Letale l’urto tra la motocicletta e l’automobile: ma di chi è la colpa?

La sentenza di appello che operi una distorsione” del profilo della colpa ritenuto nell’originaria imputazione e confermato dalla sentenza di primo grado è tenuta a un obbligo di motivazione rafforzato nella fattispecie, giudicando un caso di omicidio colposo per violazione delle regole cautelari in materia di circolazione stradale, il Tribunale di primo grado aveva ritenuto esservi un profilo di colpa per aver compiuto una manovra non consentita, mentre la Corte d’appello aveva ritenuto che la manovra fosse consentita sebbene imprudente .

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13323/18, depositata il 22 marzo. Il caso. Due soggetti, un automobilista e un motociclista, erano condannati per cooperazione in omicidio colposo in danno del trasportato sulla motocicletta. Secondo l’ipotesi accusatoria, confermata dalla prima sentenza di condanna, gli imputati, in cooperazione tra loro, per colpa generica e per violazione delle norme in materia di circolazione stradale, avevano cagionato la morte del trasportato sulla motocicletta che si trovava privo di casco. La dinamica veniva ricostruita così il motociclista stava percorrendo il lungomare ad una velocità desunta di oltre 80 km/h, superiore al limite imposto di 30 km/h e aveva colliso con l’auto che stava effettuando una manovra di svolta a sinistra. In seguito all’urto la vittima era sbalzata in avanti di circa dieci metri ed era deceduta per le gravissime lesioni subite a causa del violento impatto al suolo. La manovra non era vietata ma l’automobilista doveva essere prudente. La Corte d’Appello confermava la responsabilità ma ridimensionava la misura del concorso di colpa ritenendo automobilista e motociclista responsabili al 50%. In particolare si osservava che la manovra effettuata dall’automobilista non era vietata perché vi era la presenza di un parcheggio sulla sinistra della strada, percorribile in un solo senso di marcia. Tuttavia la Corte territoriale riteneva che l’automobilista avrebbe dovuto adottare tutte le cautele necessarie per assicurarsi che non sopraggiungessero altri mezzi, anche considerando che il parcheggio si trovava all’uscita di una curva a destra costeggiata da un alto muro che avrebbe dato scarsa visibilità ai veicoli provenienti da tergo. Secondo i Giudici d’Appello, dunque, l’automobilista avrebbe dovuto rallentare, guardare nello specchietto retrovisore e in un quello laterale e verificare l’assenza di veicoli provenienti da tergo anche nel compiere le manovre di parcheggio avrebbe dovuto adottare analoga prudenza dovendo evitare, muovendosi a retromarcia, di occupare la sede stradale fino a quando sopraggiungevano altri veicoli. Siamo sicuri che l’auto fosse in movimento? L’automobilista ricorre in Cassazione deducendo che, al momento dell’impatto, l’auto si trovasse in posizione di quiete e quasi per intero nell’area di parcheggio il punto di collisione si trovava proprio sulla striscia blu di delimitazione dell’area. Invero il consulente del pubblico ministero aveva negato vi fossero elementi per affermare che l’auto fosse in movimento. Ulteriormente si contesta la non prevedibilità della condotta imprudente del motociclista che viaggiava ad alta velocità, sul margine sinistro della carreggiata sulle strisce blu, consapevole di trasportare un passeggero privo di casco. Il discrimine tra cooperazione colposa e concorso di cause indipendenti. In primis , la Corte di Cassazione adita dall’automobilista delimita gli ambiti concettuali tra la cooperazione nel delitto colposo e il concorso di cause indipendenti per ricondurre, in astratto, entro tale ultima categoria, il fatto portato al suo esame. La cooperazione nel delitto colposo presuppone la necessaria consapevolezza dei cooperanti nella convergenza dei rispettivi contributi all’incedere di una comune procedura in corso non è invece necessaria la consapevolezza della natura colposa dell’azione altrui né la conoscenza delle identità delle persone che cooperano, essendo invece sufficiente la coscienza dell’altrui partecipazione nello stesso reato. Quest’ultimo requisito è inteso come consapevolezza, da parte dell’agente, del fatto che altri soggetti – in virtù di un obbligo di legge, di esigenze organizzative collegate alla gestione di un rischio, o anche solo in virtù di una contingenza oggettiva e condivisa – sono investiti di una determinata attività da cui deriva un’interazione rilevante anche sul piano cautelare nel senso che ciascuno è tenuto a rapportare la propria condotta a quella degli altri soggetti coinvolti. Ciò premesso, il caso in verifica non è inquadrabile nella cooperazione colposa bensì nelle condotte colpose indipendenti tra loro autonome pur se concomitanti. La sentenza è da annullare con rinvio per vizio motivazionale. Con il motivo di gravame la difesa aveva contestato la ricostruzione di primo grado assumendo, al contrario, che l’auto fosse ferma e che fosse stato il ciclomotore ad impattare contro la stessa a velocità sostenuta. La Corte territoriale, a fronte di tale censura, ha confermato che l’automobilista intendeva eseguire ed effettivamente aveva eseguito una svolta a sinistra e non una svolta a U. L’addebito originario per colpa mosso nel convincimento che l’automobilista avesse effettuato una manovra non consentita è stato implicitamente modificato dalla Corte d’Appello che ha ritenuto che la manovra fosse consentita, sebbene imprudente. Secondo la Corte di Cassazione, però, si sarebbe verificata una distorsione” del profilo della colpa rispetto al campo di imputazione, distorsione che avrebbe dovuto indurre i giudici di appello ad una motivazione approfondita e rafforzata, non essendosi limitata a confermare premesse, argomentazioni e conclusioni della sentenza di primo grado. L’argomentazione è basata su dati scarsi e apodittici. La Suprema Corte, nell’analisi della sentenza impugnata, evidenzia la carenza di argomentazione e di dati concreti a sostegno della tesi della Corte territoriale. Non si ravvisano nel provvedimento elementi da cui desumere che l’automobilista, nell’effettuare la manovra, non avesse osservato le cautele necessarie né è stato accertato da quale momento la moto sarebbe stata avvistabile. Neppure si è spiegato quale sarebbe il rapporto tra la manovra di controllo richiesta all’automobilista di scongiurare la sopravvenienza di eventuali veicoli provenienti da tergo con l’utilità di tale controllo, considerato che le strisce blu erano sulla sinistra e potevano essere raggiunte solo con uno spostamento dell’auto trasversale alla strada. Infine non è chiarito, sotto il profilo controfattuale, se il comportamento prudenziale indicato dalla Corte d’appello, sarebbe stato idoneo ad evitare l’impatto.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 8 febbraio – 22 marzo 2018, n. 13323 Presidente Fumu – Relatore Menichetti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 13 maggio 2016 la Corte d’Appello di Bari, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Trani nei confronti di P.T. e M.P., imputati del reato di cui agli artt. 113, 589 c.p., riduceva la pena inflitta al M. e quantificava il concorso di colpa degli imputati in misura del 50% ciascuno. 2. Secondo l’ipotesi accusatoria, gli imputati, in cooperazione tra loro, avevano cagionato, per colpa generica e per violazione delle norme in materia di circolazione stradale, la morte di C.V., trasportato, privo di casco, sulla moto condotta dal Tortora questi, percorrendo il Lungomare omissis , in direzione della discoteca omissis , ad una velocità desunta di 83 km/h, superiore al limite imposto di 30 km/h, aveva colliso all’altezza del civico 315 con l’auto condotta dal M., il quale si era posto come ostacolo al transito del mezzo poiché stava effettuando una manovra si svolta a sinistra, non consentita e non completata in seguito all’urto, il C. era stato sbalzato in avanti di circa 10 mt. ed era deceduto per le gravissime lesioni subite a seguito del violento impatto al suolo ed entrambi i conducenti avevano riportato lesioni. 3. Con particolare riferimento alla posizione del M., odierno ricorrente, la Corte territoriale riteneva accertata la responsabilità dell’imputato poiché, al momento del sopraggiungere della moto, la sua auto si trovava in posizione trasversale rispetto alla strada, sporgendo al di fuori delle strisce blu delimitanti il parcheggio situato sulla sinistra affermava poi che al momento dell’impatto l’auto era in movimento in considerazione della posizione sterzata delle ruote, caratteristica della manovra di svolta a sinistra. Osservavano i giudici di appello che, pur trattandosi di una manovra non vietata, proprio per la presenza di un parcheggio sulla sinistra della strada, percorribile in un solo senso di marcia, l’automobilista avrebbe dovuto adottare tutte le cautele necessarie per assicurarsi che non sopraggiungessero altri mezzi, anche per il fatto che si trovava all’uscita di una curva a destra costeggiata da un alto muro, che avrebbe dato scarsa visibilità ai veicoli provenienti da tergo. Dunque il M., secondo quanto affermato in sentenza, avrebbe dovuto rallentare, guardare nello specchio retrovisore ed in quello laterale e, solo dopo aver verificato l’assenza di veicoli provenienti da tergo avrebbe potuto effettuare la manovra di svolta analoga prudenza avrebbe poi dovuto adottare per compiere le ulteriori manovre volte a parcheggiare l’auto all’interno delle strisce blu, per rispettare le delimitazioni del posto da occupare, dovendo evitare, muovendosi a retromarcia, di occupare la sede stradale fintanto che altri veicoli sopraggiungevano. 4. Ha proposto ricorso per cassazione il M., tramite il difensore di fiducia, per carenza ed manifesta illogicità della motivazione in punto di responsabilità penale e vizio per travisamento di elementi decisivi di prova. Deduce in particolare che al momento dell’impatto l’auto si trovava in posizione di quiete e quasi per intero nell’area adibita a parcheggio e che il punto di collisione riportato nelle foto in atti si trovava proprio sulla striscia blu di delimitazione di tale area che il consulente del P.M., Ispettore di P.S. B.G., alla domanda se vi fossero elementi per affermare che l’auto era in movimento, aveva risposto negativamente che non era prevedibile in concreto la imprudente condotta del T., il quale viaggiava ad elevata velocità, sul margine sinistro della carreggiata sulle strisce blu, consapevole di portare un passeggero privo di casco che il muro bianco sulla destra, oltre il quale vi è la curva e poi il punto di impatto, se aveva impedito al motociclista di vedere oltre, allo stesso modo non aveva consentito all’automobilista la visuale all’indietro. Per tali ragioni chiede l’annullamento della sentenza per mancanza di colpa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. È stato contestato al M., in cooperazione colposa con P.T., di aver cagionato la morte di C.V Prima di esaminare lo sviluppo argomentativo della sentenza impugnata, si impone come prima osservazione in diritto l’inconferente richiamo, nel capo di imputazione, all’art. 113 c.p Più volte questa Corte Suprema - nel delimitare gli ambiti concettuali tra cooperazione nel delitto colposo e concorso di cause colpose indipendenti - ha affermato che la cooperazione nel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti nella convergenza dei rispettivi contributi all’incedere di una comune procedura in corso Sez. 4, n. 49735 del 13/11/2014, rv. 261183 , e che per aversi cooperazione nel delitto colposo non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell’altrui condotta, né la conoscenza delle identità delle persone che cooperano, essendo sufficiente la coscienza dell’altrui partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza, da parte dell’agente, del fatto che altri soggetti - in virtù di un obbligo di legge, di esigenze organizzative correlate alla gestione del rischio, o anche solo in virtù di una contingenza oggettiva e pienamente condivisa - sono investiti di una determinata attività, con una conseguente interazione rilevante anche sul piano cautelare, nel senso che ciascuno è tenuto a rapportare prudentemente la propria condotta a quella degli altri soggetti coinvolti Sez. 4, n. 15324 del 4/2/2016, Rv. 266665 . Sulla scorta di tali consolidati principi appare allora di immediata evidenza che gli imputati hanno posto in essere, rispetto all’evento lesivo, condotte colpose indipendenti, tra loro autonome pur se concomitanti, e non in cooperazione tra loro. 3. Fatta tale doverosa premessa, si osserva che la condotta colposa descritta a carico del ricorrente consisteva nell’aver effettuato, in un tratto a senso unico di marcia, in violazione dell’art. 154/1 e 8 CdS, una manovra di svolta a sinistra non completata e con il probabile fine di invertire il senso di marcia, che determinava comunque intralcio al transito del mezzo condotto dal T L’estremo di colpa attribuito al T. invece era indicato nella eccessiva velocità, di molto superiore al limite imposto nel tratto di strada interessato al sinistro ed in ogni caso non adeguata rispetto alla conformazione dei luoghi. Il giudice di prime cure come riportato in sentenza dai giudici di appello confermava l’ipotesi accusatoria, affermando che l’autovettura Passat, percorrendo il lungomare nell’unico senso consentito, giunto all’altezza del civico 315, aveva avviato una manovra di svolta a sinistra per invertire il proprio senso di marcia, nonostante la direzione unica di circolazione, posizionandosi trasversalmente rispetto all’asse stradale ed in parte impegnando la zona delimitata dalle strisce blu, collocate sulla sinistra. In quel frangente era sopraggiunto il motociclo, il quale, nonostante la manovra di emergenza frenata , era andato a collidere con la parte anteriore contro la parte centro-posteriore dell’auto. Di fronte al motivo di gravame con cui la difesa aveva contestato tale ricostruzione, assumendo invece che l’auto fosse ferma e che dunque fosse stato il ciclomotore ad impattare contro la stessa a causa della velocità sostenuta alla quale viaggiava, la Corte di Bari ha affermato che il M. intendeva eseguire, ed aveva effettivamente eseguito, una svolta a sinistra e non una svolta ad U, trattandosi di strada a senso unico, essendo verosimile e ragionevole che egli intendesse effettuare una sosta in prossimità di uno dei civici presenti sulla sinistra della strada e parcheggiare l’auto nella zona delimitata da strisce blu a ciò adibita, manovra consentita e, del resto, unica idonea a raggiungere il parcheggio. Dunque, di fronte ad un addebito di colpa, originariamente ritenuto nell’aver effettuato una manovra non consentita, la condotta colposa ritenuta dalla Corte di appello è stata invece di aver eseguito in maniera imprudente una manovra consentita di spostamento a sinistra per parcheggiare. Tale distorsione del profilo di colpa rispetto al capo di imputazione, avrebbe dovuto indurre i giudici del gravame ad una motivazione approfondita e rafforzata, rispetto a quella del Tribunale. L’impugnata sentenza invece non soddisfa l’obbligo motivazionale, attestandosi su dati scarsi ed apodittici. La Corte territoriale dà atto della incertezza obiettiva sul fatto che l’auto fosse ferma o in movimento, pur propendendo per questa seconda ipotesi data la posizione di sterzata delle ruote, che comunque non appare un elemento di per sé dirimente. Venendo poi ad inquadrare l’imprudenza del M., considera che l’automobilista, prima di eseguire la manovra, seppure non vietata, avrebbe dovuto adottare tutte le cautele necessarie per assicurarsi che da tergo non sopraggiungessero altri mezzi, e ciò a maggio ragione per il fatto che la curva a destra ed il muro che costeggiava, sempre a destra, la carreggiata avrebbe dato scarsa visuale a colui che fosse giunto da tergo. Dunque - osserva ancora la Corte - egli avrebbe dovuto rallentare, azionare l’indicatore di direzione, guardare nello specchietto retrovisore ed in quello laterale e, solo dopo aver verificato l’assenza di veicoli provenienti da tergo, avrebbe potuto effettuare la manovra di svolta. Analoga prudenza avrebbe poi dovuto adottare per compiere le ulteriori manovre volte a parcheggiare l’auto all’interno delle strisce blu, per rispettare le delimitazioni dei posti da occupare, dovendo evitare, muovendosi a retromarcia, di occupare la sede stradale fintanto che altri veicoli sopraggiungevano. Ridimensionava poi la misura del concorso di colpa attribuita al ricorrente, sul rilievo che così come il T. aveva avuto percezione dell’esistenza dell’ostacolo rappresentato dall’auto del M., tanto da aver frenato, parimenti il M., in posizione speculare, si era avveduto del sopraggiungere del motoveicolo e ciò nonostante aveva compiuto la manovra di svolta, confidando di poterla portate a compimento con successo. Tale ragionamento, nella sua astratta logica, non è ancorato a dati concreti. Innanzi tutto non sono stati evidenziati in sentenza elementi da cui desumere che il M., nell’effettuare la manovra, non avesse osservato le cautele necessarie, posto che non è stato accertato da quale momento la moto, che con condotta imprevedibile usciva ad elevata velocità da una curva coperta volgente a destra fiancheggiata da un alto muro, sarebbe stata avvistabile, né è spiegata l’affermazione secondo la quale il M. si era avveduto del sopraggiungere della moto ed aveva effettuato ugualmente la manovra, sicuro di poterla evitare. Sotto altro profilo risulta carente la motivazione con riferimento al rapporto tra la manovra di controllo di eventuali veicoli provenienti da tergo, richiesta all’automobilista, e la possibile utilità di un tale controllo, dato che comunque le strisce blu erano situate sulla sinistra e potevano essere raggiunte solo con uno spostamento dell’auto trasversale alla strada. Neppure è dato comprendere se il comportamento prudenziale indicato dalla Corte di Bari rallentamento, inserimento della freccia a sinistra, sosta sulla corsia di marcia fino alla verifica dell’assenza di mezzi provenienti da tergo sarebbe stato, sotto il profilo controfattuale, idoneo ad evitare l’impatto, consentendo alla moto di superare l’auto sulla sinistra. Ancora, la circostanza che al momento dell’urto il M. fosse ancora in fase di parcheggio, e dunque stesse compiendo manovre a marcia indietro di aggiustamento in corrispondenza delle strisce blu, appare una mera illazione, disancorata da quanto riferito dal consulente del P.M., Isp. B., il quale aveva dichiarato di non avere elementi per dire che l’auto fosse in movimento, tanto è vero che - secondo quanto asserisce il ricorrente nel riportare i passi salienti della deposizione - si trovava azzeccata al muro . 4. Le evidenziate incongruenze e carenze motivazionali portano all’annullamento dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Bari per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bari per nuovo giudizio.