La misura cautelare dell’obbligo di dimora integra un legittimo impedimento dell’imputato a comparire in udienza

Il sopravvenuto impedimento dell’imputato a comparire in udienza per la sottoposizione ad una misura cautelare restrittiva della libertà personale, nell’ambito di un diverso procedimento, non comporta per l’imputato medesimo l’obbligo di tempestiva comunicazione al giudice procedente.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7858/18, depositata il 19 febbraio. Il fatto. La pronuncia in commento ha accolto il ricorso presentato da un imputato che si doleva della violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice di merito nel mancato riconoscimento del suo legittimo impedimento a comparire in udienza, come ritualmente rappresentato dal difensore. In particolare, nel corso del dibattimento di primo grado, la misura cautelare degli arresti domiciliari a cui era sottoposto l’imputato nell’ambito di un diverso procedimento, veniva sostituita dall’obbligo di dimora nel Comune di dimora abituale, circostanza che aveva impedito la partecipazione in udienza in assenza di autorizzazione a lasciare il paese. Legittimo impedimento dell’imputato. Ribaltando il verdetto della Corte d’Appello, gli Ermellini affermano che la sottoposizione all’obbligo di dimora integra un’ipotesi di legittimo impedimento dell’imputato a comparire in udienza proprio per il contenuto tipico di tale misura e cioè la privazione della libertà di movimento del soggetto che, seppur inferiore rispetto alla custodia cautelare in carcere o ai domiciliare, non consente allo stesso di poter accedere alla sede dell’ufficio giudiziario, ove si svolge il diverso procedimento penale a suo carico, che si trovi in un diverso comune. Sarebbe infatti stata necessaria una specifica autorizzazione del giudice procedente, autorizzazione che la Corte territoriale non avrebbe potuto ritenere implicita nella precedente autorizzazione rilasciata quanto il ricorrente si trovava agli arresti domiciliari. In conclusione, gli Ermellini ribadiscono che non sussiste in capo all’imputato, a differenza del difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione al giudice procedente della sussistenza di un legittimo impedimento a comparire in udienza per lo stato di detenzione o comunque di limitazione della libertà personale sopravvenuta nel corso del procedimento. La Corte annulla dunque la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 novembre 2017 – 19 febbraio 2018, n. 7858 Presidente Fumo – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte d’appello di Lecce confermava la sentenza con cui il tribunale di Lecce, sezione distaccata di Tricase, aveva condannato M.A. alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato in rubrica ascrittogli. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, lamentando 1 violazione di legge, in ordine al mancato riconoscimento di un legittimo impedimento del M. a comparire all’udienza del 12.4.2011, innanzi al giudice di primo grado, ritualmente rappresentato dal difensore 2 violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine al mancato accoglimento, da parte del giudice di appello, della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, avanza dall’imputato 3 vizio di motivazione, in ordine al mancato riconoscimento in suo favore delle attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza sulle ritenute aggravanti. 3. Il ricorso va accolto, essendo fondato il primo motivo di impugnazione, in esso assorbite le ulteriori doglianze. 4. In via preliminare va rilevato che nel corso della celebrazione del dibattimento in primo grado la misura cautelare degli arresti domiciliari cui il M. era sottoposto nell’ambito di un diverso procedimento, veniva sostituita, dalla corte di appello di Lecce, con quella dell’obbligo di dimora nel comune di dimora abituale dell’imputato, individuato nel comune di residenza XXXX , in relazione al quale egli aveva dedotto, attraverso il suo difensore, l’impossibilità di comparire in udienza il giorno 12.4.2011, in difetto di autorizzazione a lasciare il suddetto comune. Secondo la corte territoriale l’imputato avrebbe dovuto attivarsi, avendone tutto il tempo, posto che la sostituzione della misura cautelare risaliva a circa due mesi prima della data fissata per l’udienza, per chiedere l’autorizzazione a lasciare il comune di residenza . Orbene tale assunto non può condividersi. Non appare revocabile in dubbio, al riguardo, che la sottoposizione del M. alla misura cautelare dell’obbligo di dimora nel comune di dimora abituale, integri un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire in udienza, posto che il contenuto tipico di tale misura, pur incidendo sulla libertà personale ed, in particolare, sulla libertà di locomozione del soggetto che vi è sottoposto in misura meno afflittiva della custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari, non consente comunque all’imputato di accedere liberamente alla sede dell’ufficio giudiziario dove si celebra il dibattimento a suo carico, nel caso in cui il suddetto ufficio si trovi, come quello in esame, al di fuori del comune di abituale dimora. Affinché l’imputato sottoposto alla misura cautelare di cui si discute possa allontanarsi dal comune di dimora abituale, infatti, occorre pur sempre, ai sensi dell’art. 283, co. 2, c.p.p., l’autorizzazione del giudice procedente, che non può ritenersi implicitamente contenuta, come afferma la corte di appello, nella precedente autorizzazione a partecipare a tutte le udienze innanzi alla sezione distaccata di Tricase senza scorta, rilasciata dal tribunale di Brindisi, dinanzi al quale pendeva il giudizio in relazione al quale il M. si trovava agli arresti domiciliari . Arbitraria, invero, appare l’operazione ermeneutica volta a mantenere in vita l’operatività di un provvedimento adottato in presenza di una determinata situazione cautelare nel frattempo modificatasi, senza tacere che la sopravvivenza del provvedimento autorizzativo del tribunale di Brindisi si pone in evidente contrasto con la citata diposizione dell’art. 283, co. 2, c.p.p., che riserva il potere di autorizzare l’imputato ad allontanarsi dal luogo di dimora abituale al giudice procedente, da individuarsi, nella fattispecie in esame, nella corte di appello di Lecce, da cui, come si è detto, è dipesa la sostituzione degli arresti domiciliari con l’obbligo di dimora. In conclusione può, dunque, affermarsi, conformemente ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che non sussiste a carico dell’imputato, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione al giudice procedente dell’esistenza di un legittimo impedimento a comparire in udienza, derivante dalla detenzione ovvero dalla limitazione della libertà personale conseguente alla sua sottoposizione ad una misura cautelare personale, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata, come nel caso in esame, solo in udienza, precludendo tale evenienza la celebrazione del giudizio, anche quando risulti che l’imputato avrebbe potuto informare il giudice in tempo utile del sopravvenuto impedimento a comparire, a meno che l’imputato stesso non acconsenta alla celebrazione dell’udienza in sua assenza o, se detenuto, rifiuti di assistervi cfr. Cass., sez. II, 10.2.2016, n. 8098, rv. 266217 Cass., sez. IV, 14.10.2014, n. 19130, rv. 263490 Cass., Sez. U., 26.9.2006, n. 37483, rv. 234600 . 5. Sulla base delle svolte considerazioni la sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio alla corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, per nuovo esame, da svolgersi conformemente ai principi di diritto innanzi indicati. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto.