Responsabile e committente restano titolari di posizioni di garanzia

In tema di reati relativi alla sicurezza sul lavoro, pur in presenza di altre figure aziendali, il responsabile dei lavori, le cui funzioni devono essere specificatamente indicate con atto scritto, ed il committente non sono esonerati dagli obblighi di garanzia riferiti alla loro funzione in tema di sicurezza sul lavoro. Tali figure possiedono doveri generali di verifica, non solo formale, ma anche sostanziale, degli obblighi di legge in materia di tutela della salute dei lavoratori e di sicurezza dei luoghi di lavoro.

Lo ha ribadito la terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14359/18, depositata il 28 marzo. La normativa in tema di sicurezza sul lavoro. La questione dell'ammissibilità di una valida delega dei compiti antinfortunistici da parte del titolare 'formale' dell'iniziativa economica, ora a soggetti che lo coadiuvino nell'ordinaria gestione dell'impresa, ora a tecnici esterni specializzati, è argomento centrale in tema di sicurezza sul lavoro, anche in considerazione della necessità di abbandonare la tralatizia visione di un mondo dell'impresa, in cui domina la persona e la volontà dell'imprenditore individuale, che direttamente organizza e dirige l'attività produttiva, così come presupposto, ad esempio, dall'art. 2087 c.c., e prendendo atto, al contrario, di una realtà imprenditoriale prevalentemente caratterizzata da forme societarie, da una estrema complessità strutturale, da più livelli decisionali. La delega di funzioni. Come è noto, in generale, il fenomeno della delega di funzioni è sorto inizialmente in relazione alle problematiche inerenti la gestione di organizzazioni imprenditoriali complesse, nell’ambito delle quali il ruolo di garante primario degli obblighi, da adempiere in seno all’impresa, era ricoperto da coloro che detenevano cariche amministrative e gestionali. La delega di funzioni anche definita delega di attribuzioni” comprende, in primo luogo, la realtà delle società di grandi dimensioni, all’interno delle quali gli amministratori affidano a strutture interne spesso a dipendenti , o liberi professionisti esterni, l’adempimento di obblighi connessi alla gestione datoriale fra cui rientra l’insieme degli obblighi previsti dal d.lgs. n. 81/2008 – Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro . L’esistenza di obblighi penalmente sanzionati in capo agli organi di amministrazione delle imprese è dunque direttamente correlata ai poteri imprenditoriali. A fronte di questa correlazione, è con il tempo emersa, in modo sempre più pressante, l’esigenza dell’imprenditore di delegare l’adempimento dei predetti obblighi mediante un atto di autonomia privata quale appunto è la delega , che allo stesso tempo costituisce modo di esatto adempimento dei doveri nascenti dalla gestione aziendale. Orbene, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la delega è ammissibile e valida, con conseguente trasferimento della responsabilità penale dal delegante al delegato, ove siano rispettate determinate condizioni, elaborate in seno al c.d. diritto vivente, e fatte proprie nel settore del diritto penale del lavoro, ove è recentemente intervenuta una cristallizzazione” dei principi espressi dalla giurisprudenza nel corso degli anni, con l’art. 16 del citato Testo Unico della sicurezza sul lavoro. In primo luogo, occorre che il delegato abbia le qualità professionali necessarie per ben eseguire l’incarico, il quale deve essere stato da lui consapevolmente accettato. Il delegato deve dunque essere stato investito di compiti specifici, così da evitare in radice la possibilità che la delega sia attuata in frode alla legge. Inoltre, sarebbe invalida una delega in cui il delegante non abbia fornito al delegato i mezzi necessari per garantire a quest’ultimo piena autonomia decisionale nel corretto espletamento dell’obbligo assunto. Del pari, è invalida la delega che non sia rilasciata in forma scritta. A tal uopo, è sufficiente anche una scrittura privata, o un’espressa previsione nell’ambito delle norme interne o statutarie dell’impresa. Controverso è il requisito dell’organizzazione di impresa nel cui ambito la delega di funzioni è rilasciata. Per la giurisprudenza prevalente, occorre che si tratti sempre di un’organizzazione complessa, avente grandi dimensioni. Altra parte della giurisprudenza ritiene invece che anche le piccole e medie imprese possano avere esigenze organizzative, tali da giustificare la delega, specie nei casi di particolare complessità gestionale. Il mancato rispetto di regole precauzionali. Ciò premesso sul piano generale, va osservato che, nel c.d. appalto a regia , il controllo esercitato dal committente sull'esecuzione dei lavori esula dai normali poteri di verifica ed è così penetrante da privare l'appaltatore di ogni margine di autonomia, riducendolo a strumento passivo dell'iniziativa del committente, sì da giustificarne l'esonero da responsabilità per difetti dell'opera, una volta provato che abbia assunto il ruolo di nudus minister del committente. Ciò in quanto – come ben esplicitato dalla sentenza in commento – in tema di infortuni sul lavoro, al committente ed al responsabile dei lavori è attribuita dalla legge una posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l'esecuzione di controlli non formali ma sostanziali ed incisivi in materia di prevenzione, di sicurezza del luogo di lavoro e di tutela della salute del lavoratore, sicché ai medesimi spetta pure accertate che i coordinatori per la progettazione e per l'esecuzione dell'opera adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in detta materia.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 31 gennaio – 28 marzo 2018, n. 14359 Presidente Andreazza – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16 maggio 2016, la Corte d’appello di Firenze, giudicando in sede di rinvio, ha confermato la sentenza con la quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Siena aveva dichiarato F.P. responsabile del delitto di cui agli artt. 434 e 449 cod. pen. per aver cagionato per colpa, in cooperazione con altri, il crollo di una paratia in costruzione, il cui appalto era stato commissionato da una società di cui egli era legale rappresentante. 2. Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i quattro motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 3. Con il primo motivo si deduce il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen. per erronea applicazione dell’art. 40, secondo comma, cod. pen. Ci si duole, in particolare, del fatto che la Corte territoriale abbia riconosciuto in capo al ricorrente una posizione di garanzia rispetto all’omissione delle cautele specificamente contestategli in imputazione, benché queste non gravassero sul committente delle opere, ma soltanto sul direttore dei lavori e sull’appaltatore. Nei confronti del committente mancherebbero invece sia l’obbligo che il potere giuridico di impedire l’evento, difettandone la fonte, legale o contrattuale, e non potendo al proposito richiamarsi - come invece fatto dal giudice d’appello - le dichiarazioni rese dall’imputato in sede di interrogatorio. 4. Con un secondo motivo - sostanzialmente connesso al primo - si deduce il vizio di mancanza di motivazione con riferimento all’attribuzione all’imputato di responsabilità e obblighi di vigilanza sull’operato altrui, senza appunto individuarne la fonte. 5. Con un terzo motivo si deduce contraddittorietà della motivazione in ordine all’asserito nesso di causalità tra la condotta omissiva che il ricorrente avrebbe tenuto ed il crollo dell’opera in costruzione, osservandosi come il giudice del rinvio non abbia esaminato un punto demandatogli dalla Corte di cassazione con riferimento al giudizio se gli errori di progettazione commessi dal redattore del progetto strutturale C. - che aveva patteggiato la pena per il reato in contestazione - fossero stati da soli determinanti a causare il crollo. 6. Con un quarto ed ultimo motivo si deduce vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 132, 133 e 62 bis cod. pen. per essere stato confermato il trattamento sanzionatorio inflitto in primo grado nonostante la responsabilità sia stata da ultimo ritenuta sul mero ruolo di committente piuttosto che in base a quello - in precedenza erroneamente ritenuto dai giudici di merito - di direttore dei lavori o appaltatore. La Corte territoriale avrebbe poi del tutto omesso di considerare la circostanza attenuante dell’intervenuto risarcimento del danno. Considerato in diritto 1. I primi due motivi di ricorso - da esaminarsi congiuntamente attinendo alla medesima questione - sono fondati. A parte la carenza di motivazione sul punto infra considerato sub 3, la Corte territoriale ha logicamente motivato la rilevanza delle condotte omissive specificamente contestate all’imputato rispetto alla determinazione del crollo e la ritenuta consapevolezza, da parte sua, della situazione di pericolo che si era venuta a creare, ma la motivazione è carente, illogica ed a tratti contraddittoria rispetto all’individuazione dell’obbligo giuridico che avrebbe imposto l’intervento del F. , essendo il giudice d’appello incorso anche in erronea interpretazione della legge penale. 1.1. Nell’esaminare il primo motivo d’appello, la sentenza impugnata appare innanzitutto contraddittoria - e comunque non fa corretta applicazione della legge penale - laddove svaluta la necessità di individuare una posizione di garanzia osservando dapprima che il delitto contestato è un reato comune di danno e che al F. è stato contestato di aver colposamente cooperato con altri a cagionare il disastro, affermando poi che sarebbe comunque ravvisabile nei suoi confronti un’omissione di vigilanza. Ed invero, essendo il delitto di cui al combinato disposto degli artt. 434 e 449 cod. pen. un reato commissivo ed essendo state addebitate al ricorrente soltanto condotte omissive, la sua responsabilità penale è necessariamente ancorata all’applicazione del principio di cui all’art. 40, secondo comma, cod. pen. e - come correttamente si osserva in ricorso - occorre quindi individuare la posizione di garanzia che avrebbe fondato il suo obbligo giuridico di impedire il crollo. 1.2. La stessa motivazione della sentenza, come si accennava, riconosce più oltre questa necessità e afferma che al committente dei lavori di costruzione di un’opera incombe l’obbligo di vigilare sull’osservanza, da parte dell’esecutore dei lavori, della normativa edilizia, in particolare quella deputata ad assicurare la sicurezza dei lavoratori e della pubblica incolumità . Contrariamente a quanto sembra desumersi dal postulato, le disposizioni normative volte a tutelare la sicurezza dei lavoratori e la pubblica incolumità non sono, però, un sottoinsieme della normativa edilizia, attendendo a campi diversi. Che il committente rivesta una posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa edilizia da parte dell’esecutore dei lavori è affermazione - sia pur non giuridicamente argomentata - certamente esatta, rinvenendo la propria fonte nel disposto di cui all’art. 29, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.’ Tenendo anche conto della sedes materiae, detta norma fonda la responsabilità primariamente per gli illeciti amministrativi e penali previsti dal testo unico in materia edilizia rispetto alla conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano, al permesso di costruire ed alle prescrizioni relative alle modalità esecutive nel medesimo contenute. Salvo che quest’ultimo preveda un obbligo di tutela della pubblica incolumità e dei lavoratori addetti alla realizzazione dell’opera - profilo rispetto al quale la sentenza impugnata è però del tutto silente - la disposizione non può dunque essere utilizzata per fondare una posizione di garanzia rispetto alla protezione dei suddetti beni. La fonte di tale obbligo, poi, non può essere individuata - quantomeno nei generici termini indicati - nelle ulteriori prospettazioni che la sentenza impugnata descrive con riguardo al contratto d’appalto ed alla veste di proprietario del bene. 1.3. Quanto a quest’ultimo profilo, in disparte il rilievo che spingersi ad individuare un obbligo di intervento considerando la qualità del F. di proprietario dell’immobile sul quale era in costruzione la paratia crollata - qualità non specificamente contestata in imputazione e diversa da quella di committente, in quanto non necessariamente con questa coincidente integrerebbe un difetto di correlazione tra accusa e sentenza analogo a quello censurato nella sentenza di legittimità che ha disposto il rinvio, il principio solidaristico contenuto nell’art. 41, secondo comma, Cost. evocato in sentenza non si riferisce al proprietario, bensì all’imprenditore. È il successivo art. 42 Cost., di fatti, che detta lo statuto costituzionale del diritto di proprietà, ma le previsioni ivi contenute sono troppo generiche per potervi rinvenire un obbligo di garanzia come quello di cui qui si discute. La richiamata disposizione contenuta nell’art 41, secondo comma Cost. - nel prevedere che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da arrecare danno alla sicurezza umana - può bensì essere richiamata, ma, salvo quanto immediatamente si osserverà sub 1.4, essa non si attaglia al committente, operando di regola nei riguardi del solo appaltatore, vale a dire del soggetto che, nell’esercizio dell’impresa, ha assunto su di sé l’obbligo di realizzare l’opera. 1.4. Ed invero, che la responsabilità del F. possa trovare fondamento nell’omissione di vigilanza cui è tenuto, in considerazione del fatto che l’opera soddisfa un suo particolare interesse. E tale obbligo sorge innanzitutto dalla stipula del contratto di appalto, che non libera l’appaltante dal controllo sull’esatta esecuzione dei lavori , è conclusione che, nei termini affermati, è errata, o comunque non sufficientemente motivata, perché confonde un diritto con un obbligo. Il controllo sull’esatta esecuzione dei lavori - che è previsto dall’art. 1662 cod. civ. - è funzionale alla tutela degli interessi economici del contraente e ha nulla a che vedere con una posizione di garanzia nei confronti di terzi, a meno che obblighi di tale natura non siano ricavabili dalla particolarità delle pattuizioni contrattuali, come avviene nel c.d. appalto a regia , nel quale il committente riserva a sé poteri - e conseguenti obblighi e responsabilità - rispetto all’esecuzione dei lavori. Insegna, in particolare, la giurisprudenza civilistica che nel cosiddetto appalto a regia , il controllo esercitato dal committente sull’esecuzione dei lavori esula dai normali poteri di verifica ed è così penetrante da privare l’appaltatore di ogni margine di autonomia, riducendolo a strumento passivo dell’iniziativa del committente, sì da giustificarne l’esonero da responsabilità per difetti dell’opera, una volta provato che abbia assunto il ruolo di nudus minister del committente Sez. 2 civ., n. 2752 del 11/02/2005, Rv. 579525, che ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto configurabile l’appalto a regia sulla base delle clausole contrattuali che prevedevano l’obbligo dell’appaltante di fornire tutte le attrezzature e i materiali d’uso, l’esecuzione sotto la direzione esclusiva dell’impresa appaltante e del personale da essa incaricato, la previsione, quale oggetto del contratto, soltanto di prestazioni di manodopera, con contabilizzazione a parte dei lavori a giornata, sfiorando la fattispecie delittuosa di cui alla legge n. 1369/60 sul divieto di intermediazione ed interposizione di lavoro . In simili casi, le particolari previsioni contrattuali ben potrebbero fondare in capo al committente quell’obbligo di protezione, altrimenti gravante sull’appaltatore, nei confronti dei lavoratori e dei terzi connesso all’esecuzione dei lavori cui il primo, appunto, non sarebbe estraneo. Nella sentenza impugnata, tuttavia, nulla si dice al riguardo. 2. Tutti i profili evocati nella sentenza impugnata, dunque, non valgono a sorreggere la conclusione circa l’individuazione in capo al committente F. di quella posizione di garanzia che l’avrebbe obbligato ad intervenire per evitare il crollo della paratia in costruzione. S’impone, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza affinché il giudice d’appello approfondisca - in fatto, prima ancora che in diritto - i presupposti, soltanto genericamente indicati, che potrebbero fondare la responsabilità per omissione del committente F. per il disastro colposo al medesimo ascritto. Ciò che dovrà in particolare essere fatto, stando a quanto precisato in sentenza, con riguardo ad eventuali prescrizioni concernenti la sicurezza contenute nel permesso di costruire e pertanto dirette anche al committente ai sensi dell’art. 29, primo comma, d.P.R. 380 del 2001 ad eventuali poteri - e conseguenti obblighi e responsabilità - circa l’esecuzione delle opere che il committente abbia riservato a sé nel contratto di appalto agli ulteriori profili di responsabilità circa l’incolumità dei lavoratori e dei terzi gravanti sul committente ai sensi di legge. Con particolare riguardo a quest’ultimo profilo - come si è visto, soltanto genericamente evocato nella sentenza impugnata, ma in alcun modo approfondito - occorrerà valutare i profili di responsabilità che gravano sul committente alla luce della normativa di sicurezza ed igiene sul lavoro vigente all’epoca dei fatti con riguardo ai cantieri allestiti per lo svolgimento di lavori edili o di ingegneria civile, compendiata nel d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494 attuativo della c.d. direttiva cantieri , abrogato dall’art. 304, comma 1, lett. a , d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che tuttavia sostanzialmente ne riproduce le disposizioni. In particolare, occorrerà verificare se nel cantiere de quo fosse stato o meno nominato un responsabile dei lavori che, a norma dell’art. 6, d.lgs 494 del 1996, avrebbe, quantomeno in parte, esonerato il committente da responsabilità verificare se si trattava di uno di quei cantieri ad es. perché comportavano i rischi di cui all’allegato II che a norma del precedente art. 3, comma 3, imponevano la nomina del coordinatore per la progettazione, e, in caso affermativo, se l’imputato che a quanto si ricava dalle precedenti sentenze, probabilmente aveva i titoli di cui al successivo art. 10, essendo ingegnere , lo aveva nominato o rivestiva lui stesso quel ruolo come quello di coordinatore per l’esecuzione dei lavori a norma dell’art. 3, comma 5, con le conseguenti responsabilità di cui all’art. 5 d.lgs. 494 del 1996, da cui potrebbe ricavarsi una posizione di garanzia come quella riconosciuta nella sentenza impugnata. È proprio con riguardo a tale disciplina, di fatti, che la giurisprudenza riconosce la possibilità di configurare in capo al committente obblighi di protezione, essendosi affermato che al committente ed al responsabile dei lavori è attribuita dalla legge una posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l’esecuzione di controlli non formali ma sostanziali ed incisivi in materia di prevenzione, di sicurezza del luogo di lavoro e di tutela della salute del lavoratore, sicché ai medesimi spetta pure accertare che i coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dell’opera adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in detta materia Sez. 4, n. 14012 del 12/02/2015, Zambelli, Rv. 263014 il committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un’opera, è titolare ex lege di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali datori di lavoro, dirigenti, preposti etc. e può designare un responsabile dei lavori, con un incarico formalmente rilasciato accompagnato dal conferimento di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta di essere esonerato dalle responsabilità, sia pure entro i limiti dell’incarico medesimo e fermo restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza Sez. 4, n. 37738 del 28/05/2013, Gandolla e aa., Rv. 256635 . 3. È fondato anche il terzo motivo di ricorso. La sentenza impugnata pag. 2, in fine rileva come, nel disporre il precedente annullamento con rinvio, la Corte di cassazione avesse ritenuto fondato anche l’ulteriore motivo di ricorso per cassazione con cui si lamentava non essere stato valutato se gli errori di progettazione commessi dal redattore del progetto strutturale C. fossero stati da soli determinanti a causare il crollo e se ciò potesse essere incompatibile con l’affermazione di penale responsabilità del F. . Anche quel punto, dunque, avrebbe dovuto formare oggetto di nuovo esame da parte del giudice del rinvio, ciò che invece non è avvenuto, essendo dunque al proposito ravvisabile la totale carenza di motivazione. 4. Restando assorbito l’ultimo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve quindi essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze per nuovo esame sui punti indicati supra, sub nn. 2 e 3. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.