L’uso di un falso profilo facebook per adescare il minore è sintomo di gravità del reato

Aveva creato un falso profilo facebook per avvicinare la ragazzina e conquistarne la fiducia. Ma le attenzioni dell’uomo sono poi sfociate nel delitto di cui all’art. 609-quater c.p., nel quale i giudici hanno interpretato l’uso del social network quale modalità subdola dell’adescamento .

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7006/18, depositata il 14 febbraio. Il caso. L’imputato, al quale veniva contestato il reato di atti sessuali con minore infraquattordicenne dopo aver adescato la ragazzina utilizzando un falso profilo facebook nel quale dichiarava di avere 17 anni , veniva condannato a 4 anni di reclusione, decisione confermata anche in secondo grado. Avverso la condanna, l’imputato ricorre per cassazione lamentando in particolare la carenza motivazionale della sentenza nella parte in cui negava la sussistenza della fattispecie attenuata di cui all’art. 609- quater , comma 4, c.p., oltre che per la parte in cui veniva individuato qual elemento di gravità del reato l’adescamento della persona offesa tramite un falso profilo facebook. Gravità della condotta. Il ricorso si rivela manifestamente infondato. La Corte di merito ha infatti correttamente qualificato la condotta in quanto, pur considerando il sentimento che il ricorrente ha confessato di provare nei confronti della minore, la modalità subdola dell’adescamento con il falso profilo sui social network giustifica la negazione del fatto di minore gravitò invocato dal ricorrente e la negazione delle attenuanti generiche. Il provvedimento impugnato risulta dunque immune da censure, in quanto argomenta adeguatamente la decisione anche sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, dell’estrema gravità oggettiva del fatto, dell’intensità del dolo e della lesività dell’equilibrio psico-fisico della vittima. In conclusione il ricorso viene dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 novembre 2017 – 14 febbraio 2018, n. 7006 Presidente Rosi – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. P.G.M. è stato chiamato a rispondere del reato di cui al capo A , art. 609quater, n. 1, c.p., perché, dopo aver fatto entrare in auto la persona offesa, minore infraquattordicenne, baciandola in bocca, le aveva sfilato i pantaloni e gli slip, ed aveva consumato un rapporto sessuale completo, in omissis al capo B , art. 609undecies c.p., perché, allo scopo di commettere il delitto di cui al capo A , utilizzando un falso profilo facebook e dichiarando di avere 17 anni, aveva adescato la minore predetta, in omissis . 1.1. Con sentenza in data 12.1.2016, il Giudice dell’udienza preliminare di Napoli ha condannato l’imputato ad anni 4 di reclusione, oltre spese anche di custodia cautelare, pene accessorie e risarcimento del danno alla parte civile da liquidarsi in separata sede, assorbito il reato di cui al capo B nel reato di cui al capo A e con la diminuzione del rito. 1.2. Con sentenza in data 18.11.2016 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado. 2. Con il primo motivo di ricorso, l’imputato lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p. in relazione alla violazione dell’art. 192 c.p.p., quanto al verbale delle dichiarazioni rese ex art. 391bis c.p.p. dal testimone oculare V.F. in data 5.10.2015, il cui contenuto era differente e logicamente incompatibile con quanto argomentato nella sentenza impugnata sì da portare ad un giudizio di natura completamente diverso. Il teste aveva infatti riferito che l’amico gli aveva detto che provava del sentimento per la ragazza, che l’aveva accompagnato ad un parcheggio dove si erano visti per dieci minuti, che egli si era allontanato per lasciarli parlare da soli. Con il secondo motivo di ricorso, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , in relazione agli art. 192 c.p.p., 609quater, comma 4, 609undecies, 62bis c.p. Assume che non era idonea né supportata da adeguata logicità la motivazione che aveva condotto ad escludere l’ipotesi attenuata di cui all’art. 609quater, comma 4, c.p. La Corte territoriale si era limitata ad indicare quale elemento di gravità l’adescamento con il falso profilo facebook. Tuttavia, tale circostanza, neanche suffragata dalla prova raccolta, non poteva ritenersi idonea a fondare la condanna perché, al limite, rilevava ai fini della colpevolezza del delitto di cui all’art. 609undecies c.p. Quanto alla consumazione del delitto di atti sessuali , la precedente condotta di adescamento non poteva influire perché si doveva invece invocare il contenuto degli atti ed eventualmente la sussistenza di una coercizione morale e psicologica. La Corte territoriale aveva omesso di indagare se vi erano stati comportamenti di tale natura, limitandosi a sottolineare l’adescamento come elemento sintomatico di gravità. Lamenta in particolare la motivazione apparente perché era stato posto a fondamento dell’esclusione della riqualificazione del fatto contestato un solo elemento che, per la sua natura, non incideva sul delitto di atti sessuali una cosa era dimostrare la gravità degli atti sessuali ed un’altra dimostrare che gli stessi erano teleologicamente collegati ad un’attività di capzioso e subdolo adescamento. Rispetto alla negata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale si era limitata a riprodurre apoditticamente gli stessi parametri utilizzati per negare la riqualificazione del fatto così come invocata e per affermare la responsabilità penale in relazione al delitto di cui all’art. 609undecies c.p., omettendo di considerare il comportamento processuale tenuto, sia quando sottoposto ai vincoli cautelari sia in sede di spontanee dichiarazioni, ove aveva affermato di essersi pentito di aver avuto una relazione sentimentale con la ragazza e di essere pronto ad assumersene ogni responsabilità. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. 3.1. Lo stesso imputato ha dichiarato di aver ammesso gli addebiti, sebbene giustificati da un reale sentimento provato nei confronti della minore. In considerazione di ciò, del tutto irrilevante appare il primo motivo di ricorso relativo all’interpretazione della testimonianza dell’amico. Sta di fatto che l’imputato aveva un falso profilo su facebook e con questo aveva adescato la ragazzina con cui aveva consumato il rapporto di cui al capo d’imputazione. La Corte territoriale ha confermato il giudizio di attendibilità della persona offesa già reso in primo grado, perché il certificato della psicologa, acquisito in atti, lungi dall’evidenziare i denunciati profili d’inattendibilità, dava conto piuttosto del profilo di una ragazza fragile, soggiogata da un uomo più grande, desiderosa di apparire agli occhi di questi più matura ed attraente della sua età anagrafica. La separazione dei genitori le aveva provocato una sensazione di vuoto con ricerca di conferme e riconoscimenti personali, anche al di fuori dell’ambito familiare. Questa situazione l’aveva indotta ad una tendenziale idealizzazione di persone e rapporti con un’incapacità di valutare le conseguenze di atti e comportamenti propri ed altrui. 3.2. Quanto al trattamento sanzionatorio, la motivazione della sentenza impugnata è sufficiente sia con riferimento alla negazione dell’attenuante del fatto di minore gravità sia con riferimento alla negazione delle attenuanti generiche, considerata la modalità subdola dell’adescamento con il falso profilo sui social network, tesa ad ottenere prima delle foto spinte e poi ad instaurare una relazione di fiducia con la ragazza solo per avere dei rapporti sessuali completi, l’estrema gravità oggettiva del fatto, l’intensità del dolo e la lesività dell’equilibrio psico-fisico della vittima. 3.3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Le spese della costituzione di parte civile ammessa al patrocinio a carico dell’Erario sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla refusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile R.R. che liquida in Euro 3.000,00 oltre accessori di legge, spese generali al 15% da distrarsi in favore dell’Erario.