Finalmente uno spiraglio garantista sulla sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte

Se è ben vero che l’atto dispositivo di un bene tanto mobile quanto immobile rende di per sé maggiormente difficoltosa ed incerta l’esazione del credito, essendo il denaro bene fungibile per eccellenza e quindi più facilmente occultabile, tanto da legittimare l’esperibilità dell’azione revocatoria in sede civile, non può tuttavia perciò ritenersi integrata la finalità fraudolenta sul piano penale, dovendo l’atto dispositivo essere caratterizzato da un quid pluris, ovverossia dalla modalità ingannevole attraverso il quale viene realizzato.

Questo l’importante principio chiarito dalla Cassazione con la pronuncia in commento, teso a limitare il campo di applicazione dell’art. 11 d.lgs. n. 74/2000. Un precedente pericoloso”. In tempi recenti la Terza Sezione della Cassazione Penale Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 3881/16, depositata il 29 gennaio, in Diritto e Giustizia del 1° febbraio 2016 aveva fornito una interpretazione estremamente rigorosa della fattispecie di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74/2000, affermando che detto reato – integrato dall’uso di mezzi fraudolenti per occultare i propri o altrui beni al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto – costituisce fattispecie tipicamente di pericolo, non di danno, in cui vengono posti in essere atti idonei a pregiudicare l’adempimento della obbligazione tributaria, indipendentemente dalla realizzazione del fine programmato dal debitore o dal successivo pagamento dell’imposta . Nel caso oggetto del precedente, gli Ermellini avevano confermato la sussistenza del reato in contestazione anche se il bene oggetto della alienazione risultava antecedentemente ipotecato per un valore superiore al prezzo di mercato, sulla base della natura di reato di pericolo della fattispecie in esame e, dunque, a prescindere dal concreto verificarsi di un danno a carico dell’Erario. Detto principio aveva trovato seguito in diverse pronunce seguenti, in cui si ribadiva ad esempio che le operazioni compiute dall’amministratore di una società di capitali, nei cui confronti sia stato avviato un accertamento fiscale, consistenti nella cessione di quote e nel trasferimento immobiliare tramite conferimenti di rami d’azienda, possono integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui all'art. 11 d.lgs. n. 74/2000 Cassazione penale, sez. III, n. 29243/2017 . Il caso in esame. Di fronte ad una interpretazione giurisprudenziale connotata da indubbio rigore, per ben comprendere la valenza della pronuncia in commento occorre prendere le mosse dalla situazione concreta da cui è originata detta sentenza. Il legale rappresentante di una società gravata da un significativo debito IVA nei confronti del fisco aveva alienato tutti i propri beni ad una società di cui lo stesso era legale rappresentante, per un importo ben inferiore al debito tributario, ma congruo rispetto ai valori di mercato di detti beni. Il ricavato di detta alienazione era stato poi destinato al pagamento di debiti della società altri, rispetto a quello fiscale, con conseguente insoddisfazione della pretesa creditoria dello Stato. La Corte di Appello di Trento, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, aveva ritenuto sussistente la penale responsabilità dell’imputato per aver vanificato, attraverso la condotta di alienazione dei beni, proprio la pretesa creditoria dell’Erario. Avverso detta pronuncia propone ricorso per Cassazione il condannato argomentando che, al fine della configurabilità del delitto di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74/2000 occorre, al fine di integrare la condotta, un quid pluris volto a configurare l’ingannevolezza della condotta dissimulata dalla eseguita alienazione. Nel caso in esame, per contro – sosteneva il ricorrente – la natura fittizia della operazione era esclusa dalla – ritenuta anche dei giudici di merito – congruenza del prezzo di vendita e, dunque, di realizzo dei beni. La ricostruzione della fattispecie. Al fine di pervenire alla soluzione del caso proposto, gli Ermellini procedono ad una puntuale ricostruzione della fattispecie astratta. Osservano i giudici del Palazzaccio che la norma tende ad evitare che il contribuente si sottragga al proprio dovere di concorrere alla spesa pubblica, sottraendo il proprio patrimonio, e sanziona due condotte alternative, costituite o dalla vendita simulata dei propri beni o atti fraudolenti posti in essere al fine indicato. Se la prima condotta non pone grosse problematiche interpretative, ricollegandosi al concetto civilistico di negozio simulato con preordinata divergenza tra la volontà dichiarata e quella reale, maggiori questioni pone la nozione di atto fraudolento. La motivazione della sentenza in commento ripercorre i diversi orientamenti giurisprudenziali ed in particolare quelli più rigorosi, che puniscono anche condotte di effettiva alienazione che mettano comunque a repentaglio o rendano, in ogni caso, più difficoltosa l’azione di recupero del bene per l’Erario. Osservano gli Ermellini che proprio la struttura della fattispecie con formulazione alternativa, sotto il profilo della condotta, implica che il carattere fraudolento previsto per la seconda ipotesi tipica investa tutti gli altri atti volti a disperdere la garanzia patrimoniale. Ricordano i giudici della Suprema Corte come la garanzia patrimoniale del creditore sia già assistita in sede civile dal rimedio della azione revocatoria allorché sussista l’ eventus damni e il consilium fraudis . La valorizzazione del concetto di fraudolenza. Dunque, onde integrare il fatto di reato occorre che l’atto dispositivo sia caratterizzato anche dalla peculiare finalità fraudolenta prevista dalla lettera dell’art. 11 d.lgs. n. 74/2000. Non è, dunque, sufficiente la lesione del diritto altrui, ma altresì una specifica modalità con cui detta lesione deve essere effettuata, ovverossia un inganno atto a configurare una situazione di apparenza diversa da quella della realtà sottostante, in modo tale da impedire o rendere più difficoltosa l’azione di recupero per l’Erario. Non basta, quindi, che la condotta sia pregiudizievole, sotto il profilo del pericolo o anche del danno come nel caso di specie per l’Erario, ma occorre che il pregiudizio arrecato non sia immediatamente percepibile proprio in conseguenza della condotta fraudolenta posta in essere dal debitore. Una mera operazione di vendita, dunque, ancorché possa essere dannosa per l’Erario, non è sufficiente ad integrare la condotta incriminata allorché alla cessione del bene consegua un corrispettivo congruo rispetto all’effettivo valore del bene ceduto. Così, la mera alienazione di beni immobili o mobili al valore di mercato, pur rendendo più difficoltoso il soddisfacimento della pretesa erariale, essendo il denaro bene fungibile per eccellenza, non potrà integrare di per sé il delitto in contestazione, nulla essendovi in tale atto che possa essere connotato come fraudolento”. Diversi dunque, conclude la Cassazione, sono i presupposti che legittimano il ricorso alla azione revocatoria, rispetto a quelli che devono sussistere per integrare il delitto di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74/2000. Nel caso in esame ha quindi errato la Corte di Appello nel ritenere configurato detto reato, in quanto, seppur il ricavato della vendita fosse stato destinato a soddisfare creditori diversi rispetto all’Erario, la vendita, avvenuta a prezzi di mercato, non era connotata da alcuna condotta simulata o fraudolenta. Importante evidenziare che, ad integrare il requisito della fraudolenza, di nessun rilievo viene ritenuta la circostanza che la alienazione fosse avvenuta a favore di società di cui lo stesso imputato era legale rappresentante. La sentenza di condanna viene pertanto annullata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 maggio 2017 – 6 marzo 2018, n. 10161 Presidente Amoroso – Relatore Galterio Ritenuto in fatto Con sentenza in data 27.5.2016 la Corte di Appello di Trento, in accoglimento del ricorso in appello del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento, ha riformato la sentenza di primo grado che aveva assolto C.G. dal reato di cui all’articolo 11 d. lgs. 74/2000 perché il fatto non sussiste, ritenendola colpevole, in qualità di legale rappresentante della s.r.l. Effepi, di sottrazione fraudolenta al pagamento dell’imposta IVA relativa all’anno 2008 oltre accessori, maturata dalla società per complessivi Euro 135.341,01 per avere alienato, anziché porre in liquidazione la società, tutti i suoi cespiti in favore della s.a.s. Pedroni di C.G. & amp c. di cui lei stessa era amministratrice alla somma di Euro 51.246. L’imputata è stata quindi condannata alla pena di sei mesi di reclusione, avendo la Corte ritenuto che l’eseguita vendita avesse definitivamente disperso i beni della società, costituenti l’intangibile garanzia patrimoniale in favore dei creditori, e così vanificato la possibilità per l’Erario di soddisfare il propri credito, per essere stata la somma incassata destinata a pagamenti vari, ma non a quello tributario. Avverso la suddetta sentenza l’imputata ha proposto ricorso per cassazione articolando un unico con il quale deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’articolo 11 d. lgs. 74/2000, che, rispetto ad un operazione di compravendita commerciale del tutto trasparente quale quella intercorsa tra la s.r.l. Effepi e la s.a.s Pedroni di cui lei stessa era amministratrice, occorreva, al fine di integrare la finalità fraudolenta richiesta dal reato in contestazione, un quid pluris volto a configurare l’ingannevolezza della condotta dissimulata dalla eseguita alienazione la sua natura fittizia risultava invece esclusa dal prezzo di vendita dei cespiti societari, che era stato stimato congruo rispetto ai valori di mercato dai giudici di primo grado, senza che la Corte di Appello avesse evidenziato alcun ulteriore elemento a dimostrazione della frode ai danni dell’erario, né addotto alcun argomento che comprovasse che la finalità perseguita attraverso la suddetta operazione fosse quella di sottrarre garanzie patrimoniali al fisco. Al contrario, dalla documentazione contabile aziendale non risultava alcun dato equivoco, né figurava dalle schede relative alla situazione dei cespiti alcun segno negativo in relazione alla differenza riportata per ogni singolo bene tra il valore iniziale ed il successivo decremento. Ha pertanto insistito per l’annullamento della sentenza impugnata e la conferma della pronuncia assolutoria resa in primo grado. Considerato in diritto La fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 11 d. lgs 74/2000, con la quale il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche sottraendo il proprio patrimonio, costituente la garanzia generica dell’obbligato, alle ragioni dell’Erario rendendo in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, prevede ai fini del suo perfezionamento due condotte alternative costituite o dalla vendita simulata dei propri beni o atti fraudolenti poste in essere al fine indicato. Mentre la prima non pone particolari problemi interpretativi dovendosi ricorrere alle nozioni mutuate dall’ordinamento civile, secondo le quali è tale il negozio caratterizzato da una preordinata divergenza tra la volontà dichiarata e quella reale, ovverosia allorquando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto simulazione assoluta o in parte simulazione relativa alla effettiva volontà dei contraenti Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016 - dep. 20/01/2017, Di Tullio, Rv. 268798 , per contro la nozione di atto fraudolento, ricorrente quando invece il trasferimento del bene sia effettivo, ha dato adito a plurime interpretazioni si è infatti ritenuto che con tale accezione debba intendersi un’alienazione che sebbene effettiva, sia tuttavia idonea a rappresentare una realtà la riduzione del patrimonio del debitore non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo più difficoltosa l’azione di recupero del bene per l’Erario Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016 cit. , o, diversamente, la sussistenza di uno stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario Sez. 3, n. 19595 del 09/02/2011 - dep. 18/05/2011, Vichi, Rv. 250471 , o, ancora una condotta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva la quale non configura un presupposto della condotta, in quanto è prevista dalla legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008 - dep. 09/04/2008. PM in proc. Ghiglia, Rv. 239970 . L’alternatività della condotta richiesta ai fini del perfezionamento del reato rispetto alla vendita simulata fa sì che, invece, il carattere fraudolento debba investire tutti gli altri atti volti a disperdere la garanzia patrimoniale del creditore e, dunque, tutti gli atti lato sensu dispositivi dei beni ivi ricompresi. Poiché tuttavia la garanzia patrimoniale del creditore è già assistita sul piano civilistico dalla speciale azione di cui all’articolo 2901 cod. civ. ovverosia dall’actio revocatoria, esperibile allorquando il debitore rechi pregiudizio alle ragioni del creditore, e dunque allorquando venga posto in essere in condizioni di insufficienza dei beni a garantire le ragioni del creditore eventus damni un atto dispositivo dei propri beni con la consapevolezza di arrecare un nocumento al creditore stesso scientia damni o consilium fraudis , occorre per incorrere nella responsabilità penale prevista dalla disposizione in esame che l’atto dispositivo sia connotato dalla peculiare finalità indicata dalla stessa norma come fraudolenta il concetto di frode evocato dalla norma presuppone, invero, non soltanto la lesione di un diritto altrui, che connota l’atto pregiudizievole in sé, ma altresì la specifica modalità attraverso la quale viene tale lesione effettuata, ovverosia l’inganno atto a configurare una situazione di apparenza diversa da quella della realtà sottostante, costituita dalla riduzione del patrimonio del debitore, così da mettere a repentaglio l’azione di recupero per l’Erario, o comunque da renderla più difficoltosa. Non basta, in altri termini, che l’atto sia soltanto pregiudizievole, condizione questa configurata dall’atto dispositivo in presenza di una situazione patrimoniale insufficiente ad assicurare le ragioni del creditore attraverso l’eventuale esazione coattiva del credito, ma occorre altresì che il pregiudizio arrecato non sia immediatamente percepibile in ragione della condotta fraudolenta posta in essere dal debitore così come la vendita in sé considerata non potrebbe integrare la condotta incriminata dall’articolo 11 d. lgs. 74/2000, dovendo invece essere simulata, del pari non è sufficiente che l’atto altrimenti dispositivo dei beni costituenti la garanzia patrimoniale venga a ledere le ragioni dell’Erario, richiedendosi invece che alla dispersione della suddetta garanzia non corrisponda, allorquando si tratti di atto a titolo oneroso, un controvalore effettivo in danaro o in altra utilità, secondo la causa negoziale tipica dell’atto unilaterale o del contratto specificamente posto in essere, ovvero si tratti di un atto a titolo gratuito quale ad esempio la donazione, la costituzione di un fondo patrimoniale, etc. che, attesa l’assenza di un vantaggio economico che lo qualifica come tale, si presta di per sé a configurare la modalità fraudolenta richiesta dalla norma. In tale ottica è stato, ad esempio, ritenuto da questa Corte integrato il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte la condotta di un commercialista che, in prossimità degli esiti di una verifica fiscale a suo carico, aveva ceduto immobili e quote sociali alla convivente Sez. 3, n. 39079 del 09/04/2013 - dep. 23/09/2013, Barei e altro, Rv. 256376 . E se è ben vero che l’atto dispositivo di un ben tanto mobile quanto immobile rende di per sé maggiormente difficoltosa ed incerta l’esazione del credito, essendo il danaro bene fungibile per eccellenza e quindi più facilmente occultabile, tanto da legittimare l’esperibilità dell’actio revocatoria in sede civile, non può tuttavia perciò ritenersi integrata la finalità fraudolenta sul piano penale, dovendo l’atto dispositivo essere caratterizzato da un quid pluris, ovverosia dalla modalità ingannevole attraverso la quale viene realizzato. Diversamente opinando, il concetto di atto fraudolento verrebbe a dilatarsi oltre misura fino a far coincidere i presupposti del reato di cui all’articolo 11 d. lgs 74/2000 con quelli dell’azione revocatoria civile, frustrando, in contrasto con la stessa littera legis, la finalità perseguita dal legislatore penale che consiste nella punibilità del contribuente che intenzionalmente sottrae con modalità fraudolente i beni facenti parte del proprio patrimonio riducendo la garanzia del Fisco e così neutralizzando, secondo una prognosi da effettuarsi ex ante, in tutto od in parte la fruttuosità di una eventuale procedura esecutiva. Conseguentemente, la vendita da parte dell’imputata delle attrezzature della società da lei amministrata che, così come accertato sin dalla sentenza di primo grado e non smentito dalla pronuncia impugnata, è stata effettuata a prezzo di mercato con incameramento del suddetto corrispettivo da parte della società alienante, configura un atto, che sebbene pregiudizievole per l’Erario essendo stato il danaro destinato al soddisfacimento di altri debiti da cui la stessa società era gravata, è privo tuttavia del carattere fraudolento richiesto per il perfezionamento del reato contestato. Non può pertanto condividersi il diverso ragionamento seguito dalla Corte distrettuale che, malgrado la dimostrazione che assume essere stata fornita dall’imputata in ordine alla devoluzione del corrispettivo incassato ad altri pagamenti dovuti dalla società stipendi, assicurazioni, cassa edile , ha ritenuto sulla base del solo atto dispositivo senza che ricossero gli estremi della simulazione né di altri atti fraudolenti, la penale responsabilità della C La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio alla Corte di Appello perché proceda a nuovo giudizio attenendosi ai principi sovra indicati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello, Sezione distaccata di Bolzano.