File sharing di materiale pedopornografico: differenze tra mera detenzione e divulgazione

Il reato di divulgazione di materiale pedopornografico non sussiste in caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino l’acquisizione e la condivisione di contenuti vietati con altri utenti della rete.

Tale regola generale, tuttavia, non trova applicazione quando ricorrano ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare il materiale a terzi, anche sotto forma di dolo eventuale, desumibile dall’esperienza dell’imputato e dalla durata nel tempo del possesso di materiale pedopornografico, dall’entità numerica del materiale, e dalla condotta, già illecita ex art. 600- quater , c.p., connaturata da accorgimenti volti alla difficoltà di individuazione dell’attività. Lo ha stabilito la terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14001/2018, depositata in cancelleria il 26 marzo 2018. Condivisione e.mule di materiale pedopornografico. Nel caso di specie un uomo è stato rinviato a giudizio per i reati di detenzione art. 600- quater , c.p. e divulgazione a terzi art. 600- ter , c.p. di materiale pedopornografico. Secondo l’accusa, infatti, l’imputato avrebbe scaricato - tramite il programma di file sharing e.mule ” - 194 file video che, per effetto del medesimo programma, sarebbero stati condivisi con un numero considerevole di utenti. In esito al giudizio di merito, tanto il Giudice per le indagini preliminari quanto la Corte d’Appello hanno accertato la responsabilità penale dell’imputato in relazione ad entrambi i reati lui ascritti. La consapevolezza sulla condivisione con la rete. La vicenda è stata portata all’attenzione dei Giudici del Palazzaccio. La difesa ha impugnato la decisione della Corte territoriale sul presupposto che i Giudici dell’Appello avrebbero mancato di accertare l’assenza della dovuta consapevolezza, in capo all’imputato, in ordine alla possibilità di divulgare, per il tramite della condivisione e.mule , i file illegalmente detenuti. In altri termini, nell’opinione della difesa del ricorrente, la condotta divulgativa” non sarebbe stata sorretta dall’elemento psicologico i.e. il dolo richiesto ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600- ter , c.p., e ciò ancorché fosse provata ed incontestata la responsabilità dell’imputato per il diverso delitto di detenzione art. 600- quater , c.p. . File sharing detenzione mera o anche divulgazione?. La Suprema Corte, nel confutare la tesi difensiva, è tornata ad occuparsi della configurabilità del delitto di divulgazione di materiale pedopornografico in relazione all’utilizzo di programmi di file sharing . A tal proposito - richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali - la Corte ha ricordato come, in linea generale, il reato di divulgazione non è integrato in caso di mero utilizzo di programmi di file sharing che comportino l’acquisizione e l’automatica condivisione dei file con altri utenti. Nondimeno - spiega la Corte - possono esservi ipotesi in cui l’utilizzo del programma di file sharing si accompagna a taluni elementi sintomatici della volontà del soggetto agente di divulgare o, quantomeno, accettare il rischio di divulgare detti materiali. Segnatamente, rappresentano elementi che provano la volontà divulgativa i la circostanza che i file scaricati siano stati condivisi per un lunghissimo periodo ovvero ii che l’imputato avesse piena contezza della condivisione dei file da parte degli utenti della rete o, ancora, iii le particolari conoscenze informatiche del soggetto agente, iv l’elevato numero di file detenuti e, dunque, condivisi nonché v l’utilizzo del computer di lavoro, per rendere più difficoltosa la possibilità di risalire all’autore reale della condivisione. Il principio di diritto. Ecco, dunque, il principio di diritto della Cassazione In tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’art. 600- ter , comma 3, c.p. deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei file contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare tale materiale, anche sotto il profilo dell’individuazione del dolo eventuale, desumibile dall’esperienza dell’imputato e dalla durata nel tempo del possesso di materiale pedopornografico, dall’entità numerica del materiale, e dalla condotta, già illecita ex art. 600- quater , c.p., connaturata da accorgimenti volti alla difficoltà di individuazione dell’attività . Sul crinale delle considerazioni che precedono, la Corte ha quindi confermato il verdetto negativo emesso dalla Corte territoriale, condannando il ricorrente finanche al pagamento delle spese di lite per il giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 dicembre 2017 – 26 marzo 2018, n. 14001 Presidente Di Nicola – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 5 dicembre 2016, confermava la decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, del 4 febbraio 2016 - giudizio abbreviato -, che aveva condannato B.A. alla pena di anni 2 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, oltre pene accessorie, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti, relativamente ai reati di cui capo A, art. 600 ter, commi 3 e 5, 602 ter, commi 4 e 5, cod. pen. da omissis capo B, art. 600 quater, cod. pen. Fino al omissis . 2. L’imputato ha proposto ricorso, integrato da successiva memoria con ivi allegata una relazione sul percorso terapeutico del ricorrente , depositata il 28 novembre 2017, tramite il difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. 2. 1. Violazione di legge, art. 42 e 43 in relazione all’art. 600 ter, cod. pen. In relazione al delitto di cui al capo A l’appello del ricorrente aveva sostenuto l’assenza di dolo nella condivisione dei files. La Corte di appello ha invece sostenuto che la sola utilizzazione del programma E.mule è sufficiente per la responsabilità a titolo di dolo anche eventuale in quanto il programma è destinato proprio alla condivisione. Inoltre il programma considerato e.mule 0.50 non corrisponde al programma usato dal ricorrente a.mule 2.2.6. , e quindi irrilevanti devono ritenersi le considerazioni della sentenza sul punto. La sentenza della Corte di appello si basa sul presupposto del non poteva non sapere . 2. 2. Manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello inoltre - sempre sul reato di cui al capo A rileva che il ricorrente era un abituale utilizzatore del P.C., relativamente al suo lavoro di grafico, e quindi con buone conoscenze informatiche. Poi, in contraddizione, afferma che il programma e.mule è relativamente semplice nell’utilizzazione. 2. 3. Mancata assunzione di una prova decisiva in appello, audizione del perito Z. violazione di legge, art. 603, cod. proc. pen. La Corte di appello ha ritenuto tardiva la richiesta dell’audizione del perito Z., in quanto proposta nei motivi nuovi la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale invece può essere proposta anche in sede di motivi nuovi. Sussisteva la necessità della prova in quanto le pagine di presentazione del programma - utilizzato dal P.M. non corrispondevano al programma usato dal ricorrente. 2. 4. Violazione di legge, art. 600 septies, cod. pen. La Corte di appello ha respinto l’istanza di dissequestro poiché le cose sono di terzi invece l’imputato può rispondere nei confronti dell’effettivo proprietario, G., e quindi aveva diritto alla restituzione, o all’estrazione di copia dei dati non attinenti al reato di cui al capo A. 2. 5. Violazione di legge, art. 62 bis, cod. pen. La Corte di appello non ha tenuto conto della situazione soggettiva del ricorrente, in quanto lo stesso ha confessato, e si è ravveduto. Inoltre egli non ha più connessione internet nella propria abitazione, e svolge attività di volontariato. 2. 6. Violazione di legge, relativamente alle pene accessorie, art. 600 septies 2, cod. pen. Le pene accessorie dovrebbero essere comminate solo dopo la valutazione della personalità, e non automaticamente. Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata. 2. 7. L’imputato ha presentato ampia memoria, come sopra visto, nella quale ribadisce ed illustra i motivi del ricorso per cassazione, allega inoltre relazione della comunità cooperativa B. di Cremona, sul suo percorso terapeutico. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi e per genericità. Inoltre ripropone le stesse argomentazioni dell’appello senza critiche specifiche alla motivazione della Corte di appello. Sul reato sub A dell’imputazione diffusione del materiale pedopornografico in possesso del ricorrente la sentenza impugnata e la decisione di primo grado, doppia conforme con adeguata motivazione, immune da manifeste illogicità e da contraddizioni rileva plurimi elementi dai quali desumere la diffusione dell’ingente materiale in possesso almeno 194 file video relativamente all’uso del programma a.mule Dal processo sono emersi alcuni dati oggettivi incontroversi il B. aveva installato sul computer usato nel luogo di lavoro il programma e.mule che consentiva di scaricare files dalla rete internet e condividerli con altri utenti. L’imputato aveva scaricato e detenuto numerosi files di contenuto pedopornografico detti files erano stati effettivamente condivisi da altri utenti e quindi erano stati divulgati. L’elemento soggettivo del reato contestato al capo A dell’imputazione risulta pertanto pacificamente integrato . L’imputato ha inoltre confessato relativamente al capo B, dell’imputazione, mentre ha contestato in appello e nel ricorso per Cassazione solo l’assenza di consapevolezza relativamente alla diffusione del materiale, con il programma a.mule. per il capo A, dell’imputazione . In tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’art. 600 ter, comma terzo, cod. pen. deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare tale materiale. Fattispecie in cui la coscienza e volontà di divulgazione è stata desunta dalla condivisione per lunghissimo periodo dei files scaricati e dal loro effettivo scaricamento da parte di altri utenti . Sez. 3, n. 19174 del 13/01/2015 - dep. 08/05/2015, Colombo, Rv. 26337301 vedi anche Sez. 3, n. 33157 del 11/12/2012 - dep. 31/07/2013, Moscuzza, Rv. 25725701 . La sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio sopra visto della Suprema Corte di Cassazione, in quanto oltre al programma a.mule, ha evidenziato la competenza informatica del ricorrente che svolgeva il lavoro di grafico, e l’effettiva condivisione di file. Infine la decisione valorizza anche il dolo eventuale del ricorrente Poco importa che il B. non avesse agito con l’intenzione di diffondere le immagini pedopornografiche. Scaricando quel materiale con quel programma di condivisione, aveva accettato il rischio che le immagini venissero diffuse sulla rete, con conseguente punibilità quanto meno a titolo di dolo eventuale . Su questo punto il ricorso per Cassazione non contiene nessun motivo di censura alla sentenza impugnata. Del resto la detenzione di materiale pedopornografico, scaricato in maniera massiccia, e l’utilizzazione del programma di condivisione automatica a.mule comporta il concreto e tangibile rischio delle diffusione indiscriminata sulla rete. Sussistono, infatti, nel caso tutti i presupposti per la configurazione del dolo eventuale la sussistenza di una condotta illecita il possesso di materiale pedopornografico l’esperienza informatica del ricorrente che svolgeva il lavoro di grafico la durata nel tempo della condotta illecita e l’elevato numero di file pedopornografici posseduti - almeno 194 file video con minori - l’elevata probabilità della diffusione la quasi certezza la valutazione del comportamento relativo all’uso del computer del luogo di lavoro, come elemento che avrebbe garantito la difficoltà dell’individuazione, e quindi, per tale aspetto, l’assenza di certezza che l’imputato non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento. Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’individuare i presupposti del dolo eventuale In tema di elemento soggettivo del reato, per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’ iter e l’esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali a la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa b la personalità e le pregresse esperienze dell’agente c la durata e la ripetizione dell’azione d il comportamento successivo al fatto e il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali f la probabilità di verificazione dell’evento g le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione h il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento. Fattispecie in cui l’imputato, consapevole della propria malattia, aveva intrattenuto rapporti sessuali non protetti con l’amante, omettendo di informarla e trasmettendole il virus dell’epatite C Sez. 5, n. 23992 del 23/02/2015 - dep. 04/06/2015, A, Rv. 26530601 . Può conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto In tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’art. 600 ter, comma terzo, cod. pen. deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare tale materiale, anche sotto il profilo dell’individuazione del dolo eventuale, desumibile dall’esperienza dell’imputato e dalla durata nel tempo del possesso di materiale pedopornografico, dall’entità numerica del materiale, e dalla condotta, già illecita ex art. 600 quater, cod. pen., connaturata da accorgimenti volti alla difficoltà di individuazione dell’attività . 4. Del tutto generico, e comunque manifestamente infondato è il motivo della mancata assunzione di una prova decisiva l’audizione del perito . Nel ricorso non si prospetta la decisività della prova In tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mentre nelle ipotesi di cui ai commi 1 richiesta di riassunzione di prove già acquisite e di assunzione di nuove prove e 3 rinnovazione ex officio dell’art. 603 cod. proc. pen. è necessaria la dimostrazione, in positivo, della necessità assoluta nel caso del comma terzo del mezzo di prova da assumere, onde superare la presunzione di completezza del compendio probatorio, nell’ipotesi di cui al comma secondo del citato art. 603, al contrario, è richiesta la prova, negativa, della manifesta superfluità e della irrilevanza del mezzo, al fine di superare la presunzione, opposta, di necessità della rinnovazione, discendente dalla impossibilità di una precedente articolazione della prova, in quanto sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado Sez. 3, n. 13888 del 27/01/2017 - dep. 22/03/2017, D e altro, Rv. 26933401 . Nessuna dimostrazione, in positivo, della necessità assoluta dell’audizione del perito, è stata fornita. In sostanza il ricorrente ha formulato una rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello esplorativa, non ammessa ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. Nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile sicché non sussiste alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività esplorativa di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esplorativa la richiesta di rinnovazione finalizzata a verificare l’intenzione della vittima, attraverso un nuovo esame, di ritrattare le accuse formulate nei confronti dell’imputato Sez. 3, n. 42711 del 23/06/2016 - dep. 10/10/2016, H, Rv. 26797401 . Inoltre la perizia e, quindi, l’audizione del perito di parte non è mai prova decisiva, e - come sopra visto -nel ricorso per Cassazione non si rappresenta la decisività della prova, quale accertamento idoneo a scardinare l’intero impianto probatorio La perizia non rientra nella categoria della prova decisiva ed il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. d , cod. proc. pen., in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in Cassazione Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012 - dep. 09/11/2012, Ritorto e altri, Rv. 25370701 nello stesso senso Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013 - dep. 14/02/2013, Sciarra, Rv. 25515201 . Del tutto irrilevante nell’economia della decisione risulta poi la diversità delle spiegazioni dei programmi, utilizzati dal P.M. e.mule 0.50, che non corrisponde al programma usato dal ricorrente, a.mule 2.2.6. in quanto non si prospetta, in concreto, una diversità sostanziale che abbia potuto incidere a sfavore dell’imputato. 5. I motivi sul trattamento sanzionatorio, circostanze attenuanti generiche e pene accessorie sono estremamente generici, in quanto si limitano a riproporre gli stessi motivi dell’appello senza critiche specifiche di legittimità alla decisione. Del resto, le circostanze attenuanti generiche sono state riconosciute equivalenti all’aggravante, e la pena è stata ritenuta congrua In tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016 - dep. 15/09/2016, Rignanese e altro, Rv. 26794901 vedi anche Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015 - dep. 23/11/2015, Scaramozzino, Rv. 26528301 e Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013 - dep. 08/07/2013, Taurasi e altro, Rv. 25646401 . 6. Anche il motivo relativo alla violazione di legge, art. 600 septies, cod. pen. risulta generico e manifestamente infondato. La Corte di appello ha ritenuto mancante l’interesse dell’imputato alla revoca della confisca o all’estrazione dei dati in quanto di proprietà di terzi. Conseguentemente sarà onere del terzo interessato a far valere i suoi diritti. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell’art. 52 del d. lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.