, non potrebbe in alcun modo o misura scomputare dalla pena inflittagli il periodo trascorso in messa alla prova, diversamente da quanto previsto per l’omologo istituto applicabile agli adulti, sembra configurare una violazione dei principi di tutela del minore e della finalità educativa dell’intervento penale posti dagli artt. 31, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., e del principio di eguaglianza, non apparendo il regime, che per il minorenne non prevede alcun computo delle restrizioni eventualmente patite nella pena ancora da espiare, giustificato in rapporto alla rilevanza costituzionale degli interessi in gioco, riconducibili all’ambito della libertà personale, sottoposta a limitazioni di varia intensità e cogenza nel corso della prova. In altri termini, attese le ragioni della già evidenziata impraticabilità di una automatica estensione dell’art. 657-bis cod. proc. pen. alla messa alla prova minorile, il dubbio sulla legittimità costituzionale investe non la mancata applicabilità, sic et simpliciter, della norma in questione al rito minorile, quanto piuttosto l’impossibilità, per il giudice, di tenere in alcun conto, per il minore condannato a seguito di esito negativo della messa alla prova, del periodo trascorso in assoggettamento a tale regime, valutando, all’esito del pur negativo esperimento, le limitazioni della libertà personale alle quali sia stato comunque nelle more sottoposto analogamente, a quanto è ora consentito in caso di revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, ex art. 47, comma 11 già comma 10 , ord. pen. I. n. 354 del 1975 , dopo che Corte cost. n. 343 del 1987, sulla scorta di principi analoghi a quelli affermati già da Corte cost. sentenze nn. 185 del 1985 e 312 del 1985, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale normativa nella parte in cui non consente al Tribunale di sorveglianza di determinare la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento in prova. Il dubbio di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui agli artt. 657-bis cod. proc. pen. e 29 del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui non prevedono che, in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determina la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova, con riferimento agli artt. 3, 31, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. non può ritenersi, per conseguenza, manifestamente infondato. 5. Nella fattispecie concreta, la questione appare, quindi, sicuramente rilevante. Durante i due distinti periodi di messa alla prova ai quali è stato sottoposto, in entrambi i casi dichiarati anticipatamente conclusi con esito negativo, al ricorrente è stato prescritto, tra l’altro, lo svolgimento di attività socialmente utili, la cui consistenza e afflittività, unitamente a quella delle altre attività e prestazioni indicate nei progetti, che stando agli atti risulterebbero almeno in parte realizzati e di cui si è fatto resoconto in sintesi nella parte in fatto , non è stata menomamente valutata dai giudici del merito. L’incidenza della relativa decisione sul presente giudizio è resa manifesta dal fatto che, da un lato, la non valutabilità delle restrizioni connesse al periodo di messa alla prova costituisce proprio l’oggetto del ricorso dall’altro lato, solo la invocata, ma oggi non prevista, possibilità di valutare tali afflizioni consentirebbe un annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di sorveglianza perché proceda ad esame del sostanziale aggravamento del trattamento sanzionatorio subito dal condannato in ragione della sua sottoposizione alla messa alla prova. 6. Alla stregua delle considerazioni che precedono, deve in conclusione ritenersi rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 27 e 31 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 29 d.P.R. n. 448 del 1988 e 657-bis cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che, in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice possa determinare la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova. Va per l’effetto disposta l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, mentre il giudizio in corso deve essere sospeso. A cura della Cancelleria la presente ordinanza sarà notificata ai ricorrenti e alle parti civili, al Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, al Presidente del Consiglio dei Ministri e sarà comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. P.Q.M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 31 e 27 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 29 d.P.R. n. 448 del 1988 e 657-bis c.p.p. nella parte in cui non prevedono che, in caso di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determina la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova. Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al ricorrente, al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.