«Illegale» la reclusione disposta in riforma della sentenza assolutoria emessa dal Giudice di Pace

La sentenza emessa in riforma della pronuncia del Giudice di Pace non può prevedere la pena della reclusione poiché, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 274/2000 Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace , tale pena non rientra tra quelle che possono essere disposte dal Giudice di Pace per i reati attribuiti alla propria competenza.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 6990/18, depositata il 13 febbraio. Il caso. Il Tribunale di Foggia, in qualità di Giudice dell’esecuzione, dichiarava, con ordinanza, inammissibile la richiesta volta ad ottenere la declaratoria di ineseguibilità della sentenza emessa nei confronti dell’imputato, la quale riformava la sentenza assolutoria pronunciata dal Giudice di Pace. Avverso l’ordinanza del Tribunale l’imputato ricorre per cassazione denunciando l’illegalità della sentenza in quanto contrastante con i principi costituzionali e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Difatti, il Giudice avrebbe riformato la sentenza di assoluzione non disponendo la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, infliggendo una pena detentiva in accoglimento dell’appello di parte civile ed in assenza di appello da parte del PM e, nell’infliggere la citata pena, sarebbe incorso in violazione del’art. 52 d.lgs. n. 274/2000 Disposizioni sulla competenza penale del Giudice di Pace . La sentenza di condanna a pena detentiva. Il Supremo Collegio ribadisce che la sentenza di condanna a pena detentiva, pronunciata in riforma di una pronuncia assolutoria di primo grado e derivante da appello proposto dalla sola parte civile, viola l’art. 52 Sanzioni d.lgs. n. 274/2000, poiché detto articolo, invero, prevede per i reati attribuiti alla competenza del Giudice di Pace solo pene pecuniarie, la pena della permanenza domiciliare e quella del lavoro di pubblica utilità . Dunque, la Suprema Corte rileva che trattandosi di appello per reati di competenza del Giudice di Pace, la pena inflitta della reclusione appare illegale e che a ogni modo non risulta dagli atti né dal provvedimento impugnato, né dalla sentenza che si tratti di ipotesi di riforma consentita al Tribunale previo appello della persona offesa . Pertanto la Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 dicembre 2017 – 13 febbraio 2018, n. 6990 Presidente Di Tomassi – Relatore Di Giuro Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Foggia in composizione monocratica, quale giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile la richiesta, formulata nell’interesse di C.M. e S.L. , finalizzata ad ottenere la declaratoria di ineseguibilità della sentenza emessa nei loro confronti dallo stesso Tribunale in data 01/10/2015, irrevocabile il 10/01/2016, quale giudice di appello, che ha riformato la sentenza assolutoria emessa dal Giudice di pace, condannando i suddetti alla pena di mesi quattro di reclusione. 2. Avverso detta ordinanza propongono ricorso per cassazione C.M. e S.L. , tramite il proprio difensore, deducendo violazione degli artt. 101 Cost. e 7 Cedu. Ci si duole che nel giudizio di appello sia stata affermata la penale responsabilità dei suddetti prosciolti in primo grado sulla base delle prove dichiarative, in assenza di una previa nuova assunzione diretta dei testimoni, come statuito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 27620/2016. Si evidenzia che anche nell’ipotesi di appello proposto dalla parte civile si debba procedere al rinnovo dell’istruttoria dibattimentale anche se al limitato fine della affermazione di responsabilità civile. Si rileva come la legalità della pena sia un tema che in fase esecutiva deve ritenersi costantemente sub iudice e come nel caso di specie non si trattasse solo di determinare la pena ma di riaffermare il diritto, essendo stata emanata una sentenza di condanna a pena detentiva in difetto della summenzionata rinnovazione. Si evidenzia come nel caso di specie vi fosse un vizio ancora più grave, essendo stata la pena inflitta con una pronuncia, che esulava completamente dai poteri del Tribunale quale giudice di appello, di riforma della sentenza assolutoria in difetto di un appello del P.m. e sul solo appello della parte civile. 3. Con memoria depositata il 7.11.2017, in replica alla requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, la difesa ritorna sulla flessibilità del giudicato in punto di legalità della pena ed evidenzia come nel caso di specie si sia in presenza di una sentenza illegale in quanto in contrasto con i principi della Costituzione e della Cedu, in particolare a per avere riformato una sentenza assolutoria senza rinnovare l’istruttoria dibattimentale, b per avere, in accoglimento dell’appello della parte civile e in difetto dell’appello del P.m., inflitto una pena detentiva, c per avere inflitto una pena detentiva in violazione dell’art. 52 del d. lgs. n. 274 del 28 agosto 2000. Il tutto in violazione dei principi convenzionali in tema di processo equo art. 6 Cedu , con la conseguenza che in presenza di una pena non conforme al principio di legalità convenzionale è fatto obbligo al giudice dell’esecuzione di ricalcolare la sanzione. Il difensore insiste per l’accoglimento del ricorso. 3. Il ricorso è fondato nei limiti che di seguito verranno indicati. Correttamente l’ordinanza impugnata, a fronte del rilievo sull’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel giudizio di appello conclusosi con condanna degli imputati in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, ha evidenziato come si fosse fuori del sindacato del giudice dell’esecuzione, limitato al controllo dell’esistenza e della legittimità del titolo esecutivo, e non si potesse parlare di illegalità della pena, trattandosi di un mero revirement giurisprudenziale . Invero, in tema di esecuzione, la sentenza di condanna passata in giudicato non può essere revocata, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., nell’ipotesi in cui, in assenza di innovazione legislativa ovvero di declaratoria di incostituzionalità, si verifichi un mutamento dell’interpretazione giurisprudenziale di una disposizione rimasta invariata, in quanto tale mutamento - anche se sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - non determina alcun effetto abrogativo della disposizione interpretata Sez. 1, n. 11076 del 15/11/2016 - dep. 08/03/2017, Bibo, Rv. 269759 fattispecie in cui era invocata la rideterminazione in executivis della pena, previa esclusione dell’aggravante ex art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, in virtù dell’arresto giurisprudenziale relativo ai presupposti applicativi di tale disposizione, rappresentato dalla pronuncia delle Sezioni Unite Penali n. 36258 del 2012 . Inoltre, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 230 del 2012 ha tenuto ben distinto il mutamento legislativo dal mutamento di indirizzo giurisprudenziale escludendo la possibilità di estendere il procedimento di revoca del giudicato in executivis ex art. 673 cod. proc. pen. per i casi di abolitio criminis all’ipotesi di overruling favorevole. Fondato è, invece, la doglianza circa una sentenza di condanna a pena detentiva, in riforma della pronuncia assolutoria di primo grado, su appello della sola parte civile ed in violazione dell’art. 52 del d. lgs. n. 274 del 28 agosto 2000. Detto articolo, invero, prevede per i reati attribuiti alla competenza del Giudice di pace solo pene pecuniarie, la pena della permanenza domiciliare e quella del lavoro di pubblica utilità, individuando dei criteri di conversione delle pene della reclusione e dell’arresto già previste per detti reati. Osserva, invero, questa Corte che, trattandosi di appello per reati di competenza del Giudice di pace, la pena inflitta della reclusione appare illegale e che a ogni modo non risulta dagli atti né dal provvedimento impugnato, né dalla sentenza che si tratti di ipotesi di riforma consentita al Tribunale previo appello della persona offesa che aveva chiesto la citazione a giudizio dell’imputato che ai sensi dell’art. 38 e 21 del d. lgs. n. 274 del 2000 può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace negli stessi casi in cui è ammessa l’impugnazione da parte del pubblico ministero , così rinviando all’art. 36 dello stesso decreto che prevede che il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria e che lo stesso può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace . Si impone, conseguentemente, l’annullamento dell’ordinanza impugnata ed il rinvio per nuovo esame al Tribunale di Foggia, quale giudice dell’esecuzione, che dovrà altresì procedere alle verifiche di cui sopra. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Foggia.