La legittima difesa putativa è insindacabile in Cassazione

Qualora l’agente ponga in essere una condotta nell’errata convinzione della sussistenza di un’ipotesi di legittima difesa, tale fatto, una volta provato nei giudizi di merito, è insindacabile in sede di legittimità.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 9008/18, depositata il 27 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello di Salerno confermava la condanna emessa nei confronti dell’imputato per lesioni personali ai danni di un pubblico ufficiale. Avverso la sentenza della Corte distrettuale l’imputato ricorre per cassazione denunciando la sussistenza dell’errore di fatto ex art. 47 c.p. e l’erronea disapplicazione dell’art. 52 c.p Difatti, l’imputato lamentava di non essersi erroneamente rappresentato che la persona offesa fosse un pubblico ufficiale e che egli avesse agito in difesa del padre bloccato a terra da questi. Legittima difesa. Il Supremo Collegio, prendendo atto degli elementi fattuali già riscontrati nei giudizi di merito, riconosce non solo che l’aggressione si inseriva all’interno di una manifestazione di protesta alla quale erano presenti agenti delle forze dell’ordine che, seppur operanti in abiti civili erano dotati di distintivo e paletta e che durante l’azione del ricorrente , gridavano siamo poliziotti” , ma che tali circostanze venivano altresì confermate da alcune testimonianze, tra cui quella rilasciata dall’offeso, il quale avrebbe interloquito con il ricorrente prima di subire l’aggressione. La Suprema Corte ritiene, nel caso di specie, che non sussista alcuna causa di giustificazione. Difatti, poiché gli elementi di prova sono stati puntualmente accertati e logicamente valutati dal Giudice di merito, il riconoscimento o l’esclusione della legittima difesa, reale o putativa, e dell’eccesso colposo nella stessa costituiscono un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità . La Corte quindi dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 novembre 2017 – 27 febbraio 2018, n. 9008 Presidente Petruzzellis – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 2218/2016, la Corte di appello di Salerno ha confermato, seppure riducendo la pena, la condanna che il Tribunale di Salerno ha inflitto, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla aggravante, a L.G. per il reato ex artt. 81, comma 2, 110, 61 n. 2, 336, 337 e 582 cod. pen 2. Nel ricorso di L. si chiede l’annullamento della sentenza deducendo a violazione di legge e vizio di motivazione circa l’errore di fatto ex art. 47 cod. pen. in cui è incorso l’imputato non rappresentandosi che le persone offese erano pubblici ufficiali b erronea disapplicazione dell’art. 52 cod. pen., avendo l’imputato agito per difendere il padre Giuseppe senza comprendere che colui che lo colpiva o comunque lo stava bloccando a terra era un pubblico ufficiale c vizio della motivazione per avere escluso plausibili ricostruzioni del fatto diverse da quella adottata. Considerato in diritto 1. La Corte di appello ha valutato la tesi difensiva secondo cui l’imputato non si sarebbe reso conto che coloro i quali egli vide bloccare suo padre erano pubblici ufficiali. Ma, dopo avere precisato che l’episodio si colloca nell’ambito di una manifestazione di protesta nel porto commerciale di , mentre appartenenti alla Polizia di Stato alcuni in abiti civili, altri in divisa operavano per mantenere l’ordine pubblico, ha escluso che vi sia stato errore da parte di L. nel rappresentarsi la qualifica degli operanti, considerando che dalle dichiarazioni dei testimoni esaminati è emerso, con chiarezza, che l’imputato, precedentemente all’aggressione, aveva colloquiato proprio con il D. , che poi attinse con colpi, e che era ben a conoscenza della qualifica rivestita dal predetto pag. 4 . Va, peraltro, anche rilevato che nello stesso ricorso si dà atto che i testi hanno riferito che gli agenti della DIGOS operanti in abiti civili erano dotati di distintivo e paletta e che, durante l’azione di L. , gridavano siamo poliziotti . Pertanto, il primo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato perché concerne le valutazione discrezionali circa l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza dei Giudici di merito, che la Corte di appello ha effettuato giungendo a una ricostruzione dei fatti fondata su pertinenti massime di esperienza e senza incorrere in manifesti vizi logici, peraltro convergente con quella del Tribunale. 2. Sulla base di quanto sopra considerato sub 1, coerentemente la Corte di appello dalla conclusione che la condotta posta in essere fu eseguita proprio con la volontà di colpire un pubblico ufficiale ha derivato che non ricorre alcuna plausibile causa di giustificazione . Poiché gli elementi di prova sono stati puntualmente accertati e logicamente valutati dal giudice di merito, il riconoscimento o l’esclusione della legittima difesa, reale o putativa, e dell’eccesso colposo nella stessa costituiscono un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità Sez. 1, n. 3148 del 19/02/2013, dep. 2014, Rv. 258408 Sez. F, n. 39049 del 26/08/2008, Rv. 241553 . Pertanto, dalla manifesta infondatezza del primo motivo deriva quella del secondo motivo di ricorso. 3. Il terzo motivo di ricorso, ribadendo le deduzioni a sostegno del primo e del secondo, prospetta una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella a cui giunge la sentenza impugnata. Il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio esprime un criterio di valutazione che consente al giudice del merito di condannare solo se è possibile escludere ragionevoli ipotesi alternative. Ma esso non intacca il fondamentale canone del giudizio di legittimità, secondo cui il sindacato della Corte di cassazione non può sconfinare nell’ambito riservato al giudizio di merito valorizzando e rendendo decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emersa nel giudizio e segnalata dalla difesa, se come nel caso in esame - questa duplicità è stata puntualmente esaminata dal giudice dell’appello che ha scelto fra le due ricostruzioni con una adeguata motivazione, fondata su corretti criteri di inferenza sulla base di plausibili e pertinenti massime di esperienza Sez. 2, n. 29480 del 7/02/2017, Rv. 270519 Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Rv. 261600 Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Rv. 254579 . Ne deriva che anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. 4. Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso deriva, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma che risulta congruo determinare in euro 2000. Ne deriva, inoltre, la condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile costituita, come in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile D.A. in questo grado, che liquida in euro 3.500, oltre spese generali del 15%, IVA e CPA.