Il giudice deve motivare adeguatamente l’applicazione della custodia cautelare in carcere

Ai sensi dell’art. 275, comma 3-bis, c.p.p. Criteri di scelta delle misure , affinché l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere sia legittima, il giudice deve indicare le specifiche ragioni che, in concreto, giustificano l’applicazione di tale misura cautelare.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 5840/18, depositata l’8 febbraio. Il caso. Il Tribunale di Brescia applicava all’imputato la misura dell’obbligo di dimora e permanenza notturna presso l’abitazione in relazione al reato di spaccio di sostanze stupefacenti. Sull’appello proposto dal PM, il Tribunale del riesame, in riforma dell’ordinanza, applicava la misura della custodia cautelare in carcere. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame l’imputato ricorre per cassazione denunciando l’inadeguatezza sia della misura della custodia in carcere applicatagli sia della relativa motivazione. La custodia in carcere. Il Supremo Collegio evidenzia che, in seguito alle novità introdotte dalla l. n. 47/2015, il novellato art. 275 c.p.p. Criteri di scelta delle misure impone al giudice, nel disporre la custodia cautelare in carcere, di indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art. 275- bis , comma 1 . Così come rilevato dalla Suprema Corte, l’intento della novella è quello di riaffermare la funzione di extrema ratio della custodia in carcere, sancendo espressamente un obbligo motivazionale ulteriore per il giudice della cautela che deve spiegare perché non possa applicare la misura degli arresti domiciliari . Nel caso di specie, il Tribunale risulta non aver adeguatamente motivato in relazione agli elementi sulla cui base le altre misure coercitive ed interdittive anche se applicate congiuntamente” sarebbero inidonee a fronteggiare l’esigenza cautelare ritenuta sussistente . La Corte dunque annulla l’ordinanza impugnata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 gennaio – 8 febbraio 2018, numero 5840 Presidente Ramacci – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 15.9.2017, il Tribunale di Brescia applicava a T.C. la misura dell’obbligo di dimora e permanenza notturna presso l’abitazione in relazione ai delitti di detenzione a fini di spaccio di gr 225 di mentanfetamina e coltivazione di una pianta di marijuana. Con ordinanza del 3.10.2017, il Tribunale del riesame di Brescia, in accoglimento dell’appello cautelare proposto dal PM, riformava la predetta ordinanza ed applicava a T.C. , in ordine ai delitti contestati, la misura della custodia cautelare in carcere. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione T.C. , a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. penumero Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 275, comma 3, cod.proc.penumero , lamentando che l’ordinanza impugnata non sia adeguatamente motivata in relazione all’illustrazione degli elementi sulla base dei quali altre misure meno afflittive, anche se applicate cumulativamente, non sarebbero idonee a fronteggiare l’esigenza cautelare ritenuta sussistente. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 275, comma 3 bis, cod.proc.penumero lamentando che il Tribunale non aveva indicato le ragioni in base alle quali sarebbe inadeguata la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art. 275 bis, comma 1 cod.proc.penumero Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Con memoria difensiva con deduzione di motivi aggiunti del 22.12.2017, la difesa del ricorrente ha proposto un nuovo motivo di ricorso con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 275 comma 2 bis cod.proc.penumero argomenta che l’ordinanza impugnata veniva pronunciata nella fase cautelare incidentale del giudizio direttissimo, all’esito del quale, ammesso il rito abbreviato condizionato richiesto dall’imputato, il Tribunale di Brescia, con sentenza del 27.10.2017, dichiarava T.C. responsabile del delitto di cui all’art. 73, comma 5 dpr numero 309/1990, così riqualificata l’originaria imputazione, e lo condannava alla pena di anni 1, mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa la riqualificazione operata, si argomenta, rende operativo il divieto di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere previsto dal comma 2 bis dell’art. 275 cod.proc.penumero Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Va ribadito il principio di diritto, secondo il quale, in tema di scelta delle misure cautelari, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 16 aprile 2015, numero 47, all’art. 275, comma terzo, cod. proc. penumero , incombe sul giudice che emette o conferma, sia pure in sede di impugnazione, un’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere il dovere di esplicitare specificamente le ragioni per le quali sono inadeguate le altre misure coercitive ed interdittive anche se applicate congiuntamente Sez. 3, numero 842 del 17/12/2015, dep.12/01/2016,Rv. 265964 . Si è osservato che il mutamento normativo operato dalla legge numero 47 del 2015 all’art. 275, comma 3 cod.proc.penumero La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate , determina l’inevitabile superamento della giurisprudenza di questa Corte che, in passato, aveva ritenuto come in tema di scelta delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento relativo alla misura della custodia cautelare in carcere, non fosse necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendevano inadeguata ogni altra misura, ma che fosse sufficiente che il giudice indicasse, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che inducessero ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo, in tal modo, assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle altre misure coercitive Sez. 5, numero 51260 del 04/07/2014 dep. 10/12/2014, Calcagno, Rv. 261723 . La nuova previsione normativa si è chiarito impone, oggi al giudice della cautela, sia esso il giudice dell’ordinanza genetica che quello del riesame se investito della relativa questione, di motivare in maniera specifica in ordine alle ragioni per le quali risultino inadeguate le altre misure coercitive e interdittive anche se applicate cumulativamente . Va, poi, evidenziato che la legge 16 aprile 2015 numero 47 ha previsto, inoltre, nel nuovo comma 3 bis dell’art. 275 cod. proc. pen che Nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art. 275-bis, comma 1 . Il legislatore, quindi, ha introdotto un ulteriore specifico onere motivazionale a carico del giudice che dispone la cautela inframuraria l’intento della novella è, pertanto, quello di riaffermare la funzione di extrema ratio della custodia in carcere, sancendo espressamente un obbligo motivazionale ulteriore per il giudice della cautela che deve spiegare perché non possa applicare la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art. 275-bis, comma 1 in luogo di quella carceraria. 3. Nella specie, il Tribunale, nell’applicare la custodia cautelare in carcere, non ha adeguatamente motivato in relazione agli elementi sulla cui base le altre misure coercitive ed interdittive anche se applicate congiuntamente sarebbero inidonee a fronteggiare l’esigenza cautelare ritenuta sussistente né in ordine alla inidoneità della misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo sul punto, l’ordinanza si limita ad affermare, con motivazione apparente, l’inadeguatezza di ogni altra misura richiamando, in maniera generica e senza illustrare sul punto elementi di specifica valenza negativa, la dimostrata incapacità di T. di una spontanea osservanza delle norme e prescrizioni . S’impone, quindi, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brescia, sezione per il riesame, per nuovo esame al fine di colmare il vizio motivazionale rilevato. 4. In sede di giudizio di rinvio il Tribunale valuterà anche la circostanza sopravvenuta intervenuta condanna del ricorrente in relazione al delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. numero 309/1990 con irrogazione della pena di anni 1 mesi 2 giorni 20 di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa dedotta nella memoria difensiva del 22.12.2017, tenendo presente i seguenti principi di diritto il divieto, ai sensi dell’art. 275, comma secondo bis, cod. proc. penumero , di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, nel caso in cui il giudice ritenga che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni, non si estende agli arresti domiciliari o alle altre più tenui misure coercitive Sez.6, numero 29621 del 03/06/2016, Rv.267793 Sez.2, numero 4418 del 14/01/2015, Rv.262377 i limiti di applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere previsti dall’art. 275, comma secondo bis, secondo periodo, cod. proc. penumero testo introdotto dal D.L. 26 giugno 2014, numero 92, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, numero 117 possono essere superati dal giudice qualora ritenga, secondo quanto previsto dal successivo comma terzo, prima parte, della norma citata, comunque inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari ogni altra misura meno afflittiva Sez.2, numero 46874 del 14/07/2016,Rv.268143 Sez.4, numero 43631 del 18/09/2015, Rv.264828 Sez.3, numero 32702 del 27/02/2015, Rv.264261 il divieto, ai sensi dell’art. 275, comma secondo bis, cod. proc. penumero di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nel caso in cui il giudice abbia irrogato una pena detentiva inferiore a tre anni, non impedisce di adottare la più grave misura cautelare qualora ogni altra misura si riveli inadeguata e gli arresti domiciliari non possono essere disposti per mancanza del luogo di esecuzione Sez.5, numero 7742 del 04/02/2015, Rv.262838 . P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brescia, Sezione Riesame.