La scriminante della provocazione non ammette applicazione analogica

In seguito alla novella introdotta nel 2016, la scriminante prevista dall’art. 599 c.p. Provocazione non trova applicazione nei confronti di fattispecie diverse da quella di cui all’art. 595 c.p. Diffamazione .

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 14782/18, depositata il 3 aprile. Il caso. Il Tribunale di Parma assolveva l’imputato dall’accusa di molestie ex art. 660 c.p. per aver effettuato numerose telefonate mute nei confronti del vicino di casa, individuando la sussistenza dell’esimente della provocazione ex art. 599, comma 2, c.p. per aver il vicino, a sua volta, posto in essere molestie acustiche attraverso rumore di tacchi e tapparelle alzate ed abbassate. Avverso la sentenza del Tribunale il vicino soccombente ricorre per cassazione denunciando l’inapplicabilità della scriminante e la qualificazione della condotta dell’imputato quale molestia, non sussistendo, di contro, alcun comportamento illecito del ricorrente nemmeno secondo quanto previsto dal regolamento condominiale. L’esimente della provocazione. Il Supremo Collegio sottolinea che l’applicabilità dell’esimente della provocazione sussiste laddove la reazione sia conseguenza di un fatto che, per sua intrinseca illegittimità o per la sua contrarietà alle norme del vivere civile, abbia in sé la potenzialità di suscitare un giustificato turbamento nell’animo dell’agente, anche in assenza di proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui . Tuttavia, l’art. 599, comma 2, c.p. prevede una condizione di non punibilità applicabile espressamente, dopo la novella del 2016, al solo art. 595 c.p. Diffamazione , pertanto, non è ammissibile l’estensione analogica della scriminante, come è stato ritenuto nella sentenza impugnata, in modo da comprendere pure il reato di molestia o di disturbo alle persone previsto dall’art. 660 c.p. . La Corte dunque annulla l’impugnata sentenza agli effetti civili e rinvia al Giudice civile competente per valore in grado d’appello.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 novembre 2017 – 3 aprile 2018, n. 14782 Presidente Mazzei – Relatore Fiordalisi Ritenuto in fatto R.A. con sentenza del Tribunale di Parma del 29/01/2016 è stato assolto dall’accusa del reato di molestie di cui all’art. 660 cod. pen., commesso ai danni del suo vicino di casa dott. P. con reiterate telefonate mute a tutte le ore. Il giudice con la sentenza del 29/01/2016 ha ritenuto la sussistenza dell’esimente della provocazione prevista dall’art. 599 comma 2 cod. pen. da individuarsi più correttamente nell’unico comma di tale articolo, dopo l’abrogazione del primo comma avvenuta per effetto dell’art. 2 comma 1 lett. i n. 2 d.lgs 15 gennaio 2016 n. 7 considerando quale causa di non punibilità la situazione che si concretizza in una reazione nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha ritenuto che le molestie acustiche poste in essere mediante rumori di tacchi, parte sbattute, tapparelle alzate ed abbassate a tutte le ore consenta l’applicabilità della norma al di là dei delitti di ingiuria e diffamazione. Secondo il provvedimento impugnato, l’applicabilità dell’esimente non può essere limitata al delitto di ingiuria e diffamazione, come testualmente previsto dalla norma, ma va esteso alla fattispecie di cui all’art. 660 cod. pen Le costituite parti civili P.M. , P.M.A. , P.M.E. e P.R. ricorrono per cassazione ai soli effetti civili, deducendo, ai sensi dell’art. 606 primo comma lett. b cod. proc. pen. e in relazione all’art. 660 cod. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, in quanto il legislatore non avrebbe codificato la scriminante di condotte siffatte mentre, nel caso di specie, solo il comportamento dell’imputato sarebbe qualificabile come molestia d’altronde non sarebbe emerso alcun comportamento illecito posto in essere dal P. , nemmeno la violazione del regolamento condominiale. Con memoria difensiva, l’imputato R.A. deduce l’inammissibilità del ricorso delle parti civili, per violazione dell’art. 576 cod. proc. pen., non avendo le stesse alcuna possibilità di impugnare la sentenza di assoluzione di primo grado, con una mera rivalutazione dei dati probatori acquisiti. Inoltre, con riferimento alla motivazione della sentenza, il giudice sostanzialmente avrebbe evidenziato che la condotta non fosse da attribuire a biasimevoli motivi , cioè a una condotta che comportasse una disapprovazione per la futilità del motivo che l’ha originata, rispetto a preesistenti regole giuridiche, di costume e di convivenza sociale pertanto, difetterebbe un elemento costitutivo del reato. R. eccepisce, infine, la prescrizione del reato intervenuta nelle more del processo, agli effetti della conseguente declaratoria di estinzione del reato ex art. 129, cod. proc. pen., in quanto la condotta contestata sarebbe cessata il 2 ottobre 2011 e sarebbero trascorsi più di cinque anni. Considerato in diritto Il ricorso delle parti civili è fondato e contrariamente a quanto eccepito dal R. , è ammissibile perché la parte civile può impugnare ai meri effetti civili la sentenza di assoluzione dell’imputato, ai sensi del chiaro disposto dell’art. 576 cod. proc. pen., mentre al momento della pronuncia della sentenza impugnata il reato non era prescritto. L’art. 599 comma secondo cod. pen. prevede una condizione di non punibilità che, per espressa disposizione di legge, si applica solo agli artt. 594 e 595 cod. pen La disposizione trova la propria ratio nella condizione di colui che subisce una aggressione verbale con caratteri ingiuriosi o diffamatori situazione che ha un particolare rilievo per il legislatore al punto da escludere conseguenze penali per la reazione della vittima di tali azioni, quando si viene a delineare una peculiare situazione soggettiva di tipo emotivo, apprezzata dal legislatore in termini di inesigibilità. L’esimente ha, di conseguenza, dei precisi limiti oggettivi e soggettivi indicati dalla norma e non appare suscettibile di applicazione analogica. Per l’applicabilità dell’esimente, occorre che la reazione sia conseguenza di un fatto che, per la sua intrinseca illegittimità o per la sua contrarietà alle norme del vivere civile Sez. 5, n. 9907 del 16/12/2011, Rv. 252948 , abbia in sé la potenzialità di suscitare un giustificato turbamento nell’animo dell’agente, anche in assenza di proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui. Ritiene però il Collegio che la reazione della vittima di tale condotta abbia la rilevanza esimente voluta dalla norma solo quando integri i reati testualmente indicati dall’art. 599 cod. pen. ingiuria o diffamazione artt. 594 e 595 cod. pen. ora - dopo la novella del 2016 - solo quello di diffamazione. Non è ammissibile l’estensione analogica della scriminante, come è stato ritenuto nella sentenza impugnata, in modo da comprendere pure il reato di molestia o di disturbo alle persone previsto dall’art. 660 cod. pen D’altronde, confligge con tale interpretazione la stessa ratio e la struttura della scriminante che ha natura tutta soggettiva, per la particolare considerazione data dal legislatore allo stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui, subito dopo che esso si è verificato. Solo nel momento in cui viene percepito e immediatamente dopo tale istante, il fatto ingiusto altrui può avere tale rilevanza esimente, esentando da pena colui che, in uno stato psicologico d’ira, reagisce. Nella stessa Relazione al Re sul codice penale si legge che il requisito della immediatezza è stato introdotto per non confondere la provocazione con la vendetta, di guisa che la ratio di inesigibilità dell’esimente è sottesa alla provocazione, che già è contemplata come circostanza attenuante comune e, nella speciale materia dei delitti contro l’onore, eccezionalmente manda esente da pena l’autore del reato, pur lasciando in vita le eventuali conseguenze civili, per l’incontenibilità dell’impulso emotivo dello stato d’ira, che la caratterizza quale causa speciale di esenzione dalla pena. Si tratta, quindi, di una esimente la cui ratio risiede esclusivamente in una scelta di mera opportunità fatta dal legislatore, che concerne solo determinati delitti contro l’onore. Il legislatore, invece, attraverso la previsione nell’art. 660 cod. pen. di un fatto recante molestia alla quiete di un privato, ha inteso tutelare anche la tranquillità pubblica per l’incidenza che il suo turbamento ha sull’ordine pubblico, data l’astratta possibilità di reazione delle persone offese, pertanto, rispetto a detta contravvenzione viene in considerazione l’ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata, infatti il reato è perseguibile di ufficio. Il reato, pertanto, è plurioffensivo Sez. 1 n. 12303 del 28/02/200 . Per di più, di fronte ad un comportamento reiterato o prolungato nel tempo che si concretizza in semplici rumori molesti, si è oltre l’ambito ristretto in cui il legislatore ha dato eccezionale rilevanza esimente a uno stato emotivo momentaneo che, per la sua improvvisa intensità, comprime la capacità di ponderazione e controllo delle proprie scelte di condotta. La sentenza impugnata, pertanto, lungi dal considerare assente un elemento costitutivo del reato di molestie, per come sostenuto in ricorso dal R. , ha incentrato la propria decisione sulla ritenuta estensione analogica della speciale causa di non punibilità dell’art. 599 comma 2 cod. pen Tale situazione si evince dal riferimento alle condotte ritorsive fatto a pag. 4 e alla estensione del motivo ritorsivo quale causa di non punibilità ex art. 599 comma 2 cod. pen.”, spiegata a pag. 6 della sentenza. Nel provvedimento in esame vengono interpretati in modo errato gli artt. 599 e 660 cod. pen. e lo stesso deve quindi essere annullato con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per l’esame della domanda delle costituite parte civili. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.