Aspetti “matematici” del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente

In virtù della specifica ratio del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, non sussiste per il giudice del riesame la necessità di accertare l’esatta corrispondenza tra il profitto del reato ed il quantum sequestrato.

Sul tema si è espressa la Suprema Corte con la sentenza n. 13116/18, depositata il 21 marzo. Il caso. Il GIP disponeva il sequestro preventivo di una somma di denaro quale profitto dei reati di natura fiscale contestati agli amministratori di una s.r.l Il Tribunale disponeva, a parziale riforma del decreto del GIP, il dissequestro delle somme giacenti sui conti correnti intestati alla società per salvaguardare la continuità dell’attività. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i due imputati. Valore dei beni sequestrati. La Corte di legittimità coglie l’occasione per ribadire che, in ragione della specifica ratio del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, non sussiste la necessità di accertare l’esatta corrispondenza tra il profitto del reato ed il quantum sequestrato. Non è infatti riscontrabile alcun onere preventivo di procedere a perizia estimativa sui beni oggetto del sequestro, essendo il giudice tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da sottoporre ad ablazione e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al PM, rimanendo tali questioni precluse alla cognizione del Tribunale del riesame. Sequestro della pensione. Uno dei ricorrenti lamenta inoltre l’illegittimità del sequestro eseguito sul suo contro corrente in cui viene accredita la pensione, pari a poco più di 500 euro mensili. La doglianza risulta manifestamente infondata in quanto la giurisprudenza di legittimità è ferma nel sancire che il divieto di cui all’art. 545 c.p.c. di pignoramento delle somme percepite a titolo di credito pensionistico in misura eccedente un quinto del loro importo, non trova applicazione nel caso in cui le somme siano già state corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo patrimonio mobiliare. Procedura di concordato preventivo. Risulta infine infondata anche l’ultima doglianza relativa al deposito dell’istanza di ammissione della società alla procedura di concordato preventivo, che renderebbe indisponibili i beni aziendali al momento all’esecuzione del sequestro. Il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto di reati tributari, ricorda il Collegio, prevale sui diritti di credito vantanti sul medesimo bene a seguito di ammissione a concordato preventiva a causa dell’obbligatorietà della misura ablatoria. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spesa processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 ottobre 2017 – 21 marzo 2018, n. 13116 Presidente Cavallo – Relatore Galterio Ritenuto in fatto A fronte del decreto di sequestro preventivo disposto dal Gip presso il Tribunale di Terni sulla somma di Euro 4.447. 304, quale profitto dei reati, ovvero sui beni in cui detto profitto si è trasformato, nei confronti di Carlo e I.G. , indagati, quali amministratori della I.C. s.r.l., dei reati di cui agli artt. 10 bis e 10 ter d.lgs. 74/2000 per omesso versamento di IVA e di ritenute certificate relative alle annualità di imposta 2012-2015, il Tribunale di Terni con ordinanza in data 4.7.2017 ha disposto, a parziale riforma del provvedimento impugnato, il dissequestro delle somme giacenti sui conti correnti intestati alla società al fine di salvaguardare la sopravvivenza dell’azienda consentendole la prosecuzione dell’attività economica ed ha confermato per il resto la disposta misura cautelare. Avverso la suddetta sentenza entrambi gli imputati hanno congiuntamente proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando quattro motivi. Con il primo motivo censurano, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’articolo 12-bis d.lgs. 74/2000 e all’articolo 321 c.p.p. e al vizio motivazionale, la somma individuata quale profitto dei reati contestati per aver il Tribunale omesso di considerare i versamenti eseguiti dalla società nella misura di Euro 189.373 in favore di Equitalia a seguito degli accordi per la rateizzazione del debito tributario. Deducono che dovendo il profitto dei reati essere individuato nel risparmio di spesa derivante dal mancato versamento IVA e delle ritenute, gli importi già versati a seguito degli accordi per la sanatoria avrebbero dovuto essere necessariamente detratti venendosi altrimenti a determinare un’inammissibile duplicazione sanzionatoria in contrasto con il principio in forza del quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito con l’azione delittuosa. 2. Con il secondo motivo deducono che nessuna valutazione era stata effettuata del valore dei beni sequestrati, come invece la proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare avrebbe imposto. 3. Con il terzo motivo deducono che in nessun conto era stata tenuta la circostanza, debitamente documentata, che sul conto corrente postale n. intestato a I.C. affluiscono soltanto gli accrediti per emolumenti pensionistici che ammontando alla somma di appena Euro 522 mensili non potevano, in quanto inferiori al soddisfacimento delle più elementari necessità di vita, essere sottoposti a sequestro. 4. Con il quarto motivo censurano la misura cautelare in quanto disposta successivamente al deposito dell’istanza di ammissione della società alla procedura di concordato preventivo, di talché al momento dell’esecuzione del sequestro gli indagati non avevano più la disponibilità dei beni aziendali, destinati a garantire la continuità dell’attività e la fattibilità del piano di rientro da presentare ai creditori. Aggiungono inoltre che in relazione ad annualità di imposta precedenti a quelle in esame in altri procedimenti si era pervenuti all’assoluzione di I.C. per insussistenza dell’elemento psicologico, senza che neppure di tale circostanza il giudice del riesame avesse tenuto alcun conto in punto di fumus commissi delicti. Considerato in diritto 1. Il primo motivo deve ritenersi inammissibile per carenza di specificità non risulta infatti né dal ricorso né dal provvedimento impugnato che le rateizzazioni in corso con Equitalia, in tal modo genericamente indicate, concernessero, quand’anche riferite alle medesime annualità di imposta, le omissioni contestate, ovverosia il mancato versamento dell’IVA e delle ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione. Emerge, al contrario, dalla stessa formulazione del ricorso, secondo il quale la documentazione relativa era facilmente acquisibile in sede di indagine presso la società di riscossione , che neppure innanzi ai giudici del merito fosse stata prodotta dagli interessati la documentazione relativa all’accordo per la rateizzazione con le omissioni contestate, che comunque, come correttamente rilevato dal Tribunale, incide solo sull’ammontare massimo sequestrabile. Conseguentemente di nessuna censura è passibile l’ordinanza del Tribunale del riesame che, avendo disposto il sequestro per equivalente in relazione a reati tributari, correttamente ha commisurato la disposta misura cautelare all’ammontare dell’imposta evasa la quale, configurando il vantaggio patrimoniale derivato dall’illecito, necessariamente si identifica con nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo ex multis Sez. 3, 23 ottobre 2012, n. 45849 , senza tener conto degli interessi maturati né alle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario. 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Proprio in ragione della specifica finalità perseguita dal sequestro finalizzato alla confisca per equivalente non vi è necessità di accertare l’esatta corrispondenza fra profitto e quantum sequestrato, non vigendo alcun onere preventivo di effettuare perizia estimativa sui beni da sottoporre a sequestro, tanto più che la misura risulta essere stata eseguita, in conformità all’ordine impartito per la somma di Euro 4.447.304 quale profitto dei reati, o dei beni fungibili o infungibili in cui tale profitto si sia trasformato , in primis sui saldi attivi dei c/c intestati alla società e alle persone fisiche degli indagati e solo successivamente, per la parte rimasta incapiente, su quote di immobili, beni mobili registrati ed un immobile nella titolarità di costoro. Invero, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto, secondo quanto già ritenuto da questa Corte, soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero Sez. 3, n. 10567 del 12/07/2012 - dep. 07/03/2013, Falchero Rv. 254918 Sez. 3, n. 37848 del 07/05/2014 - dep. 16/09/2014, Chidichimo, Rv. 260148 . Malgrado si registrino in seno a questa Corte pronunce in senso difforme, siffatto principio deve essere riaffermato nella fattispecie in esame, escludendosi che al Tribunale del riesame competa il potere di compiere accertamenti sul valore dei beni sequestrati allorquando il ricorrente si sia limitato, così come risulta dal presente ricorso, a lamentare del tutto genericamente la violazione del principio di proporzionalità tra il valore dei beni sequestrati e l’ammontare del profitto del reato cui doveva essere commisurata la misura ablatoria disposta ai suoi danni, senza indicare alcuno specifico elemento fattuale o documentale a fondamento della dedotta sproporzione. 3. La stessa sorte segue anche il terzo motivo con il quale si lamenta l’illegittimità del sequestro eseguito sul conto corrente dell’indagato I.C. , sul quale gli viene accreditata la pensione, pari ad appena Euro 522 mensili. L’impignorabilità invocata dal ricorrente sul presupposto della destinazione di tali somme al soddisfacimento delle proprie esigenze di mantenimento non trova applicazione nel caso di specie, trattandosi di sequestro disposto non già sugli emolumenti corrisposti al destinatario della misura cautelare a titolo di pensione, bensì sulle somme in giacenza sul conto corrente a costui intestato, la cui provenienza è priva di rilievo, una volta che vengano ivi accantonate. In tal senso si è già pronunciata questa Corte affermando che,in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il divieto, stabilito dall’articolo 545 cod. proc. civ., di pignoramento delle somme percepite a titolo di credito pensionistico - o ad esso assimilato - in misura eccedente un quinto del loro importo non opera quando le somme siano già state corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo patrimonio mobiliare. Sez. 3, n. 44912 del 07/04/2016 - dep. 25/10/2016, Bernasconi, Rv. 268771 . 4. Manifestamente infondato è, infine, anche il quarto motivo. Avendo questa Corte già affermato che il sequestro preventivo funzionale alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari, prevista dall’articolo 12-bis, comma primo, del D.Lgs. n. 74 del 2000, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto della ammissione al concordato preventivo, attesa l’obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro Sez. 3, n. 28077 del 09/02/2017 - dep. 07/06/2017, Marcantonini e altro, Rv. 270333 , siffatto principio, volto a sottolineare la prevalenza dell’esigenza di inibire l’utilizzazione di un bene connesso alla commissione di un reato in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato, vale a fortiori nell’ipotesi in cui sia stata solo presentata da parte dello stesso soggetto destinatario della misura cautelare penale l’istanza di ammissione innanzi al giudice fallimentare, senza che neppure risulti che questi abbia assentito all’apertura della procedura concorsuale. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile. Segue a tale esito la condanna, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.