Il direttore dei lavori mantiene l’obbligo di vigilanza, se…

In tema di reati edilizi-urbanistici, per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b , d.P.R. n. 380/2001 e s.m.i., è configurabile la responsabilità del progettista e direttore dei lavori, e del costruttore, nel caso di interventi edilizi necessitanti il permesso di costruire, ma eseguiti in base a una denuncia di inizio attività accompagnata da dettagliata relazione tecnica a firma del predetto professionista, in quanto l’attestazione del progettista di conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati e con i regolamenti edilizi vigenti” comporta l’esistenza in capo al medesimo di un effettivo e concreto obbligo di vigilanza anche nel corso dell’esecuzione dei lavori.

Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9058, depositata il 28 febbraio 2018. Il ruolo del direttore dei lavori In generale, la responsabilità dell’inosservanza delle norme è posta in capo al titolare del permesso di costruire, al committente, al costruttore e al direttore dei lavori, ove questi non abbia contestato la difformità rispetto al permesso di costruire, oppure ove abbia agito in virtù di DIA nei casi in cui era invece necessario il permesso di costruire come nel caso di specie . Tale responsabilità è direttamente sancita dalla legge, ed in particolare dall’art. 29 d.P.R. n. 380/2001 c.d. Testo Unico dell’Edilizia - TUE , con riguardo a tutte le violazioni di legge, regolamentari e del titolo autorizzativo eventualmente riscontrate sia prima che successivamente all’inizio dell’esecuzione dei lavori sul manufatto edilizio. Dunque è compito del direttore dei lavori, prima dell’esecuzione degli stessi, prendere in considerazione, interpolandole tra loro, tutte le norme di riferimento atte a garantire la validità del titolo abilitativo di volta in volta necessario per il singolo intervento edilizio progettato. e la differenza fra DIA ora SCIA e permesso di costruire. La fattispecie esaminata nella decisione in commento consente di richiamare, in generale, le fondamentali innovazioni normative recentemente intervenute con i d.l. n. 69/2013, d.l. n. 133/2014 e – da ultimo – d.lgs. n. 222/2016, in tema di applicabilità o meno dei diversi regimi afferenti alla DIA oggi denominata SCIA ed al permesso di costruire. Ai sensi del novellato art. 10 lett. c del TUE, sono oggi subordinati al permesso di costruire soltanto gli interventi di ristrutturazione edilizia che 1 portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, mediante modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti 2 nel caso di interventi su immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, soltanto quelli che comportino modificazioni della sagoma. Tale disposizione va letta sinotticamente con il novellato art. 3, lett. d del TUE, il quale, nel caso di immobili sottoposti a vincoli ex d.lgs. 42/2004, fa rientrare, nella definizione di ristrutturazione, anche la demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma dell’edificio preesistente, fatte salve – in ogni caso – le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. In caso di demolizione e ricostruzione senza modifica di volumetria e sagoma, il nuovo art. 22, primo comma, lett. c del TUE stabilisce la necessità della sola SCIA Dal mutato quadro normativo, si evince che il legislatore ha inteso restringere l’area degli illeciti edilizi penalmente rilevanti. Ed infatti, sono oggi subordinate a permesso di costruire e quindi soggette alle sanzioni penali di cui all’art. 44 del TUE solo le ristrutturazioni che, nel trasformare strutturalmente l’immobile, ne modifichino il volume, la superficie o la sagoma, ovvero comportino un aumento delle unità immobiliari. Viceversa, le ristrutturazioni su immobili in zone vincolate, mediante demolizione e ricostruzione, effettuate previa SCIA, che non aumentano la superficie, il volume e la sagoma dell’immobile, non danno luogo a responsabilità penale cfr. Cass., sez. III, n. 6035/17 Cass., sez. III, n. 35594/16 Cass., sez. III, n. 48947/15 . Responsabilità del direttore dei lavori ed elemento psicologico. Ciò posto, il direttore dei lavori, per quanto di propria competenza, non può ritenersi responsabile, ove abbia scrupolosamente rispettato il progetto avviato con semplice DIA ora SCIA , specie se – ad esempio – inserito nell’ambito di una azione volta alla conservazione e riqualificazione dell’edificio esistente, nonché al fine di assicurarne il recupero e la rivitalizzazione, senza modifica degli elementi tipologici originari del manufatto. Ne discende che – sul piano dell’elemento soggettivo del reato – richiedendosi, anche nelle contravvenzioni come quelle di cui all’art. 44 TUE, l’esistenza dell’elemento intenzionale, il procedimento a carico di un direttore dei lavori debba essere archiviato, ogni volta che questi non abbia avuto alcuna volontà di realizzare un intervento edilizio contrario alla normativa vigente.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 ottobre 2017 – 28 febbraio 2018, n. 9058 Presidente Ramacci – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Lecce con decisione del 6 luglio 2015 in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brindisi del 18 giugno 2014, rideterminava la pena nei confronti di C.D. , Cu.Vi. e P.I. in mesi 4 di arresto ed Euro 14.000,00 di ammenda ciascuno, relativamente al reato loro contestato di cui agli art. 110 cod. pen. e 44, comma 1, lettera B, d.P.R. 380/2001, nelle rispettive qualità di proprietario C. , progettista direttore dei lavori Cu. ed esecutore dei lavori P. , titolare della ditta CAR.MET.EDIL. s.r.l. fatti accertati in omissis . 2. Ricorrono in Cassazione gli imputati, tramite il difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p. 2. 1. Per C. . Violazione di legge, art. 6, 10, 22 e 36 d. P.R. 380 /2001, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. L’opera edilizia contestata doveva considerarsi di natura precaria e in quanto tale autorizzata dalla D.I.A L’opera anche se non corrispondente appieno al progetto della D.I.A. rientrava nella nozione di opera amovibile e temporanea prevista dall’art. 6, d.P.R. 380/2001 non era necessario quindi nessun permesso di costruire. Riferisce sul punto il teste Arch. G. . 2.2. Violazione di legge, art. 36 d.P.R. 380/2001, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente ha ottenuto permesso di costruire in sanatoria, n. 5 del 10 luglio 2012, Comune di Fasano. Il reato doveva quindi dichiararsi estinto per sanatoria. 2.3. Violazione di legge, art. 44, comma 1, lettera A, d.P.R. 380/2001, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. In luogo della contestata lettera B doveva trovare applicazione la lettera A dell’art. 44, comma 1, d.P.R. 38072001, poiché si trattava di mera difformità rispetto all’originario titolo abilitativo. 2. 4. Prescrizione del reato nelle more del deposito della motivazione della sentenza avvenuta il 15 settembre 2015 . 3. Per Cu. . 3. 1. Violazione di legge, art. 481 cod. pen. 522 e 604 cod. proc. pen. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello ha operato una diversa qualificazione giuridica del reato, uniformandosi alla decisione del Tribunale. Infatti si è ritenuto responsabile il ricorrente di aver redatto una dichiarazione di conformità delle opere ultimate rispetto alla D.I.A. palesemente falsa, il fatto quindi andava riqualificato. 3. 2. Violazione di legge e vizio di motivazione. Al relatore del collaudo finale non risulta attribuibile la condizione soggettiva del reato proprio. La relazione finale, al contrario dell’iniziale D.I.A. non comporta alcuna forma solenne di asseveramento. Ne consegue l’assoluta irrilevanza ed insussistenza penale della presunta natura mendace della dichiarazione di conformità finale. 3. 3. Vizio di motivazione. Illogicamente la sentenza ritiene che l’arco temporale corrente tra il deposito della relazione e il sopralluogo 30 agosto 2010 e 7 settembre 2010 sia un breve periodo valido a ritenere il ricorrente non estraneo ai lavori abusivi invero le opere non sono state realizzate in loco, ma prefabbricate e quindi per la posa in opera sarebbe sufficiente anche un solo giorno. Il progettista quindi poteva essere all’oscuro delle opere abusive. 3.4. Violazione di legge, art. 22 e 37 d.P.R. 380/2001 vizio di motivazione. La realizzazione di interventi in assenza o in difformità della D.I.A. è sanzionata solo in via amministrativa inoltre non è stata considerata la sanatoria. 3. 5. Prescrizione del reato per decorso del termine massimo di prescrizione. 4. Per P. . Violazione di legge. Vizio di motivazione. La concessione in sanatoria esclude la configurabilità del reato il ricorrente ha seguito le direttive del proprietario e del progettista la responsabilità delle difformità quindi grava sul progettista e non sull’esecutore dei lavori. Inoltre il ricorrente fin dal primo momento si è reso disponibile all’esecuzione dei lavori come prescritti nella variante edilizia sanatoria ma è stato impedito dal proprietario. Hanno chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata. Considerato in diritto 5. I ricorsi risultano inammissibili per manifesta infondatezza dei motivi e per genericità. La sentenza impugnata e la decisione di primo grado, in doppia conforme con motivazione adeguata, immune da contraddizioni e da manifeste illogicità, e con corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte di cassazione, rileva come la struttura realizzata dagli imputati sia completamente chiusa su tutti i lati munita di vere e proprie finestre, destinata a servizio dell’adiacente servizio commerciale gestito dal C. la documentazione fotografica inoltre dimostra in modo inequivocabile che la struttura realizzata non solo non poteva essere edificata con il rilascio della semplice D.I.A ma non è per nulla un’opera precaria. Non può infatti, definirsi, né amovibile né precaria una struttura di grandi dimensioni realizzata nel cortile davanti all’esercizio commerciale gestito dal C. funzionalmente destinato ad ospitare i clienti . . 6. La sanatoria è stata correttamente ritenuta dalla sentenza impugnata ininfluente per l’estinzione del reato, poiché condizionata all’adempimento di prescrizioni, peraltro non effettuate È illegittimo, e non determina l’estinzione del reato edilizio di cui all’art. 44 lett. b del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell’alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica. Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015 - dep. 29/12/2015, Carratù e altro, Rv. 26603401 vedi anche Sez. 3, n. 22256 del 28/04/2016 - dep. 27/05/2016, Rongo, Rv. 26729001 . 7. La lettera A dell’art. 44 d.P.R. 380/2001 prevede l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive del titolo abilitativo permesso di costruire-, nel caso in giudizio mancava proprio il titolo abilitativo del permesso di costruire, e quindi la norma applicabile è quella della lettera B, dell’art. 44 cit. 8. Alla data della decisione della Corte di appello 6 luglio 2015, reato accertato il 7 settembre 2010 il reato non era prescritto, non rileva infatti l’attività successiva alla pronuncia Ai fini del computo della prescrizione rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello successivo del deposito della stessa. In applicazione del principio, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso che deduceva l’intervenuta estinzione del reato per decorso del termine della prescrizione, essendo il medesimo maturato dopo la pronuncia della sentenza, anche se prima della data di notificazione dell’estratto della decisione all’imputato contumace . Sez. 1, n. 20432 del 27/01/2015 -dep. 18/05/2015, Lione, Rv. 26336501 . L’inammissibilità, del resto, esclude la valutazione della prescrizione eventualmente maturata dopo la sentenza impugnata L’inammissibilità del ricorso per Cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266 . 9. Manifestamente infondati risultano anche i ricorsi di Cu. , progettista e direttore dei lavori, e di P. , esecutore materiale dei lavori. Infatti Cu. non è stato condannato per reato diverso da quello contestatogli art. 110 cod. pen. e 44, comma 1, lettera B, d.P.R. 380/2001 , ma la motivazione della sentenza della Corte di appello e in parte di quella del Tribunale se richiama l’attività di documentazione-attestazione dichiarazione di conformità del tecnico lo fa incidentalmente ai fini dell’elemento soggettivo del reato. Del resto il progettista e direttore dei lavori risponde del reato edilizio, quando la sua opera non si è limitata alla progettazione ma è andata oltre In tema di reati edilizi, è configurabile la responsabilità del progettista in caso di realizzazione di interventi edilizi necessitanti il permesso di costruire, ma eseguiti in base ad una denuncia di inizio attività accompagnata da dettagliata relazione a firma del predetto professionista, in quanto l’attestazione del progettista di conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti comporta l’esistenza in capo al medesimo di un obbligo di vigilanza anche nel corso dell’esecuzione dei lavori Sez. 3, n. 28267 del 09/05/2008 - dep. 10/07/2008, Pacecca e altri, Rv. 24082101 In tema di violazioni urbanistico - edilizie, la responsabilità per abuso edilizio del committente, del titolare del permesso di costruire, del direttore dei lavori e del costruttore, individuata ai sensi dell’art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001, non è esclusa dall’avvenuto rilascio del titolo abilitativo in violazione di legge o degli strumenti urbanistici, ovvero nell’ipotesi di intervento realizzato direttamente in base ad una D.I.A. illegittima Sez. 3, n. 10106 del 21/01/2016 - dep. 11/03/2016, Torzini, Rv. 26629101 . Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto Per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera B, d.P.R. 380/2001, è configurabile la responsabilità del progettista e direttore dei lavori, e del costruttore in caso di realizzazione di interventi edilizi necessitanti il permesso di costruire, ma eseguiti in base ad una denuncia di inizio attività accompagnata da dettagliata relazione a firma del predetto professionista, in quanto l’attestazione del progettista di conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti comporta l’esistenza in capo al medesimo di un effettivo e concreto obbligo di vigilanza anche nel corso dell’esecuzione dei lavori, con la logica conseguenza che - se i lavori eseguiti risultano difformi e diversi da quelli autorizzati con D.I.A., e per essi necessitava il permesso di costruire -, responsabile dell’abuso è anche il progettista e direttore dei lavori, in concorso con gli altri autori . 9. 1. Relativamente al ricorso di P. , oltre a quanto visto sopra sotto il profilo della sua responsabilità, si deve evidenziare che la sua intenzione di ottemperare alle prescrizioni della sanatoria impedito a suo dire dal proprietario non è rilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità, ma in tesi, potrebbe rilevare sul trattamento sanzionatorio, che non risulta sia motivo di ricorso. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, per ogni ricorrente, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.