I criteri per il riconoscimento della scriminante della legittima difesa e dell’eccesso colposo

Imputato assolto per il reato di maltrattamenti, ma condannato per tentato omicidio. Inutile la difesa dell’imputato che invocava la scriminante della legittima difesa o dell’eccesso colposo. Nessuna proporzione tra offesa e difesa né necessità di rimuovere un pericolo attuale.

Sul punto la Suprema Corte con sentenza n. 6972/18, depositata il 13 febbraio. La vicenda. Il Tribunale di Cosenza dichiarava l’imputato colpevole dei delitti di tentato omicidio, in danno del figlio della compagna, e di maltrattamenti ai danni della compagna stessa con lui convivente. Contro tale decisione ricorre in appello il condannato chiedendo l’assoluzione da tutti i reati ed invocando per il tentato di omicidio la scriminante della legittima difesa. La Corte d’Appello assolveva l’appellante dal delitto di maltrattamenti, reputando non provata l’abitualità della condotta né il dolo, e riconosceva l’attenuante della provocazione, rigettando nel resto il gravame. In particolare in relazione al reato di tentato omicidio la Corte territoriale escludeva che potesse ricorrere la scriminante della legittima difesa o l’eccesso colposo. Avverso la decisione di merito ricorre per cassazione il condannato. Niente legittima difesa né eccesso colposo. Il ricorrente lamenta in Cassazione che la Corte di merito non abbia adeguatamente argomentato la decisione di escludere il riconoscimento della legittima difesa ex art. 52 c.p. o dell’ipotesi di eccesso colposo ex art. 55 c.p I Giudici di legittimità, per quanto concerne la scriminante della legittima difesa, hanno rilevato che correttamente la Corte territoriale aveva escluso la configurabilità della scriminante per il mancato requisito dell’attualità dell’offesa previsto dall’art. 52 c.p Infatti anche se in precedenza il figlio della compagna aveva aggredito l’imputato, per difendere la madre, al momento del tentato omicidio non vi era nessuna aggressione in atto. Infine, la Suprema Corte, in relazione all’ipotesi di eccesso colposo, ha applicato il consolidato principio della giurisprudenza di legittimità secondo il quale l’eccesso colposo nella legittima difesa necessità il requisito della proporzione della difesa rispetto all’offesa, una volta che si diano i presupposti requisiti dell’aggressione ingiusta attuale e della necessità di difendersi . Nella fattispecie in esame questi presupposti, in specie del bisogno di rimuovere un pericolo attuale, sono assenti e ciò impedisce di ravvisare l’eccesso colposo, il quale si caratterizza per l’erronea valutazione di detto pericolo e della adeguatezza dei mezzi usati . In conclusione la Corte ha ritenuto infondato il prospettato motivo e rigettato il ricorso, condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 novembre 2017 – 13 febbraio 2018, n. 6972 Presidente Di Tomassi – Relatore Centofanti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza pronunciata il 27 maggio 2015 il G.U.P. del Tribunale di Cosenza, in esito a giudizio abbreviato, dichiarava D.L.E.A. colpevole dei delitti di tentato omicidio, in danno di P.P. , e di maltrattamenti, ai danni della compagna C.O. , nonché della contravvenzione di porto ingiustificato di coltello a serramanico, assolvendolo viceversa dai delitti di detenzione e porto di arma comune da sparo. Secondo la ricostruzione operata in sentenza, i fatti si inserivano in un contesto di vessazioni poste in essere dall’imputato ai danni della convivente C.O. , verso la quale l’uomo, ingiustificatamente geloso e dedito all’alcol, teneva da anni condotte ingiuriose, minatorie e lesive. Ciò provocava spesso l’intervento del figlio di lei, P.P. , a difesa della madre. La sera del OMISSIS era insorta, all’esterno della comune abitazione, l’ennesima lite, durante la quale P. aveva preso un bastone e tentato di aggredire l’imputato, che, per mettersi in salvo, era riparato in casa, chiudendosi in cucina. La situazione sembrava essersi calmata, allorché improvvisamente l’imputato si era nuovamente portato verso l’esterno, armato di fucile, e sull’uscio, o poco oltre, ma rimanendo comunque nel cortile privato, aveva esploso un colpo contro P. , attingendolo all’altezza della regione mammaria sinistra quindi, anche perché raggiunto e pressato dalla convivente, aveva lasciato cadere l’arma da fuoco, estraendo però da dosso un coltello e prendendo ad inseguire la vittima che, ferita, si stava allontanando. L’azione si era quindi conclusa con l’abbandono del coltello nei pressi di una cabina elettrica. Sulla base delle risultanze di causa il primo giudice riteneva insussistenti i soli delitti di porto e detenzione di fucile siccome non appartenente a D.L. , né da lui condotto fuori delle appartenenze dell’abitazione . Quanto al tentato omicidio, lo stesso giudice riteneva l’idoneità ed univocità degli atti e l’esistenza del necessario dolo, escludeva la scriminante della legittima difesa come pure l’attenuante della provocazione, escludeva l’aggravante dei futili motivi e, concesse le attenuanti generiche, posti i reati tra loro in continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., condannava l’imputato, ex art. 442 comma 2 cod. proc. pen., alla pena di quattro anni di reclusione, oltre che al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. 2. Appellava l’imputato, chiedendo l’assoluzione da tutti i reati ed invocando per il tentato omicidio la scriminante della legittima difesa o, almeno, il riconoscimento dell’eccesso colposo . Subordinatamente, l’imputato insisteva per la concessione dell’attenuante della provocazione e per una congrua diminuzione della pena. Proponeva invece direttamente ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello sul punto relativo alla sussistenza del vincolo della continuazione tra tentato omicidio e maltrattamenti. Il ricorso era convertito in appello ai sensi dell’art. 580 cod. proc. pen 3. Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro assolveva D.L. dal delitto di maltrattamenti, reputando non adeguatamente comprovati né l’abitualità della condotta né il sottostante uniforme dolo. Riconosceva inoltre l’invocata attenuante della provocazione, diminuendo corrispondentemente la pena, fissata nella conclusiva misura di tre anni e quattro mesi di reclusione. Rigettava nel resto il gravame dell’imputato, assorbito quello della pubblica accusa. Per quel che riguarda la dinamica del tentato omicidio, la Corte di merito, dopo aver aderito alla ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale, riteneva anzitutto l’idoneità degli atti P. si salvò solo grazie ad un istintivo cambio di postura e l’intento omicidiario stante la tipologia del mezzo, la breve distanza, la sede corporea attinta . La Corte escludeva, poi, potesse ricorrere la legittima difesa o l’eccesso colposo , sia per difetto del requisito della proporzionalità, sia, e soprattutto, in considerazione delle modalità e dei tempi di reazione dell’imputato, che, semplicemente rimanendo in casa, non sarebbe stato esposto ad ulteriore pericolo. 4. Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, formulando due motivi. 4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, sotto il profilo del mancato riconoscimento della legittima difesa ex art. 52 cod. pen. o dell’ipotesi di eccesso colposo ex art. 55 cod. pen La Corte di merito si sarebbe limitata a recepire sul punto la decisione del primo giudice, senza adeguatamente argomentare le ragioni che la inducevano a disattendere la prospettazione difensiva. Era stato infatti rappresentato che P. aveva tentato di stanare D.L. prendendo a bastonate la porta dell’abitazione. Una volta allontanatosi P. , D.L. decise di uscire né sarebbe potuto rimanere a tempo indeterminato confinato in casa e si armò per il caso fosse stato riaggredito, come infatti puntualmente accadde. Ecco allora la reazione difensiva dell’imputato, che si arrestò appena l’aggressore cadde in terra, lievemente ferito ma inoffensivo se D.L. avesse voluto veramente uccidere, vi sarebbe del resto riuscito e nessun cambio di postura avrebbe potuto impedirlo. Né risponderebbe a verità che l’azione dell’imputato sia in seguito proseguita con l’uso del coltello. In ogni caso, la Corte di merito avrebbe totalmente trascurato la circostanza che l’azione era comunque iniziata in presenza della causa di giustificazione, e al più D.L. , uscendo precipitosamente dall’abitazione in quanto impaurito, avrebbe superato, per colpa, i limiti ad essa interni. 4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla contravvenzione di porto ingiustificato di coltello. D.L. avrebbe dovuto essere da essa assolto per le stesse ragioni per cui lo fu rispetto al fucile. D’altra parte, l’unica prova che egli l’abbia utilizzato sta nelle dichiarazioni della convivente C. , già giudicata inattendibile a proposito dei maltrattamenti né P. aveva subito alcuna ferita d’arma da taglio. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. La Corte di merito ha escluso la configurabilità della legittima difesa per l’assorbente constatazione che nella specie era mancato il requisito dell’attualità dell’offesa, che è elemento costitutivo della scriminante di cui all’art. 52 cod. pen P. aveva sì in precedenza tentato di aggredire l’imputato, anche colpendo con il bastone la porta dell’abitazione che quest’ultimo si era chiuso alle spalle, ma infine aveva desistito e si era allontanato circostanza quest’ultima che, di per sé, neppure il ricorrente contesta e si era allontanato quanto bastava per non rappresentare una fonte attuale di pericolo, tanto più che D.L. si trovava ormai all’interno dell’ambiente domestico idoneo a proteggerlo. La tenuta logica di questo ragionamento appare evidente, al punto che la difesa, per infirmarla, è indotta ad allegare che P. , alla vista dell’imputato uscito di casa, sia tornato indietro e - benché quello fosse armato di fucile abbia ripreso ad aggredirlo. Si tratta di una ricostruzione alternativa della vicenda, che la Corte di merito ha espressamente preso in esame ed adeguatamente confutato, anzitutto sulla base delle dichiarazioni rese dallo stesso imputato in sede di convalida dell’arresto, oltre che dall’accertata distanza circa cinque metri tra i due uomini al momento dello sparo, e che per l’effetto non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità v., da ultimo, Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, Rv. 270519 . Quanto all’esistenza del dolo omicidiario, trattasi invero di profilo appena lambito dal motivo di ricorso, che dal suo negativo riscontro intenderebbe trarre ulteriore spunto per affermare il fine di difesa e quindi la doverosa applicazione della scriminante. In disparte il rilievo che i due temi non sono affatto correlati potendo la legittima difesa essere negata ancorché l’azione dell’imputato si dirigesse a procurare mere lesioni , la sentenza impugnata dà analitico e ragionato conto degli elementi che l’hanno indotta a ritenere un dolo siffatto, cui il ricorrente non oppone alcun logico argomento contrario. Ineccepibile è anche la raggiunta conclusione, che nella specie non possa rilevare l’eccesso colposo di cui all’art. 55 cod. pen Esso infatti, nella legittima difesa, investe il requisito della proporzione della difesa rispetto all’offesa, una volta che si diano i presupposti requisiti dell’aggressione ingiusta attuale e della necessità di difendersi, che qui invece difettano. L’assenza di questi presupposti, in specie del bisogno di rimuovere un pericolo attuale, impedisce di ravvisare l’eccesso colposo, che si caratterizza per l’erronea valutazione di detto pericolo e della adeguatezza dei mezzi usati Sez. 5, n. 26172 del 11/05/2010, Rv. 247898 . 2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La sentenza impugnata, come già quella di primo grado, ritiene il porto ingiustificato del coltello sulla base di elementi di prova logici e puntuali, a partire dal luogo esterno all’abitazione dell’imputato ed alle appartenenze dove il coltello venne dai Carabinieri ritrovato abbandonato, che costituisce riscontro delle convergenti informazioni testimoniali che non si esauriscono in quella di C. . Nessun valido confronto può essere istituito con il fucile, che l’imputato non deteneva ma prese all’impronta né portò in luogo pubblico o aperto al pubblico, e nessun rilievo, idoneo a scalfire il coerente decisum sul punto, può essere attribuito al fatto che il coltello non servì a ferire P. . 3. Il ricorso deve essere conclusivamente rigettato. Segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile P.P. , che si liquidano, come da dispositivo, tenuto conto dell’impegno defensionale profuso. Non può essere riconosciuto il rimborso delle spese in favore della parte civile C.O. , essendo la sua domanda risarcitoria già stata disattesa in sede di merito per effetto dell’intervenuta assoluzione dell’imputato dal reato di maltrattamenti. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in favore della parte civile P.P. delle spese sostenute nel grado, che liquida in complessivi Euro 3000,00 per onorari oltre accessori spese generali, IVA e CPA come per legge.