Corruzione dell’arbitro: escluso il reato, ma rimane la responsabilità civile

Con un recente decreto, il GIP di Milano consente di fare il punto sul tema dell’arbirato.

Il recente decreto emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Milano consente di fare il punto su un tema molto delicato che riguarda l’arbitrato e, cioè, quali siano le conseguenze di quel che, in via meramente descrittiva, possiamo chiamare corruzione dell’arbitro” e, cioè, promettere all’arbitro denaro o altra utilità che può essere, ad esempio, anche morale” come un incarico di prestigio cui l’arbitro tenga per lo svolgimento della propria funzione. Ma, come si vedrà, la denominazione è meramente indicativa perché, in realtà, di corruzione nel senso della fattispecie del reato di corruzione previsto dal codice penale quanto meno nel caso specifico non si può parlare. La decisione si colloca nel contesto di in una nota e complicata vicenda insorta tra una compagnia di assicurazione americana e il suo agente generale per l’Italia che rivendicava in due arbitrati il pagamento di somme arretrate nonché un risarcimento dei danni di circa 2 miliardi di euro. Dall’altra parte, vi era stata la denuncia in sede penale da parte della compagnia dell’ex agente generale per il reato ipotizzato di appropriazione indebita. L’investigazione difensiva sull’arbitro. Nell’ambito di quel contesto, la compagnia assicuratrice nell’ambito di rapporti così fortemente deteriorati – riferisce il GIP – incaricava un’agenzia investigativa al fine di vagliare se [l’agente generale] stesse intraprendendo azioni illecite. L’agenza era in grado di documentare come [l’agente generale], colloquiando con due agenti, avesse lasciato intuire di essersi assicurato una decisione favorevole in sede di arbitrato a fronte della promessa fatta al Presidente dei Collegi di versargli il 10% di quanto egli avrebbe ottenuto, Anche [il presidente dei Collegi arbitrali], avvicinato da altri due agenti, dichiarava di essere in grado di garantire decisioni favorevoli ad una determinata parte nei Collegi nei quali rivestiva la veste di Presidente . Peraltro quell’attività investigativa, sulla base di quel che emerge appare potersi inquadrarsi, forse, in quella sorta di provocazione” che in questi giorni è al centro di un dibattito sull’utilità e, soprattutto, sulla legittimità della figura dell’agente provocatore. Istanza di ricusazione. Anche sulla base di queste risultanze sulle quali si tornerà tra poco la compagnia aveva formulato un’istanza di ricusazione dell’arbitro che venne accolta, ma con riferimento all’esistenza di una forte contrapposizione tra il presidente nominato e la compagnia di assicurazione che aveva proposto anche nei suoi confronti azione risarcitoria che aveva messo in discussione la assoluta terzietà e indipendenza dell’arbitro come emerge dalla sentenza Cass. 20615/2017 che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’arbitro avverso la decisione del presidente del Tribunale di ricusazione . Accordo transattivo. Il complesso contezioso trovava poi una soluzione amichevole tra le parti nel senso che la compagnia avrebbe versato 60 milioni di euro all’ex agente con definizione di ogni giudizio. Rimaneva, tuttavia, aperta” la questione avviata dal deposito dell’istanza di ricusazione presso la Procura della Repubblica. Rispetto a questa, per completezza, va messo in evidenza come dal decreto emerge che il PM riteneva del tutto infondata la notizia di reato anche in ragione delle intercettazioni telefoniche che in realtà non avevano fornito riscontro all’ipotesi che fosse realmente intervenuto un accordo corruttivo . Non è configurabile la corruzione Orbene – al di là della fondatezza o no della notizia criminis – ha valutato preliminarmente se fossero configurabili in astratto i reati di corruzione o corruzione in atti giudiziari quando una delle parti sia un arbitro . A tal proposito l’art. 813, comma 2, c. p. c. stabilisce che agli arbitri non compete la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio e ciò anche se si è assistito ad un’equiparazione quanto agli effetti del lodo arbitrale alla sentenza . Il lodo è, quindi, equiparato alla sentenza quanto agli effetti , ma il rapporto in forza del quale gli arbitri svolgono la loro funzione è pur sempre privatistico. In altri e più chiari termini, la circostanza che una parte corrompa” id est l’arbitro al fine di ottenere un lodo a lui favorevole non potrà essere inquadrato nel reato di corruzione né di corruzione in atti giudiziari difettando la necessaria qualifica soggettiva dell’agente in termini di pubblico ufficiale come sarebbe richiesto dal codice penale. Il che, però, non significa che, concorrendone gli altri presupposti e altre circostanze, quella condotta possa essere inquadrata in altre fattispecie di reato che non richiedono la particolare qualifica soggettiva di pubblico ufficiale. Ma soprattutto, ciò non può essere portato ad estreme conseguenze ad esempio, non vi può essere dubbio che laddove vi sia una istituzione arbitrale pubblica che amministri arbitrati e/o provveda alla nomina degli arbitri – sebbene questi ultimi non siano pubblici ufficiali – i soggetti preposti ai relativi procedimenti debbano essere previsti nell’ambito del Piano triennale di prevenzione della corruzione di cui alla legge n. 190/2012. Ed infatti, quella condotta che per comodità abbiamo designato come corruzione” dell’arbitro potrebbe toccare e qui propriamente si parlerà di corruzione rilevanti ai sensi del codice penale per chi nomina l’arbitro di una certa controversia ne deriva che l’amministrazione dovrà prevedere forme adeguate di controllo di quell’attività né più né meno, per intendersi, di quanto viene previsto per chi presiede alle decisioni in materia di contratti pubblici. ma fatto illecito. Tuttavia – e questo è bene sottolinearlo – escludere l’astratta configurabilità del reato di corruzione non equivale certamente a ritenere priva di effetto quella condotta sulla cui illiceità non vi può essere alcun dubbio sul piano civilistico specie quando questa abbia prodotto un danno. Sul punto è chiaro anche il decreto del GIP il rapporto in forza del quale gli arbitri esercitano le loro funzioni è e rimane pur sempre privatistico con possibilità di dolersi di eventuali condotte illecite degli arbitri in sede civilistica . E la revocazione per dolo dell’arbitro? Inoltre, e fermo ogni altro profilo relativo ai rapporti tra ricusazione e nullità del lodo, la corruzione” dell’arbitro può rilevare anche come motivo di impugnazione del lodo ed infatti, l’art. 831 c.p.c. ammette la revocazione del lodo anche per il n. 1 dell’art. 395 c.p.c. e, cioè, per dolo del giudice . Certo, il 395, n. 1, c.p.c. richiede che vi sia il passaggio in giudicato dell’accertamento che, non potendo essere – per le ragioni già viste – un accertamento penale non potrà che essere un accertamento civile come sembra poter emergere anche dalla sentenza della Cass. 20615/2017 nella parte in cui prevede un giudizio di merito dove l’arbitro ricusato possa far valere il proprio diritto all’immagine a non essere ricusato . Peraltro, il tema del rapporto tra revocazione del lodo e possibilità di agire per il risarcimento del danno subito per effetto di una sentenza frutto di dolo potrebbe anche risentire degli effetti di una pronuncia di qualche anno fa sul celebre caso dell’impugnazione del lodo IMI SIR – MONDADORI dove, però, il dolo era stato di un giudice dell’impugnazione del lodo e non dell’arbitro . In quell’occasione la Suprema Corte affermò che l’azione risarcitoria per aver transatto a condizioni diverse da quelle che avrebbero potuto essere le condizioni in assenza della sentenza viziata ben poteva essere esercitata anche senza aver ottenuto la revocazione della sentenza Cass. 21255/2013 . Ecco allora che il tema della corruzione” dell’arbitro deve ancora essere approfondito anche perché la capacità dell’istituto arbitrale amministrato o ad hoc che sia di allontanare con i propri anticorpi la percezione da parte del pubblico di una possibilità di corruzione” dell’arbitro è condizione necessaria ed imprescindibile affinché lo strumento arbitrale possa diffondersi senza sospetti di sorta.

Tribunale di Milano, sez. Giudice per le Indagini Preliminari, decreto di archiviazione 24 ottobre 2017 Giudice Accurso Tagano Osserva La vicenda trae origine dal deposito presso l’ufficio ricezione atti della Procura in sede di un’istanza di ricusazione del Presidente di due Collegi Arbitrali, chiamati a pronunciarsi in due controversie che vedevano contrapposte da una parte la T. F. S. Inc. AF. e la Tr. R. G. e dall’altra la T. E. L. A. e la T. R. I. Srl TR. . La e la TR. erano entrambe riconducibili a S. An. che pretendeva il pagamento di commissioni arretrate, contestualmente avanzando richiesta di risarcimento danni, per importi pari a circa due miliardi di euro. A tali controversie di matrice civilistica se ne affiancava un’altra che vedeva il S. imputato davanti al Tribunale di Nola per il reato di appropriazione indebita con l’accusa di aver indebitamente fatto proprie somme della A Nell’ambito di rapporti così fortemente deteriorati il gruppo A.T., anche e soprattutto in ragione delle pretese, ritenute del tutto esorbitanti, avanzate dal S. in sede arbitrale incaricava un’agenzia investigativa al fine di vagliare se il S. stesse intraprendendo azioni illecite. L’agenzia era in grado di documentare come il S., colloquiando con due agenti, avesse lasciato intuire di essersi assicurato una decisione favorevole in sede di arbitrato a fronte della promessa fatta al Presidente dei Collegi di versargli il 10% di quanto egli avrebbe ottenuto. Anche il L., avvicinato da altri due agenti, dichiarava di essere in grado di garantire decisioni favorevoli ad una determinata parte nei Collegi nei quali rivestiva la veste di Presidente. Si ipotizzava, quindi, che il L. avesse accettato la promessa di una somma di denaro da parte del S. a fronte dell’impegno di favorirlo ingiustamente nelle controversie insorte con il gruppo A.T Si apprendeva, poi, che il tutto trovava una soluzione bonaria nel senso che l’A.T. si riconosceva debitrice dell’importo di euro 60.000.000 nei confronti del S. con chiusura di ogni controversia tra le parti. Il PM riteneva, quindi, del tutto infondata la notizia di reato anche in ragione degli esiti delle intercettazioni telefoniche che in realtà non avevano fornito riscontro all’ipotesi che fosse realmente intervenuto un accordo corruttivo. Deve, in realtà, preliminarmente chiedersi se siano configurabili i delitti di corruzione o di corruzione in atti giudiziari quando una delle parti sia un arbitro. L’art. 813, comma 2, c.c. stabilisce, infatti, che agli arbitri non compete la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio. La norma è stata inserita a seguito delle modifiche apportate con il d.lgs. 40/2006, alla luce del quale la Corte di Cassazione ha avuto modo di riconoscere al lodo arbitrale natura giurisdizionale. Brevemente con la sentenza a sezioni Unite n. 527/2000 la Corte di Cassazione aveva affermato che l’arbitrato è istituto ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale perché formato sulla rinuncia all’azione giudiziaria la pronuncia arbitrale ha natura di atto di autonomia privata e correlativamente il compromesso si è configurato come deroga alla giurisdizione. La spinta alla ricostruzione in chiave esclusivamente privatistica del dictum arbitrale nell’arbitrato rituale nasce dalla preoccupazione che soltanto questa mette l’istituto al riparo da rischio di incostituzionalità ex art. 102 Cost. Ora il problema è quello di equiparare le pronunce arbitrali che rispettino un determinato iter processuale alle sentenze dei giudici civili, senza collidere con i principi costituzionali, in tema di tutela di diritti. In tale filone si era già inserita la sentenza della Corte Costituzionale n. 127/1977, secondo la quale il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti perché solo la scelta dei soggetti intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24, comma 1, Cost, può derogare al precetto contenuto nell’art. 102 Cost.”. In sostanza l’autonomia delle parti, nel settore dei diritti disponibili, opera come presupposto del potere loro attribuito di far decidere controversie ad arbitri privati nelle forme e nei modi stabiliti dall’ordinamento giuridico. La Corte di Cassazione, pronunciandosi in tema di regolamento di giurisdizione, ha quindi affermato con la sentenza a sezioni unite n. 24153/2013 che la normativa, in parte introdotta con la legge n. 25 del 1994 ed in parte con il d.lgs. 02.02.2006 n. 40, pare contenere sufficienti indici sintomatici per riconoscere natura giurisdizionale al lodo arbitrale e per soddisfare quelle indicazioni sui limiti entro i quali la scelta di un giudice diverso da quello statale può essere dall’ordinamento affidata alla autonomia dei privati”. Si è, quindi, osservato che il lodo è autonomamente impugnabile, senza necessità che sia emanato il decreto di esecutività dello stesso. Si sono richiamate le norme sulla trascrizione e l’interruzione della prescrizione, ancora si è dato rilievo all’art. 819 ter cpc che, nel disciplinare il rapporto tra le cause devolute al giudizio degli arbitri e cause proposte al giudice ordinario, individua il rapporto tra i due processi in termini di competenza si è valorizzato l’art. 824 bis c.p.p. che equipara gli effetti del lodo dalla data della sua sottoscrizione a quelli della sentenza passata in giudicato per concludere che l’arbitrato rituale ha natura giurisdizionale e non negoziale. Ciò si è detto richiamando anche la motivazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2013 con la riforma attuata con il d.lgs. 40/2006 il legislatore ha introdotto una serie di norme che confermano l’attribuzione alla giustizia arbitrale di una funzione sostitutiva della giustizia pubblica. Anche se l’arbitrato rituale resta un fenomeno che comporta una rinuncia alla giurisdizione pubblica, esso mutua da quest’ultima alcuni meccanismi al fine di pervenire ad un risultato di efficacia sostanzialmente analoga a quella del dictum del giudice statale”. Si è, insomma, assistito ad un’equiparazione quanto agli effetti del lodo arbitrale alla sentenza, contestualmente però inserendo una disposizione atta a chiarire che l’arbitro non è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio proprio perché l’arbitrato rappresenta pur sempre una rinuncia alla giurisdizione pubblica con l’unica preoccupazione per il legislatore che l’attività posta in essere da soggetti privati possa essere equiparata, sul piano degli effetti, all’attività giurisdizionale esercitata dai magistrati. Pare, in sintesi, essersi voluto rimarcare che, se l’esito dell’attività svolta dagli arbitri, proprio perché regolamentata dalle legge e soggetta all’applicazione del diritto, può equipararsi all’esito dell’attività svolta dai giudici, il rapporto in forza del quale gli arbitri esercitano le loro funzioni è e rimane pur sempre privatistico con possibilità di dolersi di eventuali condotte illecite degli arbitri in sede civilistica. Gli arbitri operano e sono legati alle parti private esclusivamente in forza di un negozio giuridico di natura privatistica. Si tratta di un mandato, come ben esplicitato sempre dalla Corte di Cassazione civile con sentenza n. 6736/2014, nella quale si è escluso che i consulenti tecnici nominati dal collegio arbitrale potessero essere equiparati a quelli nominati nell’ambito di una procedimento avente pieno carattere giurisdizionale. La veste privatistica degli arbitri non viene meno per il solo fatto che la loro attività sia regolata dalla legge e si traduca nell’applicazione della legge. Né, proprio in ragione dell’espressa previsione normativa di cui all’art. 813, comma 2, c.p.c., viene meno in ragione dell’equiparazione del lodo ad una sentenza sul piano della tutela dei diritti. Difetta, quindi, in capo agli arbitri la qualifica di pubblico ufficiale e con essa la possibilità di configurare i reati ipotizzati dalla Pubblica Accusa. P.Q.M. Visto l’art. 415 c.p.p., Dispone l’archiviazione del procedimento. Autorizza il rilascio di copia agli aventi diritto. Ordina la restituzione degli atti al P.M.