Infermità psichica del condannato: dopo il superamento degli OPG alcune precisazioni sulle alternative

Il Tribunale di Sorveglianza rigettava l’istanza di detenzione domiciliare promossa dal condannato in stato di infermità mentale, ritenendo doversi percorrere la strada della tutela della salute del detenuto attraverso i circuiti interni al sistema penitenziario. Al contrario l’interessato sostiene che deve essergli concessa la detenzione domiciliare speciale a fini terapeutici. La Cassazione fa il punto sulla questione.

Sul tema la Suprema Corte con sentenza n. 15331/18, depositata il 6 aprile. Il fatto. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava l’istanza volta ad ottenere il differimento della pena nella forma della detenzione domiciliare richiesta dal condannato per grave infermità. Secondo il Giudice di merito il quadro patologico di cui è portatore il condannato ha natura psichiatrica e, per questo motivo, non poteva applicarsi la previsione di cui all’art. 147 c.p. Rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena in quanto detta norma prende in esame la condizione di infermità solo fisica. Inoltre il Tribunale ha evidenziato che, vista la riforma di superamento degli OPG, le esigenze terapeutiche dell’interessato andrebbero soddisfatte attraverso l’assegnazione ad una delle articolazioni detentive interne per la tutela della salute mentale , sollecitando l’adozione di un provvedimento amministrativo in tal senso. Contro la decisione di merito ha proposto ricorso per cassazione il condannato deducendo erronea applicazione delle disciplina regolatrice e vizio di motivazione. Secondo il ricorrente il Tribunale di Sorveglianza erroneamente non prende in considerazione la possibilità di applicare la detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 47- ter , comma 1- ter, ord. pen. Detenzione domiciliare . Il superamento degli OPG e la valutazione delle misure alternative. Nel risolvere la controversia oggetto di ricorso il Supremo Collegio ha fatto una premessa in merito alle conseguenze della patologia psichica c.d. sopravvenuta” in relazione al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. In particolare la Corte ha osservato che la riforma del trattamento della patologia psichica incidente sulla responsabilità penale ha ormai portato alla definita sostituzione degli OPG con le REMS strutture residenziali ad esclusiva gestione sanitaria . Dette strutture sono utilizzabili per finalità espressamente previste dalla legge e ciò determina, correttamente con quanto disposto dal Tribunale, inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 148 c.p. Infermità psichica sopravvenuta al condannato . Il superamento degli OPG, secondo la Corte, comporta la necessità di sottoporre un attento scrutinio alle misure alternative alla detenzione chiedendosi se l’istituzione in via amministrativa e di auto-organizzazione della Sezioni interne al circuito penitenziario per la tutela della salute mentale realizzino o meno una risposta compatibile con i valori costituzionali e convenzionali o se la strada da percorrere sia quella dell’ampliamento di operatività della detenzione domiciliare speciale a fini essenzialmente terapeutici . La detenzione del soggetto malato. Dopo aver ripercorso le disposizioni costituzionali e convenzionali sul punto la Corte di Cassazione ha precisato che in caso di seria condizione patologica non può trasferirsi sul detenuto il disagio imputabile all’assenza di luoghi idonei alla realizzazione dei trattamenti sanitari necessari . In ragione di ciò, secondo la Corte, il Tribunale di Sorveglianza, nel caso di specie, ha adottato una decisione non congruamente motivava nella scelta di mantenere la condizione detentiva con il contestuale affidamento del soggetto ad un trattamento sanitario ipotetico. Infatti nella sentenza impugnata non risulta la dovuta verifica in relazione all’ipotesi di interazione tra patologia psichica e fisica tale da rendere l’espiazione della pena contraria al senso di umanità, aspetto che conduce pacificamente all’applicabilità del differimento . Infine in subordine, osserva la Cassazione, il Tribunale avrebbe dovuto anche verificare, preliminarmente rispetto alla decisione, l’effettiva accessibilità ed adeguatezza dei trattamenti praticabili nella Sezione interna per la tutela della salute mentale. Per questi motivi il Supremo Collegio ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 ottobre 2017 – 6 aprile 2018, numero 15531 Presidente Carcano – Relatore Magi In fatto e in diritto 1. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma con ordinanza emessa in data 25 gennaio 2017 ha respinto l’istanza proposta da A.A. , tesa ad ottenere il differimento della pena, anche nella forma della detenzione domiciliare, per grave infermità. Premesso che l’istante risulta ristretto per fatti di rilevante gravità tra cui il delitto di associazione mafiosa, ostativo alla detenzione domiciliare ordinaria con residuo pena superiore a quattro anni, il Tribunale osserva che il quadro patologico di cui è portatore l’A. ha essenzialmente natura psichiatrica. Risulta diagnosticata inizialmente una complessiva difficoltà di adattamento al regime detentivo con insorgenza di insonnia e stati d’ansia, anche somatizzata. Si è inoltre registrato un episodio autolesionistico tentativo di suicidio in data 1 febbraio 2016. Successivamente, risulta aver realizzato un discreto compenso attraverso la terapia farmacologica, fermo restando che l’ultima visita psichiatrica evidenzia una grave depressione maggiore ricorrente in paziente con screzio psicotico in borderline ex tossicodipendente con indicazione di necessario programma riabilitativo in un reparto di tipo psichiatrico. 2. Ciò posto, il Tribunale osserva che la previsione di legge di cui all’art. 147 cod.penumero non risulta applicabile, in quanto trattasi di normativa che prende in esame la condizione di infermità fisica e non psichica. Né risulta praticabile la strada art. 148 cod.penumero del ricovero presso un ospedale psichiatrico giudiziario, data la sopravvenuta disciplina legislativa che ha determinato la chiusura di tali strutture con affidamento parziale dei compiti, loro spettanti, alle REMS. Il Tribunale evidenzia, pertanto, che le esigenze terapeutiche vanno soddisfatte attraverso l’assegnazione dell’A. ad una delle articolazioni detentive interne - che risultano presenti in 28 istituti - per la tutela della salute mentale, ed in tal senso sollecita l’adozione di siffatto provvedimento amministrativo da parte del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - A.A. , deducendo erronea applicazione della disciplina regolatrice e vizio di motivazione. 2.1 Secondo la difesa la condizione in cui versa l’A. non risulta compatibile con la protrazione dello stato detentivo, in virtù di quanto attestato nel diario clinico e nei più recenti referti del medico psichiatra. La insorgenza di patologia psichica è, peraltro, antecedente alla carcerazione, posto che già durante la sottoposizione al regime di arresti domiciliari, nel 2014, A. era seguito dal presidio sanitario territoriale della ASL con programma terapeutico bisettimanale. Da precedenti verifiche è inoltre emersa una componente fisica, essendo affetto da diabete NID. Si ritiene, in particolare, contraddittoria la motivazione dell’ordinanza, atteso che da un lato si prende atto della gravità della patologia con episodi autolesionistici e dall’altro si mantiene la detenzione con affidamento della terapia a strutture del cui concreto funzionamento nulla è dato conoscere. Si ritiene, altresì, ingiustamente non esplorata dal Tribunale la possibilità di applicazione della detenzione domiciliare speciale” di cui all’art. 47 ter co.1 ter applicabile anche in riferimento ad un residuo pena maggiore di anni quattro e non soggetta alle preclusioni di cui all’art. 4bis ord.penumero . Tale disposizione avrebbe consentito di contemperare le esigenze special preventive con il necessario trattamento terapeutico, in assenza del quale la protrazione della detenzione assume profili di contrarietà al senso di umanità, finendo con il porsi in contrasto con il generale divieto di trattamenti inumani o degradanti. 3. Il ricorso è fondato, per i motivi e con le precisazioni che seguono. 3.1 Vanno poste in evidenza alcune premesse, tese ad identificare il complesso quadro normativo venutosi a determinare - in tema di conseguenze della patologia psichica cd. sopravvenuta - in virtù del ‘superamentò degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari a partire dal d.l. numero 211 del 22.12.2011, art. 3ter, con le variazioni di cui al d.l. numero 52 del 31.3.2014 conv. in legge numero 81 del 30 maggio 2014 e vanno, al contempo, ribadite alcune affermazioni in diritto che il Collegio ritiene imprescindibili per l’esame del caso. 3.2 La riforma del trattamento della patologia psichica incidente” sulla penale responsabilità, e tale da escluderla, con sostituzione - in sede applicativa di misura di sicurezza personale - degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari con le strutture residenziali ad esclusiva gestione sanitaria le REMS è ormai compiuta in via definitiva. Nel febbraio del 2017 risulta raggiunto l’obiettivo della dismissione” degli OPG e dalla Seconda Relazione semestrale del Commissario unico per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, onumero Franco Corleone, si apprende che circa 250 persone sottoposte a misura di sicurezza sono transitate nelle REMS dagli OPG. Le presenze, al febbraio 2017, nelle REMS si attestano intorno alle 600 unità. 3.3 Le strutture residenziali di cui sopra risultano destinate esclusivamente alla esecuzione delle misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario art. 222 cod.penumero o assegnazione a casa di cura e custodia art. 219 cod.penumero il che esclude un utilizzo delle medesime per finalità diverse da quelle previste dalla legge. Ciò determina la inapplicabilità della disposizione - pur formalmente vigente - di cui all’art. 148 cod.penumero , regolatrice della ipotesi della infermità psichica per quanto qui rileva sopravvenuta al fatto. Come ricordato nel provvedimento impugnato dal Tribunale di Sorveglianza di Roma, il processo di superamento degli OPG è stato accompagnato dalla realizzazione, all’interno degli Istituti Penitenziari ordinari, di apposite Sezioni denominate Articolazioni per la tutela della Salute Mentale , che - previste dall’Accordo del 13 ottobre 2011, sancito in Conferenza Unificata in attuazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° ottobre 2008 - sono dedicate all’accoglienza dei detenuti appartenenti a specifiche categorie giuridiche in precedenza ospitati negli OPG per ricevere le necessarie cure ed assistenza psichiatriche. Risultano attivate, da dati del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, 38 Sezioni, per una capienza complessiva di circa 500 posti letto. Ora, se da un lato l’esistenza di tali Sezioni appare il frutto di una scelta di traslazione” di offerta terapeutica dagli OPG al circuito sanitario in ambito penitenziario, è pur vero che il quadro attuale spezza una sorta di simmetria” prima esistente e, per certi versi, realizza un trattamento sensibilmente differenziato tra il soggetto portatore di patologia psichica incidente” sulla capacità di intendere o di volere al momento del fatto che viene oggi collocato in struttura residenziale a prevalente vocazione trattamentale di tipo sanitario e il soggetto portatore di grave patologia psichica sopravvenuta durante l’esecuzione, che - non potendo essere accolto nella struttura esterna di nuovo conio, né collocato in quella non più esistente - resta in stato detentivo, affidato al reparto sanitario interno al luogo di detenzione. Al di là della complessiva ragionevolezza - o meno - di tale differenziazione, va infatti ricordato che la disposizione di cui all’art. 148, come risultante a seguito della sentenza numero 146/1975 della Corte Costituzionale, rappresenta va una forma differenziata di esecuzione della pena, nel senso che, la condizione di infermità psichica del soggetto recluso, tale da impedire l’esecuzione della pena non dava luogo a mero differimento o sospensione della pena medesima quanto ad un mutamento di forma, nel senso che il periodo di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o di detenzione domiciliare in luogo di cura andavano computati nella esecuzione in corso si veda, sul tema, Sez. I numero 26806 del 27.5.2008, rv 240864 . 3.4 L’abolizione di tale forma trattamentale per i casi di infermità psichica sopravvenuta pur con tutti i limiti operativi e di funzionamento che hanno portato il legislatore al giusto superamento” degli OPG - determina la necessità, ad avviso del Collegio, di sottoporre ad attento scrutinio l’intero micro-sistema delle misure alternative alla detenzione, sino ad oggi in larga misura calibrato su una radicale distinzione patologia fisica / patologia psichica i cui margini di scientificità appaiono peraltro sempre più appannati, data frequente constatazione di incidenze reciproche, nel complesso insieme” rappresentato dall’organismo umano, tra l’una e l’altra sfera si vedano gli studi ormai avanzati sul fenomeno della comorbosità fisica e mentale, specie negli USA, nel cui ambito si è accertata l’esistenza di un rete complessa di interazioni sì da porsi come semplificazione a fini esclusivamente pratici e punitivi, scarsamente compatibile con i generali principi costituzionali art. 32 di tutela della salute , di finalità rieducativa della pena e correlato divieto di trattamenti contrari al senso di umanità art. 27 co.3 Cost. , di tutela dei diritti inviolabili della persona umana art. 2 Cost. . La sola disposizione dettata dal legislatore per la detenzione domiciliare ordinaria all’art. 47 ter comma 1 lett. c - nel caso in esame pacificamente non applicabile - appare prescindere da tale catalogazione, facendo riferimento generico a condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presidi sanitari territoriali, ferma restando la ritrosia giurisprudenziale a farvi rientrare l’ipotesi di stato morboso esclusivamente alimentato da disfunzioni psichiche. In particolare, se lo scrutinio delle disposizioni vigenti porta a mantenere la distinzione fenomenica, con esclusione di applicabilità per la condizione di mera patologia psichica degli istituti del differimento obbligatorio art. 146 cod.penumero del differimento facoltativo art. 147 cod.penumero e, lì dove la pena residua sia superiore a 4 anni o il reato rientri nella previsione ostativa di cui all’art. 4 bis come nel caso in esame della detenzione domiciliare speciale” di cui all’art. 47 ter co. 1 ter posto che la norma rinvia alle sole ipotesi di cui agli articoli 146 e 147 del codice penale , è pur vero che tale quadro - ed in particolare la disposizione da ultimo citata dell’art. 47 ter co.1 ter, - è venuto a radicarsi e modellarsi in un contesto storico che assorbiva l’ipotesi della patologia psichica sopravvenuta nel contenitore, ormai vuoto, dell’art. 148 cod.penumero . Gli arresti di questa Corte di Cassazione più significativi, sul tema, hanno sovente indicato la disposizione di cui all’art. 148 cod.penumero come la risposta” del sistema alla insorgenza di patologia psichica non escludente la imputabilità , contestualmente attestando la non applicabilità dei presidi di cui agli articoli 146 e 147 cod.penumero si veda, di recente, Sez. I numero 37615 del 28.1.2015, Pileri, rv 264876, nonché tra i precedenti arresti Sez. I numero 11233 del 5.12.2000 . Venuta meno l’applicabilità della citata disposizione art. 148 , è legittimo chiedersi - lì dove la condizione patologica, per la sua consistenza e gravità, si ponga come fattore teso a compromettere il fondamento effettuale della pena, a causa della incapacità del destinatario di comprenderne la finalità e di partecipare al percorso rieducativo, sì da sforare potenzialmente nel trattamento degradante - se l’istituzione in via amministrativa e di auto-organizzazione delle Sezioni interne al circuito penitenziario per la tutela della salute mentale realizzino o meno una risposta compatibile con i valori costituzionali e convenzionali derivanti dall’adesione dell’Italia alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o se la strada da percorrere sia quella dell’ampliamento di operatività della detenzione domiciliare speciale” a fini essenzialmente terapeutici già svolti, in condizioni di non ostatività del titolo di reato in espiazione e di pena residua non inferiore a quattro anni dall’art. 47 ter co.1 lettera c, norma che - come si è detto - non realizza distinzione alcuna sulla matrice della particolare gravità delle condizioni di salute . 3.5 Va, sul punto, evidenziato che la protrazione della detenzione del soggetto portatore di seria patologia psichica, pur in struttura separata e, nelle intenzioni, destinata a realizzare un trattamento sanitario, in tanto risulta compatibile con i principi fondamentali in quanto sia assicurata l’effettività del trattamento sanitario e non contrasti con il generale dovere di evitare trattamenti inumani o degradanti, dovere non solo derivante dai contenuti dell’art. 3 Conv. Eur., ma espressamente elevato a linea-guida dei trattamento penitenziario dal legislatore inteno, attraverso la previsione del sistema di tutela dei diritti delle persone detenute realizzato tra il 2013 e il 2014 v. artt. 35 bis, 35 ter e 69 ord.penumero . Va ribadito, pertanto, come la detenzione carceraria, in qualunque forma si realizzi, ha connotati costituzionali molto precisi e stringenti. La finalità primaria della pena - prevista in Costituzione - resta quella rieducativa ed in tale ambito vi è espresso divieto di infliggere al condannato trattamenti contrari al senso di umanità art. 27 co.3 Cost. . Va inoltre ricordato che tale divieto è previsto e rafforzato da strumenti giuridici sovranazionali, quali la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ratificata e resa esecutiva con legge numero 848 del 4.8.1955 e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea la legge numero 130 del 2008 ha ratificato e dato esecuzione al Trattato di Lisbona del 13.12.2007 che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea e alcuni atti connessi e con successiva comunicazione del Ministero degli Esteri del 20 gennaio 2010 si è dato avviso della entrata in vigore del suddetto Trattato di Lisbona, in data 1.12.2009, avendo depositato l’ultimo stato firmatario il proprio strumento di ratifica da ciò è derivata l’adozione in ambito UE - ai sensi dell’art. 6 TUE - della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7.12.2000, posto che secondo tale disposizione l’Unione riconosce i diritti, le libertà e í principi sanciti in tale Carta, che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati . Non appare dunque possibile, in sede di esame dell’istanza da parte del Tribunale di Sorveglianza, prescindere dalle ricadute sia dell’art. 3 Conv. Eur., secondo cui nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti che dell’art. 4 della cd. Carta di Nizza, formulato in identico modo, norme che forniscono ulteriore protezione al diritto al trattamento non contrario” al senso di umanità, in piena assonanza con la disposizione di cui all’art. 27 Cost Peraltro, nella giurisprudenza della Corte Edu il divieto di cui all’art. 3 configura un obbligo positivo per lo Stato e non trova forma alcuna di bilanciamento in esigenze antagoniste. 3.6 In tale ambito, ricorrente è infatti l’affermazione v. decisione Labita contro Italia del 2000 per cui anche nelle circostanze più difficili, quali la lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato, la Convenzione vieta in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti disumani o degradanti. L’articolo 3 non prevede restrizioni, in contrasto con la maggior parte delle clausole normative della Convenzione e dei Protocolli nnumero 1 e 4, e secondo l’articolo 15 par. 2 non ammette alcuna deroga, anche in caso di pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione sentenze Selmouni c/ Francia GC , numero 25803/94, par. 95, CEDU 1999-V Assenov e altri c/ Bulgaria del 28 ottobre 1998, par. 93 . Il divieto della tortura o delle pene o trattamenti disumani o degradanti è assoluto, quali che siano i comportamenti della vittima sentenza Chahal c/ Regno Unito del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, p. 1855, par. 79 . La natura del reato ascritto al ricorrente non è pertanto pertinente per quanto riguarda l’esame sulla base dell’articolo 3 . . Dunque, lì dove la protrazione del trattamento detentivo, per la particolare gravità della patologia riscontrata, per la inadeguatezza delle cure prestate, per la assenza delle condizioni materiali idonee, risulti contraria al senso di umanità e rischi di dar luogo ad un trattamento degradante, è preciso dovere della autorità giurisdizionale provvedere alla interruzione della carcerazione, mediante l’applicazione delle norme che - in attuazione dell’art. 27 co. 3 cost. - prevedono tale eventualità. Non può, pertanto, in presenza di serietà di una qualsiasi condizione patologica, trasferirsi sul detenuto - sollecitando trattamenti individualizzati di cui non vi sia preventiva assicurazione e verifica della obiettiva adeguatezza - il disagio imputabile all’assenza di luoghi idonei alla realizzazione dei trattamenti sanitari necessari, posto che la esecuzione della pena inframuraria è recessiva rispetto all’obbligo dello Stato di garantire che le condizioni dei reclusi non si traducano in trattamenti inumani o degradanti. 3.7 Ancora, appare opportuno ricordare che a la previsione di cui all’art. 47 ter comma 1 ter ord. penumero consente di applicare, lì dove residuino esigenze specialpreventive, la detenzione domiciliare in deroga sia al limite dell’entità della pena residua che alla ostatività delle fattispecie di reato di cui all’art. 4 bis tra le molte Sez. I numero 17208 del 19.2.2001, Mangino, rv 218762 Sez. I numero 8993 del 13.2.2008, Squeo, rv 238948 Sez. I numero 18439 del 5.4.2013 ric. Lo Bianco, rv 255851 e si rapporta alle condizioni di fatto descritte dal legislatore agli articoli 146 e 147 del codice penale, atteso che la misura in questione consente di interrompere la detenzione carceraria ed evitare l’effetto sospensivo puro” della pena mantenendo un controllo, ove necessario, sui comportamenti del soggetto sottoposto così, tra le altre, Sez. I numero 4328 del 12.6.2000, ric. Sibio, rv 216912 b l’obbligo di interruzione nelle forme del differimento o della misura alternativa di cui all’art. 47 ter co.1 ter della detenzione non conforme ai contenuti dell’art. 3 della Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti , è patrimonio giurisdizionale accresciuto dalle decisioni emesse dalla Corte di Strasburgo, più volte intervenuta anche nei confronti dell’Italia con decisioni accertative di violazione, proprio nel delicato settore del diritto alla salute del soggetto recluso e del correlato obbligo di valutare, a fronte di gravi patologie, la opportunità di mantenere o meno lo stato detentivo carcerario. Nella nota decisione Contrada contro Italia del 11.2.2014 in cui si è affermato che il mantenimento in stato detentivo di quest’ultimo era incompatibile con il divieto di trattamenti inumani e degradanti stabilito dall’articolo 3 la Corte Edu ha affermato, tra l’altro, quanto segue l’articolo 3 impone allo Stato l’obbligo positivo di assicurarsi che esse siano detenute in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non facciano piombare l’interessato in uno stato di sconforto né lo espongano ad una prova di intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della carcerazione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente, in modo particolare attraverso la somministrazione delle necessarie cure mediche Kudia c. Polonia GC , numero 30210/96, § 94, CEDU 2000 XI, e Riviere c. Francia, numero 33834/03, § 62, 11 luglio 2006 . Così, la mancanza di cure mediche adeguate e, più in generale, la detenzione di una persona malata in condizioni non adeguate, può in linea di principio costituire un trattamento contrario all’articolo 3 si vedano, ad esempio, Ilhan c. Turchia GC , numero 22277/93, § 87, CEDU 2000-VII, e Gennadi Naumenko sopra citata, § 112 .La Corte deve tenere conto, in particolare, di tre elementi al fine di esaminare la compatibilità di uno stato di salute preoccupante con il mantenimento in stato detentivo del ricorrente, vale a dire a la condizione del detenuto, b la qualità delle cure dispensate e c l’opportunità di mantenere lo stato detentivo alla luce delle condizioni di salute del ricorrente si vedano Farbtuhs c. Lettonia, numero 4672/02, § 53, 2 dicembre 2004, e Sakkopoulos c. Grecia, numero 61828/00, § 39, 15 gennaio 2004 . Detti principi sono stati ribaditi in più occasioni, con accertamento di violazione del diritto fondamentale riconosciuto dall’art. 3 della Convenzione arresto del 13 dicembre 2016 Yunzel contro Russia del 6 settembre 2016 W.D. contro Belgio soggetto affetto da disturbi mentali, su cui v. infra del 9 giugno 2016 Mekras contro Grecia del 10 maggio 2016 Topekhin contro Russia sulla necessaria adeguatezza del trattamento delle patologie del 22 marzo 2016 Butrin contro Russia avente ad oggetto il caso di un detenuto disabile perché affetto da grave disturbo della vista del 1 marzo 2016 Lavrov contro Russia detenuto malato di cancro non adeguatamente curato del 23 febbraio 2016 Mozer contro Moldavia del 12 gennaio 2016 Khayletdinov contro Russia, solo per citare le decisioni di maggior rilievo emesse di recente. 3.8 Può affermarsi, in conclusione, che in relazione al generale divieto di trattamenti inumani o degradanti art. 3 Convenzione , la Corte Edu ha in più occasioni affermato la necessità di fornire adeguata tutela a soggetti reclusi portatori - in quanto affetti da patologia psichica - di accentuata vulnerabilità, affermando - nel caso W.D. c. Belgium deciso il 6 settembre 2016 numero 73548/2013 che anche l’allocazione in reparto psichiatrico carcerario può dar luogo a trattamento degradante quando le terapie non risultino appropriate without appropriate medica supervision e la detenzione si prolunghi per un periodo di tempo significativo The Court pointed out that the obligation deriving from the Convention was not limited to protecting society against the potential dangers posed by offenders with menta disorders, but also required suitable treatment to be provided to such offenders to help them to reintegrate into society as successfully as possible. It therefore held that the national authorities had not taken sufficient care of W.D.’s health to ensure that he was not left in a situation breaching Article 3 of the Conventionumero The fact that he had been held in a prison psychiatric wing for a significant period, with no real hope of any change and without appropriate medical supervision, had subjected him to particularly acute hardship, causing him distress of an intensity exceeding the unavoidable level of suffering inherent in detentionumero Whatever obstacles W.D. might have created by his own behaviour, the Court considered that they did not release the State from its obligation towards him. It reiterated that the position of inferiority and powerlessness which was typical of patients confined in psychiatric hospitals called for increased vigilance in reviewing compliance with the Convention that was even more the case where people suffering from personality disorders were detained in a prison environment. The Court therefore concluded that there had been degrading treatment on account of W.D.’s continued detention for more than fine years in a prison environment without suitable treatment for his mental condition or any prospect of soda reintegrationumero It held that there had been a violation of Article 3 of the Conventionumero Analoghe affermazioni risultano operate in arresti precedenti, tra cui Claes v. Belgium del 10 gennaio 2013 e Bamouhammad v. Belgium del 17 novembre 2015, il che dimostra come la verifica della adeguatezza del trattamento sanitario praticato, in concreto e non in astratto, sia il parametro su cui occorre misurare la valutazione circa il mantenimento o meno della condizione detentiva, pena il rischio concreto di violazione del divieto di infliggere al detenuto un trattamento inumano o degradante. 9. Le considerazioni sinora svolte, calate nel caso oggetto di trattazione, portano ad affermare che, a fronte della emersione di una seria patologia psichica a carico dell’A. il Tribunale di Sorveglianza ha finito con l’adottare una pronunzia motivata in modo incongruo, con mantenimento della condizione detentiva e contestuale affidamento del soggetto ad un trattamento sanitario meramente ipotetico, senza realizzare la dovuta verifica, se del caso tramite perizia a dell’ipotesi di interazione tra patologia psichica e patologia fisica v. sul tema Sez. I numero 35826 del 11.5.2016, Di Silvio, rv 268004 Sez. I numero 22373 del 8.5.2009, Aquino, rv 244132 Sez. I numero 41452 del 10.11.2010, Giordano, rv 248470 tale da determinare una condizione di malattia plurifattoriale non fronteggiabile in ambiente carcerario o tale da rendere l’espiazione della pena contraria al senso di umanità, aspetto che - se apprezzato come sussistente - conduce pacificamente all’applicabilità del differimento obbligatorio o facoltativo o della detenzione domiciliare di cui all’art. 47 ter co. 1 ter ord.penumero b in subordine, della effettiva accessibilità e adeguatezza dei trattamenti praticabili nella Sezione per la tutela della Salute Mentale, dovendo tale aspetto essere accertato preliminarmente rispetto alla propria decisione, secondo i principi espressi da questa Corte in più arresti, tra cui v. Sez. VI numero 34443 del 15.7.2010, Forastefano, rv 248166 e Sez. I numero 30495 del 5.7.2011, Vardaro, rv 251478. In assenza di simili valutazioni, il provvedimento finisce con il trasferire sul detenuto il rischio di mancata esecuzione del provvedimento di ri-allocazione e, soprattutto, di inadeguatezza del trattamento terapeutico praticabile all’interno del circuito penitenziario. Va pertanto disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio - per nuovo esame - al Tribunale di Sorveglianza di Roma. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma.