Lesioni ai danni del convivente: non si applica l’aggravante del rapporto di coniugio

Non è possibile applicare al convivente di fatto, imputato per lesioni nei confronti del partner, l’aggravante di cui all’art. 577, comma 2, c.p., facendo riferimento detta disposizione, nel momento in cui è stata commessa la condotta, soltanto allo status di coniuge e non essendo consentito estendere con interpretazione analogica la portata di una norma penale sostanziale.

E’ quanto enunciato dalla Corte di Cassazione, Quinta Sezione Penale, con sentenza n. 13802/18 depositata il 23 marzo, che ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso di un imputato condannato per lesioni aggravate ai danni della convivente, ai sensi degli artt. 582 e 577 comma 2 c.p Il caso. In particolare, avverso la sentenza di secondo grado, l’imputato lamentava l’erronea applicazione dell’aggravante ex art. 577, comma 2, c.p., non essendo tale disposizione – che condiziona l’aumento sanzionatorio alla commissione del reato nei confronti del coniuge – estensibile con effetti in malam partem anche al convivente more uxorio. Dall’esclusione dell’aggravante in questione sarebbe poi derivata, secondo il ricorrente, la procedibilità a querela del reato di lesione, non avendo superato la soglia di malattia di venti giorni. Querela che, nella specie, non poteva ritenersi integrata dal verbale di denuncia presentato dalla vittima. Disparità di trattamento sanzionatorio a favore del coniuge, avallata dalla giurisprudenza. La Corte Suprema ha accolto la doglianza circa l’insussistenza dell’aggravante ex art. 577, comma 2, c.p Un’aggravante - si legge nel provvedimento - che è stata più volte oggetto di interpretazione giurisprudenziale, nonché recentemente esclusa in relazione al delitto di omicidio nei confronti del convivente more uxorio, stante il divieto ex art. 25 Cost. di estendere analogicamente la portata di una norma di diritto penale sostanziale. Risulta difatti opinione consolidata che l’aggravante del rapporto di coniugio riposi sul valore morale, sociale e giuridico della qualità di coniuge per la quantità di doveri che comporta, non ricollegabili al rapporto di convivenza. Proprio sulla base di tali premesse, proseguono gli Ermellini, la Consulta aveva respinto la questione di legittimità dell’art. 577, comma 2, c.p., valutando non irrazionale la lamentata disparità di trattamento sanzionatorio a favore e tutela della posizione del coniuge rispetto a quella del convivente , tenuto conto del carattere di tendenziale stabilità del vincolo coniugale. Un orientamento, quest’ultimo, avvalorato non solo da ulteriori conformi pronunciamenti della Cassazione, ma anche dal recente intervento normativo Legge n. 4/2018 che, pur parificando la posizione del coniuge e del convivente di fatto, ha confermato l’esclusione dell’aggravante de quo in riferimento alla seconda situazione. Volontà di punire il colpevole, anche senza formule sacramentali. Respinta invece la censura sul difetto di querela. L’esclusione dell’aggravante in esame, infatti – chiarisce la Corte Suprema - non determina alcun effetto in punto di procedibilità. Mentre deve ritenersi configurabile la volontà di richiedere la punizione del colpevole, nella denuncia presentata dalla persona offesa, che presenta tutti i caratteri sostanziali della querela. Sul punto, è stato infatti ribadito il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui la verifica circa volontà di punire il reo non va ricollegata alla presenza di formule rituali o sacramentali, bensì al suo contenuto sostanziale desumibile anche dal complessivo comportamento della persona offesa. Sulla scorta di ciò, la Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello per la sola rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 dicembre 2017 – 23 marzo 2018, n. 13802 Presidente Vessichelli – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’Appello di Milano, all’udienza del 1 dicembre 2016 - in parziale riforma della sentenza, emessa con rito abbreviato condizionato all’esame della persona offesa, dal Tribunale di Milano in data 8 ottobre 2015 - ha condannato H.Z.E.M. alla pena di sei mesi di reclusione, così rideterminata la misura della sanzione penale dopo la riqualificazione del reato di maltrattamenti ai danni della convivente E.A.S. in quello di lesioni aggravate, ai sensi degli artt. 582 e 577, comma 2, cod. pen 2. Avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso il difensore dell’imputato, lamentando con un unico motivo violazione di legge in relazione agli artt. 582 e 577 cod. pen., nonché vizio di motivazione del provvedimento impugnato. Si osserva che, come pacificamente stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, l’aggravante dell’essere il reato di lesioni commesso nei confronti del coniuge, ai sensi dell’art. 577, comma 2, cod. pen., non è estensibile al convivente more uxorio , quale è la vittima nel caso di specie. Dall’esclusione dell’aggravante deriva la procedibilità a querela del reato così come accertato, che non supera la soglia della malattia di durata superiore ai venti giorni ai sensi dell’art. 582, comma 2, cod. pen Detta querela, tuttavia, non può ritenersi integrata dal verbale di denuncia presente agli atti processuali, in quanto priva dei caratteri necessariamente richiesti dall’art. 336 cod. proc. pen., tanto più che la persona offesa ha apertamente manifestato, nel corso dell’esame svolto all’udienza in sede di abbreviato condizionato, una intenzione opposta a quella di voler perseguire penalmente il proprio compagno. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato e deve, pertanto, essere accolto nei limiti che saranno precisati. 2. Il motivo unico dedotto dall’imputato si riferisce anzitutto alla ritenuta, erronea sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 577, comma 2, cod. pen Si assume che la condizione di aumento sanzionatorio collegato all’essere il reato di lesioni commesso nei confronti del coniuge non sarebbe estensibile, con effetti in malam partem , anche al convivente more uxorio , quale è pacificamente la vittima nel caso di specie, come risulta dalla stessa sentenza impugnata. L’eccezione convince, sebbene vadano svolte alcune considerazioni alla lettura del tema già proposta dalla giurisprudenza di legittimità. L’aggravante, infatti, anche sotto i profili contestati nel ricorso, è stata più volte oggetto di interpretazione da parte della Corte di cassazione ed è stata recentemente esclusa Sez. 1, n. 808 del 2/2/2016, dep. 2017, Zambrano, Rv. 268837 , in relazione al delitto di omicidio nei confronti del convivente more uxorio , per l’impossibilità di estendere la portata di una norma di diritto penale sostanziale con interpretazione analogica, vietata dall’art. 25 Cost La recente pronuncia, peraltro, si ispira ad orientamenti più risalenti della giurisprudenza di legittimità che hanno escluso l’estensione dell’aggravante, rilevando anche la ragionevolezza della disparità di trattamento tra le posizioni del coniuge e quella del convivente di fatto. Risulta, infatti, opzione tradizionale quella secondo cui l’aggravante del rapporto di coniugio riposa sul valore morale, sociale e giuridico della qualità di coniuge per la quantità dei doveri che comporta Sez. 1, n. 1622 del 20/10/1971, dep. 1972, Baracco, Rv. 120536 , non ricollegabili al rapporto di convivenza di fatto. Su tali premesse, si è anche ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 577, comma secondo, cod. pen., nella parte in cui prevede come aggravante la commissione del fatto contro il coniuge, sollevata, sotto il profilo della disparità di trattamento, rispetto alle posizioni dell’ex-coniuge e del convivente more uxorio , valutandosi non irrazionale la diversità del trattamento normativo e sanzionatorio approntato a tutela della posizione del coniuge, tenuto conto, in particolare, del carattere di tendenziale stabilità e riconoscibilità del vincolo coniugale Sez. 1, n. 6037 del 22/02/1988, Ranco, Rv. 178415 . Nel solco di tali affermazioni devono ritenersi pronunciate, altresì, anche alcune ulteriori decisioni. Sez. 5, n. 8121 del 14/02/2007, Asquino, Rv. 236525, con riferimento al reato di lesioni personali ed alla competenza del giudice di pace, ha ribadito che la circostanza aggravante di cui all’art. 577, comma 2, cod. pen. non può ritenersi integrata qualora la persona offesa sia convivente more uxorio . Sez. 1, n. 5378 del 15/02/1990, Iarossi, Rv. 184023 ha escluso la sussistenza di qualsiasi incompatibilità tra la circostanza aggravante generale prevista dall’art. 61 n. 11 cod. pen. e quella specifica del rapporto di coniugio di cui all’art. 577 dello stesso codice, dati il diverso fondamento oggettivo e la diversa ratio che caratterizzano le due fattispecie circostanziali l’aggravante prevista dall’art. 61 n. 11 cod. pen. ha natura oggettiva e consiste in una relazione di fatto tra l’imputato e la parte offesa che agevola la commissione del delitto il rapporto di coniugio è una circostanza speciale, di natura soggettiva, che ha il suo fondamento nel vincolo coniugale, al di fuori della ulteriore circostanza della eventuale coabitazione . Si è, infine, ritenuta irrilevante, ai fini della configurabilità della aggravante in esame, l’intervenuta separazione legale tra i coniugi, in quanto detto status non determina lo scioglimento del matrimonio Sez. 1, n. 53 del 09/01/1985, AA, Rv. 168181 Sez. 1, n. 42462 del 19/12/2006, Stasi, Rv. 235339 Sez. 1, n. 7198 del 01/02/2011, Mandolini, Rv. 249230 Sez. 1, n. 24820 del 21/10/2016, dep. 2017, Romanelli, Rv. 270264 , in tal modo evidenziandosi un dato formale di stretto collegamento dell’aggravante con la sussistenza legale del vincolo matrimoniale. Altra pronuncia, tuttavia, ha aperto alla possibilità, sebbene in condizioni di fatto del tutto peculiari, di leggere la disposizione in maniera più ampia, ritenendo configurabile l’aggravante nel caso di due coniugi stranieri con vincolo coniugale che sia stato contratto all’estero nel rispetto di discipline matrimoniali diverse da quelle italiane e che non sia stato riconosciuto nel nostro Paese cfr. Sez. 1, n. 29709 del 03/07/2012, Nouni, Rv. 253075 . L’affermazione ha fatto leva sulla esistenza di stabili vincoli affettivi tra agente e vittima, sebbene anche nel caso trattato è indubbio che un vincolo matrimoniale fosse in ogni caso presente, ancorché non riconosciuto. Deve rammentarsi che la stessa Corte costituzionale si è pronunciata nel senso della compatibilità con i valori costituzionali di norme che contemplino disparità di trattamento, in ambito penale, tra il coniuge ed il convivente di fatto. In relazione alla causa di non punibilità di cui all’art. 649 cod. pen. i giudici delle leggi hanno evidenziato che non è irragionevole o arbitrario che il legislatore adotti soluzioni diversificate per la famiglia fondata sul matrimonio, contemplata nell’art. 29 della Costituzione, e per la convivenza more uxorio, venendo in rilievo, con riferimento alla prima, a differenza che rispetto alla seconda, non soltanto esigenze di tutela delle relazioni affettive individuali, ma anche quella della protezione della istituzione familiare, basata sulla stabilità deí rapporti, di fronte alla quale soltanto si giustifica l’affievolimento della tutela del singolo componente sent. n. 352 del 2000 Corte cost., ma sul tema si vedano anche, nello stesso senso, la sentenza n. 8/1996 e l’ordinanza n. 121/2004 in materia sempre di cause di non punibilità . Anche con la più recente sentenza n. 149 del 2009 la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 384, primo comma, cod. pen., censurato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 Cost., nella parte in cui non contempla, tra i soggetti che possono beneficiare della citata scriminante, anche il convivente more uxorio . La Corte ha espresso nuovamente la propria convinzione circa la diversità esistente tra convivenza more uxorio e vincolo coniugale nella visione della stessa carta costituzionale, il secondo è oggetto della specifica previsione di cui all’art. 29 Cost., mentre la prima ha rilevanza nell’ambito della protezione dei diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost Tale diversità giustifica, secondo la Corte, che la legge possa riservare nei loro confronti trattamenti giuridici non omogenei. Più specificamente, la Corte costituzionale ha chiarito come, se è vero che, in relazione ad ipotesi particolari, si possono riscontrare tra i due istituti caratteristiche tanto comuni da rendere necessaria un’identità di disciplina, che la Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza, purtuttavia l’estensione di una causa di non punibilità comporta un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti che appartiene primariamente al legislatore. Si tratterebbe, secondo i giudici, di mettere a confronto l’esigenza della repressione di delitti contro l’amministrazione della giustizia con quella di tutela di beni attinenti alla vita familiare, senza che sia scontato che questi ultimi debbano avere necessariamente lo stesso peso rispetto alla famiglia di fatto piuttosto che alla famiglia legittima, per la quale sola esiste un’esigenza di tutela non solo delle relazioni affettive, ma anche dell’istituzione familiare come tale, di cui elemento essenziale caratterizzante è la stabilità. Ciò consente nel settore dell’ordinamento penale soluzioni legislative differenziate. Inoltre, conclude la Corte, una dichiarazione di incostituzionalità che assumesse la pretesa identità della posizione spirituale del coniuge e del convivente, oltre a rappresentare la premessa di quella totale equiparazione che non corrisponde alla visione fatta propria dalla Costituzione, determinerebbe ricadute normative consequenziali di portata generale che trascendono l’ambito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale. Tali ragioni, evidentemente ed ancor più, operano con riferimento alla valutazione legislativa differenziata esistente nella previsione penale di una aggravante del reato. Né avrebbe senso la proposizione di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 577 cod. pen. poiché il principio di legalità e il divieto di retroattività impedirebbero un intervento della Corte costituzionale successivo alla commissione del fatto che determinerebbe l’applicazione retroattiva di una aggravante, nonché una pronuncia additiva in malam partem . Le conclusioni sin qui svolte sono oggi avvalorate dal recente intervento normativo che ha parificato le posizioni del coniuge e del convivente di fatto, ai fini dell’aggravante ex art. 577 cod. pen. il riferimento è alla legge 11 gennaio 2018, n. 4 , confermando l’esclusione della seconda situazione soggettiva dall’orizzonte normativo previgente. Deve concludersi, pertanto, che in ogni caso, non era comunque consentita alla Corte d’Appello la possibilità di applicare l’art. 577, comma 2, cod. pen. al convivente di fatto dell’autore del reato, facendo riferimento la disposizione, nel momento in cui la condotta è stata commessa, soltanto allo status di coniuge e non essendo consentito estendere la portata di una norma penale sostanziale con interpretazione analogica in malam partem . La sentenza d’appello, peraltro, non si pone affatto il problema di motivare circa l’estensione di detta aggravante alla situazione del convivente di fatto-vittima, dando erroneamente per scontata la sua applicabilità nel caso del ricorrente. Alla esclusione della indicata aggravante, illegittimamente ritenuta sulla base delle svolte considerazione, deve provvedersi in questa sede, annullandosi in parte qua senza rinvio la sentenza impugnata. 3. Quanto al lamentato difetto di querela, che deriverebbe - secondo la tesi difensiva dalla esclusione della possibilità di applicare l’aggravante di cui all’art. 577, comma 2, cod. pen. nel caso di specie, a prescindere dalla considerazione che l’aggravante in esame non determina effetti in punto di procedibilità come risulta dalla clausola di esclusione di cui all’art. 582, comma 2, cod. pen. , deve ritenersi, invece, configurabile la volontà di richiedere la punizione del colpevole nella denuncia presentata dalla persona offesa, che corrisponde al nucleo essenziale ed alla valenza dell’atto in termini di ragione di procedibilità. Il motivo deve, pertanto, essere rigettato in parte qua . Nel verbale di denuncia, infatti, si ritrova la sostanza di una querela, né, come invece ritiene la difesa, si può desumere alcunché dalle dichiarazioni relative a stati d’animo della persona offesa per la vicenda nel suo complesso subita, espressi anche nei confronti del ricorrente. Del resto, costituisce orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità quello che collega la verifica della volontà di chiedere la punizione del colpevole non già alla presenza di formule rituali o sacramentali ma al suo contenuto sostanziale, desumibile dal complessivo comportamento della persona offesa, anche successivo al fatto Sez. 2, n. 30700 del 12/4/2013, De Meo, Rv. 255885 Sez. 4, n. 46994 del 15/11/2011, Bozzetto, Rv. 251439 Sez. 5, n. 15691 del 6/12/2013, dep. 2014, Anzalone, Rv. 260557 Sez. 5, ord. n. 15166 del 15/2/2016, Martinez, Rv. 266722 , con valutazione sottratta al sindacato di legittimità se rispondente alle regole della logica e del diritto sez. 3, n. 10254 del 12/2/2014, Q., Rv. 258384 Sez. 5, n. 8034 del 25/5/1999, Carta, Rv. 213806 . Anche laddove si è data prevalenza al dato univoco dell’intestazione dell’atto come querela, lo si è fatto in chiave di favor querelae cfr. Sez. 5, n. 42994 del 1479/2016, C., Rv. 268201 , dovendosi tendenzialmente preferire l’interpretazione che conferisce all’atto valore espressivo della volontà di chiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria, valorizzando di volta in volta il suo nomen formale sulla cui sufficienza di significato la persona denunciante può aver fatto plausibilmente affidamento , ovvero il suo contenuto sostanziale, al di là di formule sacramentali. In applicazione di tali principi, pertanto, il reato rimane procedibile, per cui si impone il rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, in ragione dell’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 577, comma 2, cod. pen. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla ritenuta circostanza aggravante che esclude e annulla altresì la stessa sentenza, per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.