La maldestra scelta difensiva di un “avvocato” imputato per esercizio abusivo della professione forense

Un sedicente avvocato veniva sottoposto a procedimento penale per abusivo esercizio della professione forense e, allo scopo di conseguire l’impunità dal reato, produceva in giudizio una delibera del Consiglio dell’Ordine di Napoli contraffatta.

La vicenda è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione con, con la sentenza n. 12402/18, depositata il 16 marzo, ha confermato la condanna della Corte d’Appello di Napoli. L’iniziativa difensiva dell’”avvocato” aveva infatti comportato un’ulteriore condanna – in primo e in secondo grado - per false dichiarazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria e falsità materiale. Delibera contraffatta. La Corte di legittimità esclude in primo luogo l’ammissibilità delle censure relative alla notifica atteso che il ricorrente non specifica affatto quale sarebbe l’atto inficiato dal vizio dedotto . Correttamente inoltre la Corte d’Appello ha riconosciuto la piena sussistenza di entrambi i reati a carico del ricorrente da un lato, quello della contraffazione della delibera del COA di Napoli, documentalmente provata nella sua materialità, dall’altro l’uso della stessa e della falsa autocertificazione della qualità di avvocato. In conclusione, sottolineando le farraginose rimostranze dell’imputato circa la pretesa aleatorietà del quadro indiziario e l’assenza di riscontri a supporto della sua ribadita colpevolezza , la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 febbraio – 16 marzo 2018, n. 12402 Presidente Petruzzellis – Relatore Tronci Ritenuto in fatto 1. P.V., con atto a propria firma, interpone ricorso per cassazione avverso il provvedimento indicato in epigrafe, con cui la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado, di condanna del prevenuto a pena di giustizia in relazione ai reati di cui agli artt. 374 bis e 477-482 cod. pen., per aver contraffatto la delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli indicata nel capo b della rubrica, che produceva quindi, unitamente ad un’autocertificazione mendace, nell’ambito del giudizio di appello instaurato a seguito della condanna riportata in primo grado per abusivo esercizio della professione forense, al fine appunto di conseguire l’impunità dal reato previsto e punito dall’art. 348 cod. pen. cfr. l’imputazione sub a . 2. Assume in proposito il ricorrente, sulla scorta di un atto di non facile intelligenza - qui sintetizzato nei limiti propri dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. - che la sentenza impugnata sarebbe illegittima A per violazione degli artt. 546 cod. proc. pen., per non avere affrontato, con la dovuta attenzione, le questioni giuridiche, di natura sostanziale, che erano state sottoposte alla attenzione del giudice del gravame dall’eccepita nullità della notifica, di cui subito in fra, a quella discendente dall’avvenuta difesa del prevenuto ad opera di persona non legittimata al patrocinio legale , per via della sospensione dall’esercizio della professione legale comminata all’avv. Gennaro D’Agostino dalla dedotta non riferibilità all’imputato del falso per cui è processo, in quanto depositato in udienza in sua assenza, comprovata dalla sua dichiarazione di contumacia, alla molteplicità delle delibere del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, asseritamente l’una diversa dall’altra e perciò inattendibili, di contro alla documentalmente dimostrata iscrizione del ricorrente nel registro dei praticanti abilitati al patrocinio B per nullità della notifica, eseguita a mani della propria sorella, Annamaria, soggetto non convivente ed abitante in abitazioni diverse e con relativo civico diverso , nonché per inutilizzabilità delle prove che hanno contribuito ad affermare la penale responsabilità dell’imputato per violazione dell’art. 355 c.p.p. , malgrado la piana e lineare condotta tenuta C per il carattere asseritamente presuntivo delle affermazioni poste a base della declaratoria di condanna, rimaste prive di riscontro oggettivo inconfutabile D per l’aleatorietà e la valenza meramente presuntiva del quadro indiziario in atti, che si risolve in illogicità e contraddittorietà della motivazione E per l’erroneità della mancata esclusione della parte civile, in violazione dell’art. 80 del codice di rito F per la erronea applicazione e la inosservanza delle disposizioni relative alla citazione diretta a giudizio a seguito di richiesta modifica dell’imputazione ai sensi dell’art. 516, comma 1, c.p.p. - art. 516, comma 1 ter, c.p.p. G per l’omessa applicazione del principio del ne bis in idem , nonostante il processo già celebratosi per i medesimi fatti ed asseritamente definito con sentenza di assoluzione pronunciata da questa Corte, con sentenza del 29 aprile 2015. Considerato in diritto 1. Il ricorso - confuso, costellato di non consentiti riferimenti a dati fattuali e, si ripete, non facilmente decifrabile - non si sottrae ad una preliminare e doverosa verifica d’inammissibilità. 2. Del tutto generica è la pretesa illegittimità della notifica v. sopra, punto B del paragrafo 2 del precedente RITENUTO IN FATTO , atteso che il ricorrente non specifica affatto quale sarebbe l’atto inficiato dal vizio dedotto, per di più limitandosi a rappresentare che la sorella, che avrebbe ricevuto tale imprecisato atto, non risulta con sé convivente, ma senza nulla dire in ordine alle dichiarazioni da quest’ultima rese e dove la notifica sia concretamente avvenuta. Ed altrettanto deve dirsi in ordine alla pretesa inosservanza delle disposizioni relative alla citazione diretta a giudizio , in conseguenza di una non meglio precisata richiesta di modifica dell’imputazione , di cui si sconosce l’esistenza e l’esito v. sopra, loc. cit., punto F . Ancora, eguale connotazione di radicale genericità caratterizza l’eccepita violazione del principio del ne bis in idem ivi, punto G , per il quale la citata sentenza di questa Corte - peraltro neppure allegata al ricorso - non consente in alcun modo di affermare l’identità del fatto di cui all’art. 374 bis cod. pen., in quella sede assorbito in seno al reato di esercizio abusivo della professione, dichiarato estinto per prescrizione, al pari dei numerosi altri oggetto di quel procedimento si consideri, anzi, che in detta pronuncia, onde dar conto dell’applicata causa estintiva, si individua la data più prossima di commissione del reato più grave nel febbraio 2007 . E tanto vale anche con riferimento alla non meglio comprensibile inutilizzabilità, dedotta con indistinto riferimento alle prove che hanno contribuito ad affermare la penale responsabilità dell’imputato cfr. la seconda parte del già citato punto B di cui sopra . 3. Per il resto, la Corte distrettuale ha ribadito la piena sussistenza di entrambi i reati a carico del P. , dunque, tanto della contraffazione della delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, documentalmente provata nella sua materialità, quanto dell’uso della stessa e della egualmente falsa autocertificazione di cui al reato ex art. 374 bis cod. pen., senza meno riferibili direttamente all’imputato, al di là della sua formale contumacia, sia perché unico soggetto interessato alla loro produzione, sia per aver formato e prodotto tale autocertificazione in altro processo a suo carico. E si è altresì soffermata sulla inconsistenza della tesi dell’avvenuta celebrazione del giudizio di secondo grado in assenza della difesa, significando come all’epoca il difensore del P. , avv. D’Agostino, fosse semplicemente sottoposto a procedimento disciplinare di esito ignoto , essendo comunque affiancato, nel patrocinio dell’odierno ricorrente, da altro legale, pure nominato di fiducia, in persona dell’avv. Perrotta. Discende da ciò che anche le farraginose rimostranze dell’imputato circa la pretesa aleatorietà del quadro indiziario e l’assenza di riscontri a supporto della sua ribadita colpevolezza v. sopra, loc. cit., punti D e C si palesano comunque, oltre che generiche, come manifestamente infondate, essendo per l’effetto totalmente inconsistente anche la denunciata violazione dell’art. 546 del codice di rito ivi, punto A . Infine, per ciò che attiene alla mancata esclusione della parte civile, con riferimento alle relative statuizioni v. sopra, punto E , trattasi di questione che, a tacer d’altro, lo stesso ricorrente dà atto aver dedotto per la prima volta nel corso del processo d’appello e, dunque, senza meno tardivamente. 4. All’anticipata declaratoria, seguono le statuizioni previste dall’art. 616 cod. proc. pen., nella misura di giustizia di seguito indicata. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.