Più spazio alla tutela della buona fede della banca creditrice contro la confisca

Al fine della verifica della sussistenza della buona fede, rilevante ai sensi del codice antimafia, affinché il terzo creditore possa far valere il proprio diritto in presenza di confisca del patrimonio del debitore, non può farsi carico all’istituto di credito, che non dispone delle banche dati della P.G., di effettuare penetranti indagini quanto alle pendenze penali del soggetto da finanziare, né il semplice dato di una condanna per qualunque reato ovvero la risalente applicazione di una misura di prevenzione può essere ostativa alla concessione di un credito, venendo altrimenti minata la funzione economico sociale delle banche.

La Cassazione con la sentenza n. 15706/2018, depositata il 9 aprile, chiarisce come la ratio della c.d. normativa antimafia” sia esclusivamente quella di evitare un uso distorto del credito bancario, piegato a fini elusivi della criminalità. La rilevanza della buona fede. Come noto il codice antimafia, vigente all’epoca dei fatti oggetto della pronuncia in commento, faceva salvi, in caso di confisca di prevenzione, i diritti dei terzi laddove risultassero da atto avente data certa anteriore al sequestro, ad una serie di condizioni previste ex lege , fra le quali quella che il credito non fosse strumentale all’attività illecita o quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore non dimostrasse di aver ignorato in buona fede il predetto nesso di strumentalità. Precisava altresì la legge, che ai fini della valutazione della sussistenza della buona fede deve tenersi conto della condizione personale delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali fra le parti medesime, etc etc. Secondo consolidata giurisprudenza, l’onore di dimostrare non solo la sussistenza del proprio diritto di credito, ma anche la buona fede graverebbe proprio sul medesimo terzo creditore, stante il carattere pubblicistico della norma che prevede la confisca di prevenzione. L’inversione dell’onore della prova in tema di buona fede sarebbe dunque uno strumento necessario ed indispensabile al fine di combattere determinati fenomeni criminali, anche di natura economica. I criteri per l’individuazione della buona fede. Una corposa e ormai consolidata elaborazione giurisprudenziale ha individuato i parametri secondo i quali in tema di misure di prevenzione possa ritenersi provata la buona fede del terzo creditore del soggetto il cui patrimonio è stato colpito dal provvedimento di confisca. Secondo detta impostazione il terzo creditore, che vanti un diritto di garanzia reale – sorto anteriormente - su un bene colpito da provvedimento di confisca potrà dirsi in buona fede, soltanto laddove risulti dimostrata i l’estraneità di costui a qualunque collusione o compartecipazione alla attività criminosa, ii una inconsapevolezza del medesimo credibile” in ordine alla attività illecite svolte dal debitore iii un errore scusabile sulla situazione apparente del debitore. Il punto nodale si rinviene non in ordine dunque alla elaborazione, ormai pacifica di detti principi, bensì nella concreta applicazione di detti parametri, che paiono oggi tanto consolidati quanto rispondenti a una applicazione di buon senso e conformi allo spirito della legge. L’applicazione da parte dei giudici di merito. Il Giudice di merito, nel caso oggetto della pronuncia degli Ermellini in commento, aveva fatto applicazione di detti principi evidenziando come l’istituto di credito avesse concesso il finanziamento senza rispettare le norme e le prassi bancarie in tema di antiriciclaggio, senza effettuare una rigorosa istruttoria e compiere un dettagliato accertamento sulla affidabilità del cliente. Sulla base di tali rilievi la condotta dell’istituto di credito non veniva giudicata abbastanza diligente sì da integrare il requisito della buona fede previsto dal codice antimafia e conseguente la domanda di ammissione al passivo del procedimento di esecuzione era stata rigettata. Avverso detto provvedimento di rigetto propone ricorso per Cassazione l’istituto di credito. Il capovolgimento di fronte degli Ermellini. Si duole, nei propri motivi di ricorso, la banca proprio della erronea interpretazione fornita dal Giudice di prime cure del requisito della incolpevole ignoranza” prescritto dall’art. 52, d.lgs. n. 152/2011, evidenziando come l’onere di acquisire il certificato penale del potenziale cliente non sia previsto né da alcuna normativa vigente né dalle Istruzioni della Banca d’Italia, né invero da alcuna virtuosa prassi bancaria. Sul punto è dunque chiamata a pronunciarsi la Cassazione che nel caso in esame accoglie una interpretazione opposta rispetto a quella fatta propria dal tribunale di merito. I giudici della Suprema Corte osservano, infatti, che affinché il terzo creditore possa far valere il proprio diritto in presenza di confisca del patrimonio del debitore, non può farsi carico all’istituto di credito, che non dispone delle banche dati della P.G., di effettuare penetranti indagini quanto alle pendenze penali del soggetto da finanziare, né il semplice dato di una condanna per qualunque reato ovvero la risalente applicazione di una misura di prevenzione può essere ostativa alla concessione di un credito, venendo altrimenti minata la funzione economico sociale delle banche. A fronte di tale rilevo, osserva la Seconda Sezione penale, la motivazione del Giudice di merito appare contraddittoria e carente e le affermazioni sulla violazione della normativa antiriciclaggio e delle prassi bancarie dell’istituto di credito assolutamente generiche, autoreferenziali e prive di ogni riscontro nei fatti. La pronuncia in esame viene pertanto cassata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 febbraio – 9 aprile 2018, n. 15706 Presidente Cammino – Relatore Di Pisa Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 16/11/2016 il Tribunale di Reggio Calabria rigettava il ricorso ex art. 59 comma 6 D.Lgs. n. 159/2011 proposto da Unicredit Banca S.p.A. confermando il provvedimento del G.D. il quale non aveva ammesso allo stato passivo del procedimento a carico di Q.F.P. , in confisca definitiva, il credito vantato da detto istituto di credito. 2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per Cassazione Unicredit Banca S.p.A., a mezzo procuratore speciale, formulando due motivi a. violazione delle disposizioni di cui al c.d. Codice Antimafia. L’istituto di credito assume che il tribunale aveva errato nell’escludere che l’istituto di credito non possedeva il requisito della incolpevole ignoranza prescritto dall’art. 52 D.Lgs. n. 159/2011 in quanto l’onere di acquisire il certificato penale del potenziale cliente non è previsto né dalla normativa vigente né dalle Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia e, per altro verso, non aveva fatto corretta applicazione dei principi di diritto fissati dalla Cassazione nella richiamata pronunzia n. 2334/2014 ove era stato evidenziato che deve ritenersi decisiva la buona fede del terzo derivante da errore scusabile e come tale immune da colpa, non potendosi escludere la buona fede in presenza di un onere non previsto per legge. Deduce, altresì, che nella fattispecie in esame, come si evinceva chiaramente dalla documentazione versata in atti, la banca aveva vagliato adeguatamente la situazione economico - finanziaria della ditta OMISSIS di Q.F. esaminando pure la documentazione reddituale della ditta beneficiaria di affidamenti non particolarmente rilevanti pari ad Euro 144.500,00 di cui Euro 40.000,00 per circolante ed Euro 104.500,00 per acquisto di beni strumentali e che la presenza di precedenti assai risalenti non poteva precludere la concessione del credito dovendosi, altrimenti, ritenere che in ipotesi di soggetto con precedenti penali di qualunque genere il creditore dovrebbe essere considerato automaticamente in mala fede. Rileva, ancora, che ai fini della prova della propria buona fede doveva ritenersi decisivo il dato che gli amministratori giudiziari una volta insediatisi avevano proseguito l’attività commerciale della suindicata ditta b. violazione di legge in relazione agli artt. 41 e 56 del c.d. Codice Antimafia. Assume che dal momento che i rapporti bancari erano regolarmente proseguiti fra la banca e l’amministrazione giudiziaria la banca non era tenuta a restituire alcuna somma, appariva erronea l’affermazione relativa alla sussistenza di un controcredito in favore della custodia/amministrazione Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. Va premesso che la disposizione invocata art. 52 D. Lgs. 159/2011 , nel testo ratione temporis vigente, titolata diritti dei terzi , al primo comma fissa il principio generale che La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le seguenti condizioni . L’ammissione è, in particolare, subordinata, unitamente all’accertamento della sussistenza e dell’ammontare del credito, alla ricorrenza della condizione di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52, comma 1, lett. b , vale a dire che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità. Ed, ai sensi del terzo comma del medesimo articolo, nella valutazione della buona fede, il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi. Va rilevato che con tale ultima disposizione il legislatore fissa dei parametri di giudizio di cui il giudice deve tener conto al momento della valutazione probatoria tali parametri sono obbligatori, ma non sono né esclusivi, né vincolanti. Le Sezioni Unite civili hanno, invero, operato una stringente interpretazione del comma 3 citato, cui si è conformata la giurisprudenza penale della Suprema Corte, chiarendo che In altri termini, il giudice deve obbligatoriamente tener conto di tali parametri, ma può considerare altri parametri non menzionati dal legislatore, e può anche motivatamente disattendere i parametri indicati dal legislatore. In sostanza, il legislatore impone al giudice un parziale protocollo logico nel ragionamento probatorio. Va poi aggiunto che le nuove norme, e quelle richiamate, non contengono previsioni espresse in termini di prova vale a dire, a chi spetti provare la buona fede e l’affidamento incolpevole. Deve ritenersi che l’elaborazione giurisprudenziale negli anni maturata, soprattutto nell’ambito penale, e la veste sostanziale di attore nel procedimento giurisdizionale di ammissione, che assume il creditore, convergano nell’addossare a quest’ultimo la prova positiva delle condizioni per l’ammissione al passivo del suo credito. Tale conclusione è conforme al canone ermeneutico dell’intenzione del legislatore art. 12 preleggi . vedi Sez. U, Sentenza n. 10532 del 07/05/2013 in parte motiva . 2. Occorre sottolineare che il legislatore del Codice Antimafia è intervenuto per regolare i diritti dei terzi nel procedimento di prevenzione, codificando, con la citata norma l’applicazione del principio di buona fede, affermato nella giurisprudenza di legittimità e della Corte Costituzionale Corte Costituzionale, sentenza n. 487/1995 che l’ha qualificata come la base giustificativa della tutela del terzo di fronte al provvedimento autoritativo di confisca adottato dal giudice della prevenzione a norma della legislazione antimafia . L’accertamento della buona fede da sempre è stato ricollegato alla necessità di evitare che attraverso strumenti quali titoli di comodo ovvero contratti simulati le stesse misure potessero facilmente essere eluse. La giurisprudenza ha, pero, sovvertito il principio civilistico della buona fede, facendo ricadere sul terzo l’onere di provare non solo il diritto, ma anche la sua buona fede innanzi al giudice penale. Questa regola trova il suo fondamento nel carattere pubblicistico della misura di prevenzione e nella relativa esigenza di giustificare un’inversione dell’onere probatorio della buona fede, come strumento necessario per combattere particolari forme di criminalità, anche di natura economica. Si è, quindi, esteso l’ambito della buona fede soggettiva sino ad arrivare a un concetto di buona fede oggettiva, nel senso di qualificare l’estraneità del terzo come mancanza di ogni collegamento, diretto o indiretto, con la consumazione del fatto-reato, ossia nell’assenza di ogni contribuzione di partecipazione o di concorso, ancorché non punibile e, altre volte, nel senso che non può considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi o utilità. Ne discende che il giudice deve obbligatoriamente tener conto dei parametri suindicati normativamente stabiliti ma può considerare, al fine di escludere la buona fede, altri parametri non menzionati dal legislatore, specie in settori assai delicati quali quello della gestione del credito bancario. In questi casi si è ritenuto che la verifica del rispetto delle norme e prassi bancarie in materia, oltre che al disposto del D. Lgs. n. 231/2007 e della Legge n. 197/1991 in materia di antiriciclaggio potrebbe comportare l’esclusione del riconoscimento del credito nell’ambito del procedimento previsto dalla misura di prevenzione. In giurisprudenza si è, ad esempio, affermato che in materia di misure di prevenzione patrimoniale è configurabile la buona fede del terzo creditore che vanta sul bene un diritto di garanzia reale sorto antecedentemente al provvedimento di confisca, soltanto nel caso in cui, avendo riguardo alla particolare attività svolta dal medesimo, risulti dimostrata a l’estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all’attività criminosa b l’inconsapevolezza credibile in ordine alle attività svolte dal prevenuto c un errore scusabile sulla situazione apparente del prevenuto. Nella fattispecie, la Corte ha escluso la buona fede dell’istituto di credito che, trascurando negligentemente gli obblighi di verifica imposti dalle politiche di prestito e di controllo dei relativi rischi, aveva concesso un mutuo ipotecario di importo manifestamente eccessivo rispetto all’entità della base reddituale del beneficiario . vedi Sez. 6, n. 50018 del 17/09/2015 - dep. 18/12/2015, Intesa Sanpaolo S.p.a., Rv. 26593001 . 3. Muovendo da tali premesse ritiene il Collegio che la motivazione del provvedimento impugnato risulta assai carente e per certi versi illogica quanto alla sussistenza della buona fede che è stata esclusa sulla base di considerazioni generiche ed incongrue, tali, quindi, da integrare il vizio motivazionale denunziato. 3.1. Il Tribunale, difatti, nel rilevare che non sussistevano i presupposti per accogliere il ricorso di Unicredit Banca S.p.A. ha evidenziato È evidente dalla lettura dell’istruttoria effettuata dall’istituto bancario ai fini della concessione del mutuo che non stato compiuto il benché minimo vaglio sulla affidabilità dei contraente non tenendo conto, tuttavia, delle concrete risultanze della allegata relazione istruttoria della banca ove sono state stati evidenziati la circostanza che l’attività economica finanziata era florida e ben avviata la regolarità dei rapporti bancari i buoni dati economico-patrimoniali dell’azienda le buone consistenze patrimoniali dei soggetti finanziati le garanzie offerte. Ed, ancora, si appalesa del tutto apodittica ed indimostrata l’affermazione del tribunale secondo cui dagli elementi acquisiti emergeva che l’istituto di credito ha concesso il mutuo e l’apertura di credito senza rispettare le norme e le prassi bancarie in tema di antiriciclaggio, senza effettuare une rigorosa attività istruttoria, senza inizialmente produrre in giudizio l’istruttoria integrale, senza accertare la affidabilità del cliente non avendo in alcun modo il Tribunale chiarito quali specifiche norme e quali prassi bancarie in tema di antiriciclaggio sarebbero state violate e sotto quale profilo non sarebbe stata verificata l’affidabilità del cliente. Per altro verso va osservato che non può certo farsi carico all’istituto di credito, che non dispone delle banche dati proprie della autorità giudiziaria e della P.G., di effettuare penetranti indagini quanto alle pendenze penali a carico del soggetto potenziale beneficiario del finanziamento, non potendo, peraltro, il semplice dato di una condanna penale per un qualunque reato ovvero della assai risalente applicazione di una misura di prevenzione essere, di per sé, ostativo alla concessione del credito, venendo altrimenti minata la funzione economico-sociale delle banche di finanziare le attività che operano nei settori economici più disparati, essendo la ratio della normativa, come detto, esclusivamente quella di evitare un uso distorto del credito bancario, piegato ai fini elusivi della criminalità. 4. Mancando una logica, non contraddittoria e coerente motivazione che attesti l’esame degli indici obiettivi rivelatori della buona fede dell’Istituto di credito suindicato, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria perché proceda a nuovo esame nell’osservanza degli indicati principi. P.Q.M. annulla il decreto impugnato con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame.