Maltrattamenti all'asilo: configurabile il concorso per omissione della maestra reticente

Il concorso nel reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. può configurarsi anche nell’ipotesi in cui il soggetto garante, nella fattispecie un’educatrice di un asilo, non denunci i maltrattamenti posti in essere dalle colleghe.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 10763/18, depositata il 9 marzo. Il caso. La Corte d’Appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale di Ravenna, condannava un’educatrice comunale presso un asilo nido per omessa denuncia ex art. 361 c.p., anziché per maltrattamenti di famiglia ex art. 572 c.p., per aver mantenuto il silenzio in relazione alla conoscenza dei maltrattamenti posti in essere all’interno dell’istituto ai danni di minori. Avverso la sentenza della Corte distrettuale ricorrono per cassazione i genitori di una minore, denunciando la sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia. Maltrattamenti in famiglia. Il Supremo Collegio ribadisce non solo che il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. può essere realizzato anche mediante concorso per omissione in condotte commissive , ma che lo stesso può verificarsi all’interno di una struttura di pubblica assistenza , essendo altresì configurabile in presenza di dolo generico, ossia la coscienza e la volontà di sottoporre la persona di famiglia ad un’abituale condizione di sofferenza e soggezione psicologica. Ciò posto, la Suprema Corte non condivide la qualificazione della condotta omertosa dell’imputata sulla circostanza che questa volesse tutelare con il proprio silenzio sé stessa, avendo comunque espresso disapprovazione per gli episodi accaduti e che, in ogni caso, se anche la stessa avesse denunciato i fatti, i minori avrebbero comunque subito i maltrattamenti verificatisi. Difatti, la Corte reputa erronea la qualificazione giuridica del fatto in considerazione della configurabilità del concorso per omissione nella realizzazione del delitto di maltrattamenti in famiglia , giacché in via generale esiste la possibilità di concorso nel reato commissivo mediante omissione . Per i Giudici di legittimità impropria, perciò, per escludere il reato di maltrattamenti di famiglia, è stata la valorizzazione dell’intento specificamente perseguito dall’imputata . La Corte pertanto annulla la sentenza impugnata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 1 febbtaio – 9 marzo 2018, n. 10763 Presidente Carcano – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 13 dicembre 2016, la Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale di Ravenna, ha dichiarato A.A. colpevole del reato di omessa denuncia di cui all’art. 361 cod. pen., e non, invece, di quello di maltrattamenti in famiglia, ritenuto in primo grado, condannandola alla multa di euro 300,00 ha inoltre revocato le statuizioni civili contenute nella prima sentenza e respinto gli appelli proposti dalle parti civili. L’imputata è stata condannata perché, quale dipendente comunale con funzioni di educatrice presso l’asilo nido dell’ente territoriale, e referente del comune nella struttura, aveva omesso di denunciare le educatrici M.M. e B.M. e l’ausiliaria N.A. per reiterati episodi di maltrattamenti in danno di bambini dell’asilo, nonostante di tali fatti fosse venuta a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni per avervi assistito personalmente o per esserne stata informata da altro personale in servizio presso la struttura. In particolare, la Corte d’appello ha escluso il concorso per omissione nel reato di maltrattamenti in famiglia, osservando che l’imputata, pur mantenendo consapevolmente il silenzio sui fatti, non aveva la volontà di coadiuvare le condotte illecite delle colleghe, anzi esplicitamente disapprovate e non condivise, ed era inoltre convinta di avere scarse possibilità di intervenire. I giudici di secondo grado, inoltre, hanno revocato le statuizioni civili per interruzione del nesso eziologico tra le condotte dell’imputata ed i danni subiti dai minori non può fondatamente sostenersi che i danni riportati dai minori n ragione del comportamento violento tenuto da M. , B. e N. si sarebbero evitati completamente ove la A. avesse denunciato il comportamento stesso non appena venutane a conoscenza e pertanto non necessariamente all’inizio della condotta lesiva . 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con un unico atto, l’avvocato Giulio Canobbio, difensore di fiducia delle parti civili costituite D.D. ed C.I. , in proprio e quali genitori esercenti al potestà sulla minore D.G. , articolando un unico motivo, con il quale si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., avendo riguardo alla sussistenza del fatto di maltrattamenti in famiglia. Si premette che l’interesse all’impugnazione della qualificazione giuridica del fatto deriva dall’eliminazione delle statuizioni civili disposte in primo grado. Si deduce, poi, che il concorso dell’imputata mediante omissione nel reato di maltrattamenti in famiglia era desumibile dalla conoscenza, e non certo per un giorno, delle condotte poste in essere dalle sue colleghe , e dalla mancata adozione di comportamenti positivi. Si aggiunge che le condotte in contestazione hanno una durata notevole pari a circa quattro anni e che la Corte d’appello ha applicato l’istituto della continuazione al reato di cui all’art. 361 cod. pen., senza però specificare il numero di episodi di cui dovrebbe rispondere l’imputata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito precisate. 2. Le censure formulate nel ricorso, finalizzate all’affermazione della responsabilità civile dell’imputata, richiedono due precisazioni di carattere generale, una concernente la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia anche nella forma del concorso mediante omissione, ed il contenuto dell’elemento psicologico necessario a tal fine, l’altra relativa alla ammissibilità di responsabilità civile derivante dal reato di omessa denuncia. 2.1. Per quanto attiene al primo profilo, va innanzitutto rilevato che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in relazione al quale non emergono ragioni per dissentire, quello secondo cui il reato di maltrattamenti in famiglia può essere realizzato anche mediante concorso per omissione in condotte commissive cfr. Sez. 3, n. 47968 del 14/09/2016, D’A., Rv. 268496 Sez. 6, n. 3965 del 17/10/1994, Fiorillo, Rv. 199476 e 199477 Sez. 6, n. 394 del 30/05/1990, dep. 1991, Cosco, Rv. 186202 e 186205 . Nell’ambito di questo orientamento, si è pure evidenziato che il delitto di maltrattamenti per omissione può verificarsi all’interno di una struttura di pubblica assistenza così Sez. 6, n. 39655 del 1994, cit., nonché Sez. 6, n. 394 del 1991, cit. ed è configurabile anche in assenza di un rapporto diretto tra reo e vittima per questa precisazione, v. Sez. 6, n. 39655 del 1994, cit. . Occorre poi precisare che l’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità del reato di cui all’art. 572 cod. pen. è costituito dal dolo generico, da ravvisarsi nella coscienza e nella volontà di sottoporre la persona di famiglia ad un’abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza in questo senso è l’univoco orientamento giurisprudenziale cfr., tra le decisioni specificamente massimate in proposito, Sez. 6, n. n. 15680 del 28/03/2012, F. Rv. 252586, e Sez. 6, n. 27048 del 18/03/2008, D.S., Rv. 240879 . Sulla base di questa premessa, diventa irrilevante valutare le specifiche motivazioni che inducono l’agente ad assumere il comportamento rilevante del resto, proprio sul presupposto della sufficienza del dolo generico, si è anche ritenuto che il reato di maltrattamenti in famiglia sia configurabile anche quando l’intento perseguito consiste nella volontà di agire esclusivamente per finalità educative Sez. 6, n. 39927 del 22/09/2005, Agugliaro, Rv. 233478 . Né i motivi che orientano la volontà dell’agente diventano rilevanti quando il reato è commesso mediante omissione, stante l’assenza di puntuali disposizioni o di principi generali in tale senso. In questo senso è costante l’orientamento della giurisprudenza, secondo la quale, anche per i reati imputati ai sensi dell’art. 40 cpv. cod. pen. l’elemento psicologico si configura secondo i principi generali, sicché è sufficiente che il garante abbia conoscenza dei presupposti fattuali del dovere di attivarsi per impedire l’evento e si astenga, con coscienza e volontà, dall’attivarsi, con ciò volendo o prevedendo l’evento nei delitti dolosi ovvero provocandolo per negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme nei delitti colposi e nelle contravvenzioni in genere così, per limitarsi a pronunce affermative di un principio di carattere generale, Sez. 3, n. 6208 del 09/04/1997, Ciciani, Rv. 208804 anzi, ancor più specificamente, si è osservato che, nei reati commissivi mediante omissione, la stessa consapevolezza del non porre in essere la condotta positiva richiesta, implica la volontà di non attivarsi nel modo richiesto e, quindi, di non fare ciò che si è tenuti a fare così Sez. 1, n. 11322 del 22/09/1998, Aquino, Rv. 211597 . 2.2. Per quanto concerne il secondo profilo, poi, la giurisprudenza, ad avviso del Collegio condivisibilmente, non esclude in linea di principio che il reato di omessa denuncia possa essere fonte di responsabilità civile, ma richiede che si accerti l’esistenza di un nesso causale tra l’inadempimento dell’obbligo ed il fatto dannoso, e che quest’ultimo si ponga come conseguenza immediata e diretta dell’illecito cfr. Sez. 6, n. 11295 del 02/12/2014, dep. 2015, Vignati, Rv. 263170 . 3. La sentenza impugnata svolge un’analisi articolata con riferimento alla ricostruzione del fatto, alla qualificazione giuridica dello stesso ed alle conseguenze civili al medesimo riferibili. 3.1. Con riguardo alla ricostruzione del fatto, si evidenzia, innanzitutto, che indiscutibili sono le plurime condotte violente e fortemente vessatorie poste in essere dalle educatrici M.M. e B.M. e dall’ausiliaria N.A. ai danni dei minori iscritti alla Sezione Rossa dell’asilo nido di omissis , anche strattonandoli, schiaffeggiandoli, colpendoli alla testa con corpi contundenti, coprendoli con coperte o cuscini fino ad impedirne una corretta respirazione, tirandoli per i capelli, sollevandoli bruscamente da terra. Si rileva poi che l’imputata A. , educatrice della contigua sezione del medesimo nido, non solo aveva omesso ogni denuncia alle autorità pubbliche, ma aveva anche negato espressamente di essere a conoscenza diretta o per sentito dire di tali episodi, anche dopo l’emersione del problema, davanti all’assessore comunale alle politiche sociali, alla dirigente dell’area servizi ed alla segretaria comunale, davanti ai quali era stata appositamente convocata. Si osserva, inoltre, che la medesima donna aveva una posizione di garanzia in quanto ricopriva in fatto il ruolo di referente del Comune all’interno del nido di omissis , e si relazionava con le autorità scolastiche e comunali rappresentando le esigenze della struttura e relazionando in ordine alle programmazioni educative della stessa. Si precisa, in dettaglio, che l’imputata, alla stregua del regolamento dei servizi educativi deliberato nel 2005, era stata individuata in linea generale dall’ente territoriale come portavoce dell’asilo , e, a partire dal 2010, allorché era rimasta l’unica educatrice dipendente del Comune, si occupava quasi quotidianamente del raccordo con le autorità comunali, cui riferiva sia di persone sia telefonicamente in modo sintetico gli intenti educativi e le problematiche interne al gruppo educativo, tenendo la regia del gruppo . Si aggiunge, ancora, che tutte le dipendenti del nido ausiliarie ed educatrici escusse in dibattimento hanno riferito di avere assistito per anni alle violenze perpetrate dalla M. e dalle altre educatrici della Sezione rossa e di avere più e più volte riportato tali fatti alla A. . Si rappresenta, anzi, che l’imputata deve ritenersi aver assistito anche personalmente a tali condotte, sia perché alcune di queste avvenivano durante l’orario dei pasti, quando ad esempio le coimputate costringevano i bimbi inappetenti a mangiare addirittura il proprio stesso vomito , sia perché le grida provenivano da locali molto vicini, sia perché tutte le altre operatrici attive nella struttura si erano accorte di quanto sistematicamente accadeva nella stessa. 3.2. Relativamente alla qualificazione giuridica, la sentenza impugnata segnala, preliminarmente, che indiscutibile è la volontà di omettere indebitamente la denuncia degli accadimenti che si verificavano ormai da molti e molti mesi all’interno dell’asilo di omissis . Si rappresenta, però, che tale condotta integra gli estremi del delitto di omissione di denuncia, e non, invece, quelli del delitto di maltrattamenti in famiglia. Si precisa che alla configurabilità del reato di cui all’art. 572 cod. pen. osta la ragione posta a base della decisione di tacere, coniugabile con l’intento omertoso di tutelare prima di tutto se stessa, le proprie coadiutrici ed i minori a lei direttamente affidati, con buona pace dei danni contemporaneamente subiti dai piccoli delle altre sezioni, ma non certamente con la volontà di coadiuvare le illecite azioni delle colleghe, comunque da lei esplicitamente disapprovate e mai concretamente condivise, e rispetto alle cui condotte ella con errore penalmente inescusabile riteneva di avere scarsa possibilità di incidere . 3.3. Per quanto concerne le conseguenze civili, la sentenza impugnata esclude il nesso eziologico tra la condotta e l’evento dannoso. Si osserva che, muovendo anche dalla riqualificazione giuridica del fatto, non può fondatamente sostenersi che i danni riportati dai minori in ragione del comportamento violento tenuto da M. , B. e N. si sarebbero evitati completamente ove la A. avesse denunciato il comportamento stesso non appena venutane a conoscenza . 4. In considerazione dei principi giuridici richiamati e degli elementi fattuali esposti nella sentenza impugnata, erronea risulta la motivazione di essa sia con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, sia, in ogni caso, con riferimento alla esclusione del nesso eziologico tra la condotta omissiva comunque ascritta all’imputata ed il danno subito dai minori. 4.1. Per quanto attiene alla qualificazione giuridica del fatto, per escludere la sussistenza del reato di cui all’art. 572 cod. pen., la sentenza impugnata ha valorizzato le motivazioni della condotta dell’imputata, in quanto costituite da un intento omertoso di tutelare prima di tutto se stessa, le proprie coadiutrici ed i minori a lei direttamente affidati e non, invece, dalla volontà di coadiuvare le illecite azioni delle colleghe . Tale profilo della motivazione, tuttavia, si pone in contrasto con i principi giuridici applicabili, secondo i quali, da un lato, è configurabile il concorso per omissione nella realizzazione del delitto di maltrattamenti in famiglia, e, dall’altro, ai fini dell’elemento psicologico necessario per l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 572 cod. pen., anche nella forma del concorso nel reato commissivo mediante omissione, è sufficiente il dolo generico, per la cui sussistenza sono irrilevanti i motivi. Impropria, perciò, per escludere il reato di maltrattamenti in famiglia, è stata la valorizzazione dell’intento specificamente perseguito dall’imputata. 4.2. Con riferimento alla esclusione del nesso eziologico tra la condotta omissiva comunque ascritta all’imputata, anche a titolo di omessa denuncia ex art. 361 cd. pen., e l’evento dannoso, la sentenza impugnata ha affermato che non può fondatamente sostenersi che i danni riportati dai minori in ragione del comportamento violento tenuto da M. , B. e N. si sarebbero evitati completamente ove la A. avesse denunciato il comportamento stesso non appena venutane a conoscenza . Anche questo aspetto della motivazione risulta viziato. Da un lato, infatti, la conclusione secondo cui i danni riportati dai minori non sarebbero stati evitati in caso di denuncia è affermazione che non risulta supportata da alcun argomento, ed è, pertanto, indimostrata. Dall’altro, poi, affermare che, con la denuncia, i danni per i minori non si sarebbero evitati completamente significa riconoscere - in immediata contraddizione con la conclusione pienamente liberatoria in tema di responsabilità civile - che il comportamento omesso ha comunque spiegato, sia pure parzialmente, una efficacia eziologica diretta rispetto all’evento pregiudizievole. 5. In conclusione, posto che l’impugnazione è stata proposta esclusivamente da parti civili, la sentenza impugnata, fermi restandone gli effetti penali, deve essere annullata per nuovo giudizio davanti al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell’art. 622 cod. proc. pen Il nuovo giudizio dovrà in primo luogo procedere ad una corretta qualificazione giuridica del fatto in contestazione, tenendo conto dei principi precedentemente indicati in materia di configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia anche nella forma del concorso mediante omissione, e di dolo necessario ai fini dell’integrazione di tale fattispecie. In secondo luogo, poi, dovrà comunque valutare se, eventualmente anche solo in misura parziale, il fatto dannoso debba essere considerato come una conseguenza immediata e diretta della continuativa condotta omissiva dell’imputata. P.Q.M. Fermi gli effetti penali, in accoglimento del ricorso della parte civile, annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello a norma dell’art. 622 cod. proc. pen