Convivente in malafede nega di conoscere il destinatario della notifica: valida la relata negativa dell’ufficiale giudiziario

L’imputato ricorre in Cassazione deducendo illegittimità della notifica dell’atto di citazione in giudizio eseguita presso il difensore d’ufficio, e lamentando che l’ufficiale giudiziario erroneamente ha ritenuto impossibile notificare al suo domicilio. La relata negativa dell’ufficiale pubblico era giustificata dalla malafede della convivente che negava di conoscere il destinatario dell’atto. Per i Giudici di legittimità nessun dubbio sulla corretta ritualità della notificazione.

Sul tema la Cassazione con sentenza n. 15801/18, depositata il 10 aprile. Il caso. Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza, confermata nei due gradi di giudizio, con il quale veniva riconosciuto colpevole della ricettazione di assegni bancari di provenienza furtiva. L’imputato deduce in Cassazione violazione dell’art. 161 c.p.p. Domicilio dichiarato, eletto o determinato per le notificazioni lamentando l’illegittima notificazione della citazione in giudizio presso il difensore d’ufficio con la conseguente errata dichiarazione dell’imputato come assente. Nella specie la notifica della citazione in giudizio nei confronti dell’imputato veniva consegnata a mani del difensore dopo la relata negativa dell’ufficiale giudiziario, il quale attestata che l’interessato risultava sconosciuto al domicilio indicato. Malafede del convivente e perfezionamento della notifica. La Suprema Corte ha ritenuto insussistente la violazione di legge dedotta dal ricorrente in quanto dagli atti risulta che l’ufficiale giudiziario aveva ritualmente attestato l’impossibilità di notificare al domicilio dichiarato in precedenza. In particolare l’ufficiale giudiziario dava atto che l’imputato risultava sconosciuto stante le informazioni pervenute da una signora abitante nel domicilio citato, la quale negava qualsiasi rapporto di conoscenza con l’imputato. Tale circostanza, precisa la Cassazione, comportante la relata negativa dell’ufficiale giudiziario, potrebbe integrare una condotta di rilievo penale in ragione della dichiarazione in malafede resa dalla signora ricevente che avrebbe portato in errore un pubblico ufficiale nella redazione del verbale d’accesso che ha natura di atto pubblico . Ciò premesso la Corte ha evidenziato che la doglianza del ricorrente non prendere in considerazione la falsa dichiarazione che ha dato luogo alla relata negativa e al conseguente perfezionamento della notifica a mani del difensore d’ufficio, al contrario, assume irragionevolmente la nullità dell’atto, facendo carico all’organo notificante della malafede del soggetto convivente che con il suo mendace comportamento ha precluso la consegna dell’atto al domicilio dichiarato . Al contrario, secondo i Giudici di legittimità, la relata negativa dell’ufficiale giudiziario è valida non potendo dare alcun rilievo al falso ostativo, giacchè costituisce preciso onere del notificando garantire le condizioni per la fruibilità del servizio di notificazioni al domicilio dichiarato, rendendo edotti i conviventi delle possibilità di accesso dell’ufficiale giudiziario e dei relativi fini . Per queste ragioni la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 marzo – 10 aprile 2018, n. 15801 Presidente Gallo– Relatore De Santis Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Catania confermava la decisione del locale Tribunale che aveva riconosciuto il G. colpevole della ricettazione di due assegni bancari di provenienza furtiva, posti all’incasso su un conto corrente aperto presso Banca Montepaschi con il falso nome di G.P. n. a omissis , condannandolo -previo riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648, comma 2, cod.pen., con il vincolo della continuazione alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa con il beneficio della sospensione condizionale. 2. Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato a mezzo del difensore, deducendo 2.1 la violazione dell’art. 161 cod.proc.pen. con riguardo all’illegittima notificazione della citazione a giudizio presso il difensore d’ufficio e conseguente erronea indicazione dell’imputato come assente nonché correlata carenza della motivazione La difesa deduce, riproducendo l’eccezione già sollevata e disattesa dalla Corte d’Appello, la nullità della sentenza di primo grado per essere stata eseguita la notifica della citazione a giudizio nei confronti dell’imputato a norma dell’art. 161, comma 4, cod.proc.pen. a mani del difensore, a seguito della relata negativa dell’ufficiale giudiziario, il quale aveva attestato che il prevenuto risultava sconosciuto al domicilio dichiarato di Via omissis . Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto la ritualità della citazione nonostante risulti in atti che egli aveva ricevuto a mani proprie, al domicilio dichiarato, la notifica dell’avviso ex art. 415bis cod.proc.pen. e successivamente dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado, circostanze che la Corte non ha valutato e in ordine alle quali ha omesso la dovuta motivazione. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. Va preliminarmente ribadito che nel giudizio di cassazione il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento a questioni di diritto, poiché queste, se sono fondate e disattese dal giudice, motivatamente o meno, danno luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge, mentre, se sono infondate, il loro mancato esame non determina alcun vizio di legittimità della pronuncia Sez. 1, n. 16372 del 20/03/2015, P.G. in proc. De Gennaro, Rv. 263326 n. 49237 del 22/09/2016, Emmanuele, Rv. 271451 . 3.1 Quanto alla dedotta violazione di legge deve ritenersene l’insussistenza dal momento che l’Ufficiale Giudiziario ha ritualmente attestato l’impossibilità di notificazione al domicilio dichiarato di omissis , alla data del 25/11/2013, dando atto che l’imputato risultava ivi sconosciuto come da informazioni assunte presso la signora G.P. che vi abita . La difesa non fa cenno della circostanza e detta omissione rende la censura generica, minando l’assunto defensionale di una superficiale ricerca del notificando o addirittura il sospetto di un’infedele relazione. Alla stregua della relata negativa dell’ufficiale giudiziario risulta, al contrario, che la persona rinvenuta nel domicilio declinava qualsiasi rapporto non solo di coabitazione ma anche di mera conoscenza con l’imputato, rendendo di conseguenza impossibile la notificazione. L’infedele dichiarazione resa dalla sedicente G. integra una condotta di rilievo penale in ragione dell’induzione in errore del pubblico ufficiale nella redazione del verbale d’accesso che ha natura di atto pubblico. Questa Corte ha, infatti, precisato che commette il reato di falso ideologico in atto pubblico mediante induzione in errore del pubblico ufficiale colui il quale riferisce o comunque indica all’ufficiale notificante circostanze non vere, in tal modo determinando un’errata relazione di notifica Sez. 2, n. 3993 del 03/12/2009, Melis, Rv. 246426 Sez. 5, 17.04.2002 n. 20120 18.02.04 n. 13992 . 3.2 La doglianza del ricorrente, lungi dal prendere atto della falsa dichiarazione che ha dato luogo alla relata negativa e al conseguente perfezionamento della citazione a mani del difensore, assume irragionevolmente la nullità dell’atto, facendo carico all’organo notificante della malafede del soggetto convivente che con il suo mendace comportamento ha precluso la consegna dell’atto al domicilio dichiarato. Al contrario in siffatto caso, l’attestazione del p.u. circa l’impossibilità di notificazione rende del tutto rituale il ricorso alla procedura ex art. 161, comma 4, cod.proc.pen., non potendo darsi rilievo al falso ostativo giacché costituisce preciso onere del notificando garantire le condizioni per la fruibilità del servizio di notificazioni al domicilio dichiarato, rendendo edotti i conviventi della possibilità di accesso dell’Ufficiale Giudiziario e dei relativi fini. 4. Per altro verso deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di notificazione della citazione dell’imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. pen. e comunque la decadenza dalla possibilità di farla rilevare oltre i termini previsti dall’art. 180 Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, Palumbo, Rv. 229539 Sez. 5, n. 8826 del 10/02/2005, Bozzetti, Rv. 231588 Sez. 2, n. 35345 del 12/05/2010, Rummo, Rv. 248401 . Nel caso in esame non consta una tempestiva eccezione e la notifica della citazione a giudizio effettuata presso lo studio del difensore di ufficio non è stata, comunque, inidonea a determinarne la conoscenza effettiva da parte dell’imputato, considerato che il legale ha svolto con continuità l’ufficio di difensore nel corso del processo, senza nulla eccepire, interponendo appello e successivamente ricorso quale difensore di fiducia del prevenuto Sez. 5, n. 37555 del 06/05/2015, Romano e altri, Rv. 265680 circa il legittimo utilizzo del parametro dell’esercizio effettivo dei diritti di difesa al fine di riscontrare il rispetto dei limiti di deducibilità della nullità o la sussistenza di una causa di sanatoria della stessa rilevabile da circostanze obiettive di fatto desumibili dagli atti del processo, in motivazione Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017, Tuppi, Rv. 271771 . 5. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria precisata in dispositivo in considerazione dei profili di colpa ravvisabili nella sua determinazione. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.