Dichiarazioni “sollecitate”, dichiarazioni “spontanee” e Cedu: la parcellizzazione del nemo tenetur se detegere

La rinuncia al contraddittorio effettuata attraverso la libera e consapevole scelta di definire il processo con il rito abbreviato, non contrasta con il diritto convenzionato consolidato” idoneo ad orientare l’interpretazione del giudice nazionale ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale n. 49/2015.

In tale ottica le dichiarazioni rese dall’imputato ex art. 350 c.p.p., anche in assenza del difensore ed in difetto degli avvisi da rendersi ex art. 63 c.p.p. sono completamente utilizzabili. Il caso. L’imputato aveva optato per farsi giudicare attraverso il rito previsto dagli artt. 438 e seguenti del c.p.p., confidando, a giudicare dai motivi di ricorso, sulla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese contra se dall’indagato qualificate dalla P.G. quale rientranti nell’alveo di quelle rese ex art. 350 c.p.p Con il ricorso in Cassazione infatti veniva dedotta proprio la loro inutilizzabilità, patologica, nonché violazione dell’art. 6 Cedu e della regola di valutazione probatoria sancita dall’art. 192 c.p.p La Corte nel respingere il ricorso svolge alcune osservazioni meritevoli di approfondimento. L’inutilizzabilità. La figura dell’inutilizzabilità, richiamata dall’art. 191 del codice di rito, è, a mio parere, fra gli istituti processuali più interessanti. Il legislatore la definisce in modo lapidario dichiarando quali inutilizzabili tutte le prove acquisite in violazione di divieti stabiliti dalla legge. A fronte di una disposizione chiara la giurisprudenza si è attività, in modo solerte, ai fini di restringerne il campo di applicazione in punto si vedano le numerose sentenze rese in tema di perquisizione e sequestro , tanto dal giungere, oggi, ad averne elaborato due sottocategorie costituite dall’inutilizzabilità patologica e dall’inutilizzabilità fisiologica. Delle due categorie rileverebbe, in modo assoluto, solo quella patologica, ovvero quella che sarebbe ontologicamente connessa alla natura della prova stessa. La questione, di per sé complessa e molto interessante. Il Legislatore infatti, per quanto oggi possa assumere rilievo la circostanza, non fa riferimento ad alcuna categoria in relazione all’inutilizzabilità della prova inutilizzabilità che costituisce uno dei presidi, forse addirittura uno dei più forti presidi, a tutela delle Libertà Democratiche, posto che essa è volta a punire la raccolta di prove effettuate al di fuori dei limiti imposti dalla legge. Cioè a garantire che la pretesa punitiva dello Stato, intesa nel suo complesso, sia esercitata nel più rigido rispetto della norma e, dunque, a rendere democratico e trasparente il suo agire nei confronti dei Cittadini. Non c’è purtroppo spazio per affrontare nel dettaglio la questione con le implicazioni e le ricadute che essa importa, giovi soltanto indicare come il Legislatore, quello attuale che ormai ha ben poco a che spartire con quello che scrisse il codice del ’89, si è preoccupato di restringerne ulteriormente il campo, dichiarando che essa non opera sostanzialmente più in relazione alle scelte compiute ex art. 238 c.p.p. art. 438, comma 6- bis , c.p.p. escludendo dalla sanatoria solo l’inutilizzabilità patologica”. Su questo quadro si innesta la valutazione delle dichiarazioni rese ex art. 350 c.p.p. dall’indagato. L’articolo 350. Il comma 7 dell’articolo in commento, dice la Cassazione, consente alla polizia giudiziaria di ricevere le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato anche in assenza del difensore. Si tratta degli atti indicati quali di iniziativa della p.g. e finalizzati alla immediata prosecuzione delle indagini. Quindi in sostanza ed in definitiva di atti aventi efficacia meramente endo procedimentale. Che questa fosse la volontà del Legislatore è pacifico posto che l’art. 350, comma 7 termina con l’indicazione inerente l’inutilizzabilità di dette dichiarazioni in dibattimento salvo il caso previsto dall’art. 503, comma 3 peraltro ex sé già una stortura di carattere logico dovuta al d.l. 8 giugno 1992 n. 306 dettato in tema di criminalità organizzata . Si dovrebbe pensare dunque che ogni dichiarazione resa dall’indagato sia inevitabilmente assoggettata alla inutilizzabilità, così come previsto dall’art. 191 c.p.p La ratio della norma va ricercata proprio nella funzione svolta dal difensore che nel caso di specie si risolve nel controllo di legalità, rectius , di correttezza dell’operato della p.g. che non deve e non può in alcun modo forzare il rilascio di dichiarazioni auto indizianti. Trattasi di norma che, fuor di metafora, presiede al diritto, richiamato dall’art. 188 c.p.p. della libertà morale nell’assunzione della prova. Questa è la struttura codicistica. Chiara. Le dichiarazioni sollecitate”. A fronte di un simile impianto la giurisprudenza ha individuato una differenza, sostanziale, tra le dichiarazioni rese ex art. 350, comma 5, c.p.p. nell’immediatezza del fatto o sul logo del fatto assumibili anche senza la presenza del difensore e quelle rese ex art. 350, comma 7. Le prime vengono indicate quali sollecitate, le seconde, invece quali spontanee. Ora mi pare doveroso ricordare come anche le dichiarazioni rese ex art. 350, comma 5 abbiano unicamente la finalità, endo processuale, di consentire la prosecuzione delle indagini e come, quindi, esse siano utilizzabili solo a quei fini. Ma gli Ermellini interpretano la norma in modo differente. Ci dicono [] la lettera dell’articolo 350 n. 7 c.p.p. è esplicita nel prevedere l’inutilizzabilità relativa” ovvero solo dibattimentale delle dichiarazioni spontanee, il che impedisce di ritenere che la regola specifica in essa prevista possa essere vanificata” dalla disciplina generale che sancisce l’inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese dall’indagato senza garanzie. La norma si configura piuttosto come un’espressa eccezione a tale regola che trova la sua ratio nella natura eminentemente difensiva” e libera” delle dichiarazioni spontanee . Ovvero la regola è che si possa utilizzare ogni dichiarazioni resa dall’imputato, poiché figlia del diritto di questi a difendersi come meglio ritiene e crede, anche in assenza del supporto tecnico del difensore mero orpello nel ragionamento degli Ermellini e senza alcuna preoccupazione circa il rispetto del disposto dell’art. 188 c.p.p, fatta eccezione per quelle rese ex art. 350, comma 7, c.p.p., inutilizzabili solo in sede dibattimentale. Neppure fa breccia nella ricostruzione della Cassazione il motivo inerente la violazione dell’art. 6 Cedu per confutare il quale gli Ermellini fanno riferimento, oltre che alla mancata modifica delle disposizioni contenute nell’art. 350 c.p.p. che avrebbero, loro dire, dovuto essere apportate in esito all’entrata in vigore del d.lgs. n. 101/2014 che ha recepito la relativa direttiva europea alla sentenza resa dalla Corte EDU nel caso Navone c. Monaco laddove la Corte [] rimarca l’importanza che l’indagato sia protetto da ogni forma di coercizione quando viene escusso ma non tratta il caso in cui questi decida liberamente di rendere dichiarazioni . Già, la discussione è proprio incentrata sull’avverbio liberamente” che il nostro legislatore del 1989 aveva inteso rafforzare attraverso l’art. 188 c.p.p La garanzia di libertà dell’indagato all’atto di rilasciare dichiarazioni alla P.G. questo è il problema. Anche per la Corte di Cassazione che sa perfettamente di percorrere un crinale decisivo in relazione alla tenuta democratica del sistema. I Giudici espressamente dichiarano come risulti essenziale lo scrutinio della spontaneità delle dichiarazioni che deve essere valutata dal giudice sulla base degli elementi disponibili . Egli deve svolgere questo compito, anche d’ufficio, sulla base di tutti gli elementi a sua disposizioni, dando atto di tale valutazione con motivazione congrua ed adeguata. Il Giudice, un Uomo, arbitro, da solo, e privo di alcun supporto oggettivo della spontaneità” delle dichiarazioni ovvero della circostanza che esse siano state rese in modo libero, privo e scevro da ogni e qualsivoglia coercizione morale o fisica. Direbbe Isaia T erribilis est locus histe! ”. Il regime d’utilizzabilità dunque per gli Ermellini sono utilizzabili le dichiarazioni spontanee rese anche in assenza del difensore e senza l’avviso del diritto al silenzio nella fase procedimentale nella misura in cui emerga con chiarezza che l’imputato abbia deciso di renderle liberamente e senza alcuna coercizione o sollecitazione. Dunque, dato per assodato che esse, in astratto rendibili ed utilizzabili in fase procedimentale, non fossero ontologicamente colpite ed affette da inutilizzabilità, diviene pacifico che, ai sensi della modifica apportata dal decreto Orlando al rito abbreviato, esse abbiano potuto, e dovuto, trovare spazio nel giudizio abbreviato richiesto dall’imputato. Il nuovo abbreviato e la Cedu. Il ricorrente aveva evidenziato come l’utilizzazione delle dichiarazioni rese dall’indagato in assenza del difensore ed egli avvisi ex art. 63 c.p.p. confliggesse con il disposto dell’art. 6 Cedu. La Corte di Cassazione trae le mosse del proprio ragionamento da quella che definisce essere la ratio decidendi di una serie di pronuncia della Corte europea che, a detta della Corte, rileva come né il testo né lo spirito dell’art. 6 Cedu impediscono che una persona rinunci spontaneamente in maniera espressa o tacita alle garanzie ivi previste a patto che detta rinuncia sia effettuata stabilita in maniera non equivoca e sia accompagnata da un minimo di garanzie corrispondenti alla sua importanza. Sulla base di dette affermazioni, tratte fra le altre dalla sentenza Scoppola v. Italia del 17.09.2009 la Corte giunge ad affermare che la rinuncia al contraddittorio effettuata spontaneamente e volontariamente, nei casi in cui l’imputato sceglie di definire la propria posizione con un rito a prova contratta, non si pone in contrasto con l’art. 6 Cedu, come interpretato dalla Corte di Strasburgo che ha definito, sempre secondo gli Ermellini, un principio inquadrabile come diritto convenzionato consolidato” idoneo ad orientare l’interpretazione del giudice nazionale ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale n. 49/2015. Io, personalmente, non ne sono convinto. Sono, ahimè, in compagnia del solo codice di rito e, pertanto, destinato alla sconfitta.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 – 28 marzo 2018, n. 14320 Presidente Diotallevi – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello confermava la condanna dell’imputato per il reato di ricettazione alla pena di anni due di reclusione e di Euro 2000 di multa. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva 2.1. vizio di legge e di motivazione le dichiarazioni rese dal coimputato C. , nell’immediatezza dell’accertamento del fatto, sarebbero inutilizzabili in quanto prestate senza le garanzie in violazione dell’articolo 63 cod. proc. pen. il loro inquadramento come dichiarazioni spontanee , peraltro, non risulterebbe supportato da alcuna motivazione, né potrebbe trarsi semplicemente dalla qualifica assegnata dalla polizia giudiziaria si deduceva infine che la loro utilizzabilità non poteva essere giustificata sulla base del fatto che si era proceduto con il rito abbreviato, dato che l’inutilizzabilità in questione sarebbe patologica e non correlata alla progressione processuale. 2.2. Vizio di legge e di motivazione sarebbero state poste alla base della condanna dichiarazioni rese in assenza di contraddittorio prive di riscontro con violazione dell’articolo 111 della Costituzione dell’articolo 6 della Convenzione Edu e della regola di valutazione prevista dall’articolo 192 cod. proc. pen. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. 1.1. Il collegio ritiene che l’articolo 350 comma 7 cod. proc. pen. consenta alla polizia giudiziaria di ricevere le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato, anche in assenza di difensore e senza la somministrazione degli avvisi previsti dall’articolo 64 cod. proc. pen. L’articolo 350 del codice di rito disciplina l’acquisizione di informazioni provenienti dall’indagato da parte della polizia giudiziaria d’iniziativa , ovvero senza la mediazione del pubblico ministero come si ricava dall’intestazione del titolo IV . La facoltà di interagire con l’indagato che non si trova in stato di arresto e di fermo in tal caso il contatto con l’autorità giudiziaria è un presidio di garanzia che non prevede eccezioni è concessa alla polizia giudiziaria soprattutto al fine di consentire il proficuo svolgimento dell’attività investigativa nelle fasi germinali del procedimento, quando lo stesso non è ancora stato preso in carico dal pubblico ministero. Deve essere chiarito che, come previsto dall’articolo 513 comma 1 cod. proc. pen. le dichiarazioni assunte d’iniziativa dalla polizia giudiziaria con o senza la presenza del difensore non possono entrare nel fascicolo del dibattimento il recupero delle dichiarazioni predibattimentali contra se, qualora l’imputato si avvalga del diritto al silenzio è, infatti, limitato ai casi in cui le dichiarazioni siano rese al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria che le raccoglie su sua delega. L’utilizzo delle dichiarazioni dell’imputato raccolte d’iniziativa dalla polizia giudiziaria è dunque limitato alla fase procedimentale. Nell’ambito di tale fase il legislatore ha previsto un ulteriore limite le dichiarazioni sollecitate acquisite senza garanzie sul luogo e nell’immediatezza del fatto sono utilizzabili solo per l’immediata prosecuzione delle indagini tali dichiarazioni non sono dunque utilizzabili neanche nella fase procedimentale e, segnatamente, nella cognizione cautelare. Il collegio ribadisce, sui punto, che le dichiarazioni sollecitate , rese dall’indagato nell’immediatezza dei fatti ed in assenza di garanzie, a differenza di quelle spontanee , non sono in alcun modo utilizzabili, neanche a favore del dichiarante Cass. sez. 2 n. 3930 del 12/01/2017, Rv. 269206 Cass. sez. un. n. 1150 del 25/09/2008, dep. 2009, Rv. 241884 . Residua l’area delle dichiarazioni spontanee che, ai sensi dell’articolo 350 comma 7 cod. proc. pen., sono invece utilizzabili nell’area procedimentale e, dunque, nella cognizione cautelare, anche se acquisite senza le garanzie. Su questo tipo di dichiarazioni si appuntano le censure del ricorrente che ritiene che le stesse debbano essere assunte in modo garantito, anche in assenza di una previsione espressa, dovendosi riconoscere la prevalenza della disciplina prevista dall’articolo 63 comma 2 cod. proc. pen., su quella contenuta nell’articolo 350 comma 7 cod. proc. pen. tale ultima norma, secondo il ricorrente, richiederebbe implicitamente la presenza del difensore, non essendo stata prevista espressamente la sua assenza, come previsto quando si acquisiscono dichiarazioni sollecitate senza garanzie nei caso dell’articolo 350 comma 5 cod. proc. pen. Si tratta di una lettura che è sostenuta da parte della giurisprudenza secondo cui qualunque dichiarazione sia essa spontanea, che sollecitata assunta senza le garanzie previste dall’articolo 64 cod. proc. pen. è radicalmente inutilizzabile in quanto la regola prevista dall’articolo 63 comma 2 cod. proc. pen. ha una portata generale estensibile anche alle dichiarazioni raccolte d’iniziativa dalla polizia giudiziaria Cass. sez. 3, n. 24944 del 05/05/2015, Rv. 264119 Cass. sez. 3 n. 36596 del 07/06/2012, Rv. 253574 . Si tratta di orientamento che non si condivide per diversi ordini di ragioni. In primo luogo la lettera dell’articolo 350 comma 7 cod. proc. pen è esplicita nel prevedere l’inutilizzabilità relativa , ovvero solo dibattimentale delle dichiarazioni spontanee, il che impedisce di ritenere che la regola specifica in essa prevista possa essere vanificata dalla disciplina generale che sancisce l’inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese dall’indagato senza garanzie. La norma si configura piuttosto come un espressa eccezione a tale regola, che trova la sua la ratio nella natura eminentemente difensiva e libera delle dichiarazioni spontanee. La scelta personalissima dell’indagato di offrire la propria versione dei fatti è, infatti, tutelata dal codice di rito sia che l’accusato decida di rivolgersi alla polizia giudiziaria, sia che lo stesso si presenti al pubblico ministero come previsto dall’articolo 374 cod. proc. pen. . Nel caso in cui le dichiarazioni spontanee siano rese senza garanzie alla polizia giudiziaria il legislatore ha precisato il regime di utilizzabilità limitando l’utilizzo delle dichiarazioni alla fase procedimentale, ovvero alla cognizione cautelare ed a quella sulla responsabilità che si svolge nei riti a prova contratta nella piena disponibilità dell’accusato . In secondo luogo il collegio ritiene che la norma oggetto delle censure difensive è compatibile con le indicazioni della normativa Europea e segnatamente con quelle contenute nella direttiva 2012/13/UE in materia di diritti di informazione dell’indagato. La direttiva in questione è stata attuata con il D.lgs n. 101 del 2014 che non ha modificato l’articolo 350 cod. proc. pen. Occorre pertanto verificare se le norme Europee imponga una interpretazione conformativa o, financo, una disapplicazione dell’immutato articolo 350 comma 7 cod. proc. pen. Invero l’articolo 3 della Direttiva 2012/13/UE indirizza gli Stati aderenti all’Unione a conformare le legislazioni in modo da garantire che alla persone indagate o imputate sia tempestivamente fornita l’informazione circa il diritto ad avvalersi di un avvocato ed il diritto a restare in silenzio. La disposizione in questione è stata attuata solo attraverso la modifica degli artt. 291 e 369 bis cod. proc. pen. il legislatore ha evidentemente ritenuto che fosse tempestiva l’informazione fornita nelle occasioni previste dalle norme conformate ovvero al momento non ritenendo, invece, di intervenire sull’articolo 350 comma 7 cod. proc. pen. . Il collegio ritiene che tale scelta non urta con la normativa Europea d’indirizzo questa si limita ad indicare la necessità di una tempestiva informazione, lasciando agli Stati membri un margine di discrezionalità nell’apprezzamento della richiesta tempestività . Il legislatore italiano ha ritenuto di individuare il momento in cui è necessario fornire le informazioni di garanzia in quelli dell’applicazione delle misure cautelari e del compimento di atti ai quali il difensore ha diritto di assistere ha ritenuto invece di lasciare all’indagato la possibilità di entrare in contatto con la polizia giudiziaria procedente in modo spontaneo e deformalizzato nel corso di tutta la attività processuale. Si tratta di una scelta che trova la sua giustificazione nel fatto che le dichiarazioni spontanee non sono funzionali a raccogliere elementi di prova, ma piuttosto a consentire all’indagato di interagire con la polizia giudiziaria in qualunque momento egli lo ritenga, esercitando un suo diritto personalissimo. In terzo luogo il collegio ritiene che la norma in questione sia compatibile con le indicazioni fornite dalla Corte Edu nel caso Navone ed altri c. Monaco Corte Edu, I sezione, 24 ottobre 2013 la Corte di Strasburgo rimarca l’importanza che l’indagato sia protetto da ogni forma di coercizione quando viene escusso § § 71 e ss. della sentenza , ma non tratta il caso in cui questi decida liberamente di rendere dichiarazioni. Anche nel caso Stoycovic v. Francia e Belgio Corte Edu, V sezione, 27 ottobre 2011 la Corte Europea rimarca la necessità che sia garantita l’assenza di coercizione nel corso dell’interrogatorio disposto dall’Autorità che procede nel caso di specie con lo strumento della rogatoria rilevando che tale garanzia può essere assicurata attraverso la presenza del difensore e l’avviso circa la titolarità del diritto ai silenzio. Le argomentazioni sono centrate ancora una volta sulla necessità di salvaguardare la libera determinazione dell’indagato che dichiara su sollecitazione si verte dunque, ancora una volta, in un caso diverso da quello delle dichiarazioni spontanee. La regola prevista nell’articolo 350 comma 7 cod. proc. pen. si fonda infatti proprio sulla valorizzazione della spontaneità della dichiarazione laddove le pronunce della Corte Edu, mirano a garantire a ogni pressione il dichiarante sollecitato. 1.2. Se cosi è, anche per rispettare la ratio decidendi espressa dalla Corte di Strasburgo, risulta essenziale lo scrutinio della spontaneità delle dichiarazioni che deve essere valutata dal giudice sulla base degli elementi disponibili. Sul punto il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui spetta al giudice accertare anche d’ufficio, sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, la effettiva natura spontanea delle stesse, dando atto di tale valutazione con motivazione congrua ed adeguata Cass. sez. 3, n. 36596 del 07/06/2012 Rv. 253575 Cass. sez. 3 n. 2627 del 19/11/2013, dep. 2014, Rv. 258368 . 1.3. Pertanto si ritiene che le dichiarazioni spontanee anche se rese in assenza del difensore e senza l’avviso di poter esercitare il diritto al silenzio siano utilizzabili nella fase procedimentale, nella misura in cui emerga con chiarezza che l’indagato abbia scelto di renderle liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione. Si tratta di dichiarazioni che hanno un perimetro di utilizzabilità circoscritto alla fase procedimentale e dunque all’incidente cautelare, ed ai riti a prova contrata, ma che non hanno alcuna efficacia probatoria in dibattimento Cass. sez. 2, n. 26246 del 03/04/2017 - dep. 25/05/2017, Distefano, Rv. 271148 . 1.5. Nel caso di specie la Corte di appello inquadrava le dichiarazioni come spontanee valutando come gli elementi disponibili ovvero il fatto che le stesse venivano rese nell’immediatezza dell’accertamento ed allo scopo evidentemente difensivo ovvero in circostanze univocamente indicative della assenza di ogni sollecitazione. Peraltro con l’atto di appello non venivano contestate tale circostanze di fatto né venivano sollecitati accertamenti funzionali all’approfondimento del tema della spontaneità, che, in coerenza con la struttura del rito prescelto, veniva valutata sulla base delle evidenze disponibili. 2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. 2.1. Deve essere chiarito che l’accesso ai rito a prova contratta si risolve in una espressa e personalissima rinuncia dell’imputato al diritto al contraddittorio, sicché diventano utilizzabili tutti gli atti formati nel corso delle indagini preliminari e, dunque anche le dichiarazioni spontanee, destinate altrimenti a perdere efficacia in caso di progressione processuale ordinaria Cass. sez. 5, n. 13917 del 16/02/2017 - dep. 22/03/2017, Pernicola, Rv. 269598 . Tale rinuncia al diritto di difesa, nella dimensione del diritto al contraddittorio ed alla oralità nella formazione della prova, non è in contrasto con il diritto tutelato dall’articolo 6 della Convenzione Edu tenuto conto della ratio decidendi che orienta una serie di pronunce della Corte Europea, la cui stabilità consente di ritenere che si verta in un caso di diritto convenzionale consolidato come richiesto dalla Corte cost. n. 49 del 2015 . Segnatamente nella sentenza di Grande camera Scoppola v. Italia del 17 settembre 2009 la Corte Europea ha affermato che né il testo né lo spirito dell’articolo 6 della convenzione Edu impediscono che una persona vi rinunci spontaneamente in maniera espressa o tacita. Tuttavia, per essere presa in considerazione sotto il profilo della Convenzione, tale rinuncia deve essere stabilita in maniera non equivoca ed essere accompagnata da un minimo di garanzie corrispondenti alla sua importanza Poitrimol c. Francia, 23 novembre 1993, § 31, serie A n. 277-A, ed Hermi c. Italie GC , no 18114/02, § 73, CEDH 2006-XII . Inoltre, essa non deve essere contraria ad alcun interesse pubblico importante Hgkansson e Sturesson c. Svezia, 21 febbraio 1990, § 66, serie A n. 171-A, e Sejdovic v. Italia, Grande Camera, 1 marzo 2006, § 86 . Tali principi sono stati ribaditi anche in relazione alla transazione penale assimilabile alla nostra applicazione di pena concordata nella causa Natsvlishvili e Togonidze v. Georgia decisa dalla Terza sezione della Corte di Strasburgo il 29 aprile 2014 . 2.2. Può dunque essere affermato che la rinuncia al diritto al contraddittorio effettuata volontariamente e spontaneamente, nei casi in cui l’imputato sceglie di definire la sua posizione con un rito a prova contratta, non è in contrasto con l’articolo 6 della Convenzione Edu, come interpretato dalla Corte di Strasburgo la Corte Edu in numerose e convergenti pronunce, ha infatti affermato la compatibilità di tale rinuncia con le garanzie della Convenzione Edu, così definendo un principio inquadrabile come diritto convenzionale consolidato idoneo ad orientare l’interpretazione del giudice nazionale ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015. 2.3. Nel caso di specie, contrariamente a quanto dedotto, la rinuncia al contraddittorio effettuata attraverso la libera e consapevole scelta di definire il processo con il rito abbreviato, sulla base di fonti di prova raccolte unilateralmente dalla pubblica accusa non contrasta con il diritto convenzionale, ma anzi si presenta coerente con i principi reiteratamente espressi dalla Corte di Strasburgo in materia. 3. Quanto alla violazione della regola di valutazione prevista dall’articolo 192 cod. proc. pen. dedotta con il terzo motivo di ricorso si tratta di doglianza inammissibile in quanto proposta per la prima volta in sede di legittimità e che non tiene conto del fatto che i riscontri sono stati precisamente individuati dalla Corte territoriale in quanto il dichiarante si trovava in compagnia del B. e che all’interno dell’auto erano state rinvenute siringhe con segni di recente utilizzo, dato che confermava la dichiarazione del C. che aveva riferito che insieme al B. aveva acquistato sostanza stupefacente. 4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.