Neonato abbandonato in un sacchetto: è tentato omicidio

Respinta ogni obiezione difensiva, volta a renderne meno grave la condotta. Esclusa l’ipotesi dell’abbandono morale. Evidente, secondo i Giudici, l’intenzione di uccidere il bambino, salvatosi solo grazie al marito della donna.

Ha partorito nel bagno di casa il figlio frutto di una relazione extraconiugale. Subito dopo, però, ha pensato bene di recidere il cordone ombelicale lasciandolo libero di sanguinare e successivamente ha preso il neonato, lo ha avvolto in un asciugamano e lo ha chiuso in un sacchetto di cellophane, lasciato sul davanzale della finestra. Il bambino si è salvato, grazie all’intervento del marito della madre, però ha riportato gravissime lesioni permanenti. Ma il mancato decesso non può certo rappresentare una sorta di ‘via di fuga’ per la donna, spiegano i Giudici, condannandola definitivamente per tentato omicidio” Cassazione, sentenza n. 7403, sezione I Penale, depositata oggi . Il dolo. La triste vicenda si è svolta in Emilia Romagna. Lì i Giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, hanno ritenuto la donna colpevole, senza alcun dubbio, di tentato omicidio ai danni del proprio neonato. Inequivocabile, in sostanza, la condotta da lei tenuta, e resa inefficace, alla fine, solo dall’intervento del marito, che svegliatosi per il pianto del neonato, aveva chiamato i soccorsi . Di parere diverso, ovviamente, il difensore della donna, che prova ad alleggerire la posizione della propria cliente, sottolineandone lo stato di abbandono morale e materiale , la personalità borderline e, infine, sostenendone la mancanza di dolo. Su quest’ultimo punto, in particolare, il legale spiega che la donna, qualora avesse voluto effettivamente disfarsi del neonato, lo avrebbe gettato dalla finestra o colpito in zone vitali , mentre la condotta materialmente tenuta non era idonea a determinarne la morte, in quanto le conseguenze subite dal neonato gravissime lesioni cerebrali e tetraplegia derivano esclusivamente dal dissanguamento causato dalla mancata legatura del cordone ombelicale, della cui necessità la donna era all’oscuro . L’azione e la condotta della madre . Ogni obiezione difensiva si rivela però inutile. Anche per i Giudici della Cassazione, difatti, a fronte del quadro probatorio tracciato, il comportamento tenuto dalla madre era idoneo a determinare la morte del neonato per asfissia o per dissanguamento . A testimoniarlo anche il consulente tecnico d’ufficio, il quale ha certificato l’esistenza di un effettivo e concreto pericolo di vita per il bambino, a causa delle azioni compiute dalla donna. Peraltro, non può essere ignorato il fatto che, quando il marito, destatosi a causa del pianto del neonato, si è recato in bagno , la donna ha posto in essere azioni volte a celare la propria precedente azione omicida , così tentando ulteriormente di portarla a termine , annotano i Giudici. Respinta anche l’ipotesi che la donna abbia agito preda di una situazione di abbandono. Su questo fronte vengono richiamate la condizione familiare disponibilità di un’abitazione, esistenza di uno stabile rapporto con il coniuge che aveva accettato di proseguire il rapporto nonostante la scoperta della relazione extraconiugale , personale piena capacità di orientarsi, di esprimersi e di mostrarsi in termini adeguati al contesto e sociale mantenimento di rapporti anche amichevoli con il partner .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 1 dicembre 2017 – 15 febbraio 2018, n. 7403 Presidente Rocchi – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Ravenna in data 18 luglio 2012 con la quale, all'esito del giudizio abbreviato, El. CO. è stata riconosciuta responsabile del delitto di tentato omicidio in danno del proprio neonato, a mente degli articoli 56, 575, 577, comma primo, n. 1, cod. pen., commesso immediatamente dopo l'espulsione del feto a fine gravidanza mediante la recisione del cordone ombelicale lasciato libero di sanguinare e il successivo avvolgimento del corpo in un asciugamano e chiusura dello stesso all'interno di un sacchetto di cellophane posto sul davanzale della finestra, non riuscendo nell'intento per l'intervento del coniuge che, svegliatosi per il pianto del neonato, chiamava i soccorsi. 2. Ricorre El. CO., a mezzo del difensore avv. Tu. Ma., che chiede l'annullamento della sentenza impugnata, denunciando - la violazione di legge, in relazione all'articolo 578 cod. pen., per il mancato riconoscimento della sussistenza dello stato di abbandono morale e materiale con conseguente diversa qualificazione del fatto, alla luce della difficoltà in cui si trovava la ricorrente di ricevere aiuto e conforto, non essendo sostenuta dal padre naturale del nascituro e non potendo rivolgersi al proprio coniuge che credeva conclusa la relazione extraconiugale e che non era al corrente della gravidanza primo motivo - il vizio della motivazione in relazione al mancato riconoscimento del vizio parziale di mente di cui all'articolo 89 cod. pen. in ragione dell'accertato disturbo di personalità borderline cui si affianca, secondo il consulente di parte, uno stato crepuscolare della coscienza secondo motivo - la violazione di legge, in relazione agli articoli 56, 575 cod. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo e alla univocità e idoneità della condotta, sia in considerazione del fatto che qualora la ricorrente avesse voluto effettivamente disfarsi del neonato lo avrebbe gettato dalla finestra o colpito in zone vitali, sia perché la condotta materialmente tenuta non era idonea a determinare la morte in quanto le conseguenze subite dal neonato gravissime lesioni cerebrali e tetraplegia derivano esclusivamente dal dissanguamento causato dalla mancata legatura del cordone ombelicale della cui necessità la ricorrente era all'oscuro, non potendosi in ogni caso escludere la sussistenza di patologie prenatali in grado di determinare le gravi lesioni accertate terzo motivo . Considerato in diritto 1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile perché generico e caratterizzato dalla mera riproposizione, in modo meramente assertivo, delle argomentazioni già sviluppate nei gradi di merito e puntualmente confutate in detta sede. I motivi di ricorso saranno analizzati secondo il loro ordine logico. 2. È inammissibile il terzo motivo di ricorso che denuncia la violazione di legge in relazione al tentativo di omicidio. 2.1. Con riguardo alla ricostruzione del fatto il provvedimento impugnato riporta gli elementi emersi a carico della ricorrente, costituiti dalle dichiarazioni del coniuge, dalla consulenza tecnica sul neonato, dalle dichiarazioni dei sanitari, assolutamente concordi nella ricostruzione dei fatti, li valuta adeguatamente e puntualmente motiva sull'attendibilità delle dichiarazioni e sulla convergenza del materiale probatorio anche in considerazione del contributo conoscitivo portato, sul fatto materiale, dalla stessa imputata. 2.2. Non è compito del giudice di legittimità compiere una rivalutazione di tale compendio probatorio, sulla base delle prospettazioni del ricorrente, avendo questa Corte chiarito già da tempo che esula dai suoi poteri una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, Mi. Sez. Un. n. 6402 del 2.7.1997, De., Rv. 207944 Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, Clarke, Rv. 203428 . 2.3. Pur prospettando un errore di diritto, il ricorso è del tutto aspecifico e generico, giacché si limita a proporre una diversa lettura delle acquisizioni probatorie ovvero a contestare con mere asserzioni elementi probatori ampiamente illustrati e riassunti in conclusioni che sono censurate per aspetti secondari e in modo assertivo. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede giacché non possono condurre a una rivalutazione del materiale probatorio le poche asserzioni riportate in ricorso, la cui pretesa contraddittorietà non è in alcun modo argomentata né risulta specificamente prospettata. 2.4. Le sopra richiamate considerazioni consentono di ritenere parimenti inammissibili le generiche censure rivolte alla qualificazione giuridica del fatto, poiché il ricorso non si confronta con l'apparato motivazionale che evidenzia, oltre alle caratteristiche della condotta, l'idoneità della stessa a determinare la morte del neonato per asfissia o dissanguamento e le conclusioni del consulente tecnico che ha affermato l'esistenza di un concreto ed effettivo pericolo di vita, sicché si presentano del tutto congetturali e ipotetiche le argomentazioni concernenti l'origine prenatale delle patologie riscontrate che, invece, i periti hanno univocamente attribuito all'anossia e al dissanguamento. 2.5. Sono, del pari, inammissibili le censure afferenti all'animus necandi tenuto conto della specifica condotta posta in essere e del successivo comportamento assunto allorquando il coniuge, destatosi a causa del pianto del neonato, si è recato in bagno seguito dall'imputata che poneva in essere azioni volte a celare la propria precedente azione omicida, così tentando ulteriormente di portarla a termine. Sono, infine, logicamente poco comprensibili le argomentazioni che, allo scopo di escludere il dolo omicida, fanno leva sull'esistenza di valide condotte alternative certamente più idonee allo scopo. 3. Il primo motivo di ricorso, attinente alla violazione di legge art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen. , appare inammissibile poiché viene solo formalmente censurata l'interpretazione dell'art. 578 cod. pen., mentre di fatto è criticata la motivazione della sentenza impugnata, tanto che il ricorso evidenzia, seppure genericamente, gli elementi che attengono alla - dedotta - erroneità della motivazione, senza contestare l'applicazione delle norme di legge fatta dalla Corte di appello. 3.1. Con riguardo alla fattispecie d'infanticidio, il Collegio condivide il più recente e prevalente orientamento di legittimità, secondo il quale l'integrazione della fattispecie criminosa di infanticidio non richiede che la situazione di abbandono materiale e morale rivesta un carattere di oggettiva assolutezza, trattandosi di un elemento oggettivo da leggere in chiave soggettiva, in quanto è sufficiente anche la percezione di totale abbandono avvertita dalla donna nell'ambito di una complessa esperienza emotiva e mentale, quale quella che accompagna la gravidanza e poi il parto Sez. 1, Sentenza n. 26663 del 23/05/2013, Bo., Rv. 256037 . 3.2. La Corte di appello ha, in effetti, esaminato con motivazione adeguata e coerente, esente da vizi logici e giuridici, il tema della responsabilità dell'imputata con riguardo al delitto di tentato omicidio aggravato, valorizzando, in senso contrario a quanto dedotto con l'atto di appello, gli elementi di fatto che consentono di escludere, anche in ottica soggettiva, la ricorrenza della diversa fattispecie di cui all'art. 578 cod. pen., con riferimento - alla rescissione del cordone ombelicale senza provvedere alla legatura pur in presenza di una evidente perdita di sangue, - all'avvolgimento del neonato in un asciugamano che ne ostacolava il respiro, ulteriormente impedito dall'inserimento all'interno di un sacchetto di cellophane chiuso ermeticamente e con il successivo abbandono del plico sul davanzale della finestra, - alle circostanze attinenti alla condizione famigliare la disponibilità di un'abitazione, l'esistenza di uno stabile rapporto con il coniuge che aveva accettato di proseguire il rapporto nonostante la scoperta della relazione extraconiugale , personale la piena capacità di orientarsi, di esprimersi e di mostrarsi in termini adeguati al contesto, proprio in occasione del reato allorquando la ricorrente non ha richiesto l'aiuto del marito finanche quando questi, svegliatosi per il pianto del neonato, si recava nel bagno e scopriva l'involto e sociale il mantenimento di rapporti anche amichevoli con il partner . 3.2. Il primo motivo di ricorso è, sul punto, manifestamente infondato poiché le censure, a tenore meramente confutativo, tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio, rimessi all'esclusiva competenza del giudice di merito, senza confrontarsi con le motivazioni offerte dal giudice di appello, trattandosi di un ricorso reiterativo di argomentazioni e tesi giuridiche esaminate e motivatamente superate. 4. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato il quale, valorizzando le concordi conclusioni del perito e del consulente di parte nel corso delle indagini preliminari era stata svolta una perizia ex art. 360 cod. proc. pen. con la partecipazione del CT di parte dott. Za. in ordine al disturbo della personalità riscontrato nell'imputata, motivatamente e logicamente illustra l'assenza di elementi indicativi della gravità di detto disturbo nonché il difetto di legame eziologico tra detto disturbo e la specifica azione criminosa conformemente a Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Ra., Rv. 230317 , senza che sul punto il ricorso muova alcuna specifica critica. 4.1. Il ricorso, infatti, ripropone le argomentazioni successivamente sviluppate da un altro consulente tecnico della difesa, senza confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato che le ha ritenute generiche con ampia e congrua motivazione. 5. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000 , anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000 in favore della Cassa delle ammende.