Suicidio dell’arrestato in caserma: i presupposti della responsabilità da omesso impedimento dell’evento

La titolarità di una posizione di garanzia non comporta un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante ogni volta in cui la regola cautelare violata non miri a prevenire l’evento in concreto verificatosi.

Lo ha stabilito la quarta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6138/18, depositata in cancelleria l’8 febbraio. Decesso in camera di sicurezza. Nel caso concreto un brigadiere in servizio presso la stazione dei Carabinieri è stato sottoposto a procedimento penale per il reato di omicidio colposo art. 589 c.p. , con l’accusa di aver omesso di adottare le necessarie cautele volte ad impedire il suicidio - avvenuto, per impiccamento, all’interno della camera di sicurezza - di un uomo in stato arresto e in attesa di essere tradotto in carcere. Più precisamente, l’accusa è stata incentrata sulla omessa chiusura dello sportello per la sorveglianza visiva del rinchiuso situato ad altezza d’uomo sulla porta di chiusura della camera , omissione che avrebbe permesso all’imputato di trovare un appiglio per l’impiccagione. In esito al giudizio di prime cure il Tribunale ha affermato la responsabilità penale del brigadiere, e tanto ha confermato la Corte d’appello in sede di gravame, sebbene dietro riduzione di pena. La condanna è stata portata all’attenzione dei giudici di legittimità, dinanzi hai quali la difesa ha contestato deficit motivazionali e manifesta illogicità della sentenza impugnata. Responsabilità penale da omesso impedimento dell’evento. I Giudici del Palazzaccio, nel pronunciarsi sulla vicenda, hanno anzitutto richiamato i principi cardine che governano la responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento. Nella sentenza in epigrafe si rammenta che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta - in presenza del verificarsi dell’evento - un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, dal momento che il principio di colpevolezza impone una verifica - in concreto - 1 della sussistenza della violazione da parte del garante di una regola cautelare generica ovvero specifica , 2 della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare mira a prevenire ed infine 3 della ricorrenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento verificatosi. Lo scrutinio della Corte si è conseguentemente appuntato sulle peculiarità della regola cautelare violata i.e. omessa chiusura dello sportello della porta di chiusura della camera di sicurezza al fine di comprendere se l’evento verificatosi suicidio fosse o meno tra quelli che la stessa regola intende prevenire. Regola cautelare violata. Le finalità della disciplina inerente alla sorveglianza degli arrestati e provvisoriamente detenuti in caserma sono i la sicurezza della salute della persona in particolare, la tutela della sua vita da atti anticonservativi e ii la necessità di scongiurare l’evasione. Dette finalità - ricorda la Suprema Corte - fanno capo al generale dovere di controllo dell’atteggiamento del sorvegliato, diversamente graduato in relazione alle specificità del singolo interessato i.e. controllo più o meno frequente ed invasivo a seconda della personalità / pericolosità del rinchiuso . Tuttavia, un conto sono gli strumenti di controllo dell’atteggiamento del sorvegliato, altro sono i presidi, per così di dire, a corredo” della sorveglianza quali, per l’appunto, lo sportello collocato sulla porta di sicurezza. Quest’ultimo – spiegano gli Ermellini – non è volto a preservare la salute del rinchiuso bensì la sua riservatezza. Da qui la conclusione per cui la violazione delle disposizioni che disciplinano l’utilizzo dello sportello, non essendo volte a prevenire episodi anticonservativi, non può considerarsi fondamento della colpevolezza dell’imputato in relazione all’evento suicidiario. Prevedibilità concreta dell’evento. La Corte arricchisce il cuore motivazionale della pronuncia negando la sussistenza della responsabilità dell’imputato finanche sotto il versante della concreta prevedibilità dell’evento. Sotto questo profilo, è bastato evidenziare come le condizioni del detenuto suicida non presentassero alcun segno di turbamento psichico il detenuto, anzi, si presentava tranquillo” , tanto da escludere la necessità di rafforzare eventuali misure di controllo, peraltro coerentemente alle valutazioni svolte dal superiore gerarchico dell’imputato. Sul crinale delle considerazioni sopra esposte la Corte di Cassazione ha dunque annullato - senza rinvio - la sentenza gravata, sollevando, in via definitiva, l’imputato dalla condanna impartita in primo e secondo grado.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 novembre 2017 – 8 febbraio 2018, n. 6138 Presidente Izzo – Relatore Nardin Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 14 dicembre 2016 la Corte d’Appello di Genova, confermando la sentenza di primo grado in ordine alla colpevolezza e riducendo la pena in forza del riconoscimento delle attenuanti generiche, ha ritenuto P.P. responsabile del reato di cui all’art 589 cod. pen., per avere il medesimo, in qualità di brigadiere in servizio presso la stazione dei Carabinieri di Pontremoli, omesso colposamente di adottare le necessarie cautele finalizzate ad impedire il suicidio all’interno della camera di sicurezza della stazione di T.I. , tratto in arresto ed in attesa di essere tradotto in carcere. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo ad un unico motivo con il quale lamenta ex art. 606, comma 1, lett. e la carenza e manifesta illogicità della motivazione. Osserva che la sentenza dopo avere condiviso la censura formulata dal ricorrente, in ordine all’insussistenza di un ordine dei superiori di sottoporre il T. ad un controllo più intenso di quello previsto dall’art. 170.1 del Regolamento generale sull’Arma dei Carabinieri ed all’impossibilità per l’imputato di prevedere il gesto suicidiario ha ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa per non avere l’imputato tenuto chiuso lo sportello della porta della camera di sicurezza, in violazione dell’art. 177 del Regolamento. Si sarebbe, infatti, così realizzata la condizione necessaria al suicidio di T.I. , avvenuto per impiccamento, avendo il T. utilizzato la crocetta metallica dello sportello, per fissarvi il lembo di una maglia usata allo scopo. Rileva che la camera di sicurezza della stazione non aveva i requisiti di cui all’art. 56 del Regolamento dell’Arma, non disponendo di adeguata ventilazione che il P. aprì lo sportello solo per consentire, stante la situazione climatica oltre 30 centigradi , la necessaria ventilazione dei luoghi che i precedenti di legittimità dimostrano come, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, la violazione di una norma specifica non sia di per sé condizione sufficiente all’addebito di responsabilità, allorché l’evento non risulti concretamente prevedibile. Considerato in diritto 1. La doglianza è fondata. 2. Ora, è stato ripetutamente affermato da questa Corte che La titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte del garante di una regola cautelare generica o specifica , sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire cosiddetta concretizzazione del rischio , sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso. ex multis Sez. 4, n. 24462 del 06/05/2015 dep. 08/06/2015, Ruocco Sez. 4, n. 5404 del 08/01/2015 dep. 05/02/2015, P.C. in proc. Corso e altri, Rv. 26203301 Sez. 4, n. 5404 del 08/01/2015 dep. 05/02/2015, P.C. in proc. Corso e altri in precedenza Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009 dep. 17/11/2009, Morelli . 3. È certo, perché fra l’altro ammesso dall’imputato, che il medesimo omise di tenere chiuso lo sportello la cui conformazione è prevista dall’art. 273 del Regolamento generale dell’Arma dei Carabinieri. La norma regolamentare, richiamata espressamente dalla sentenza, stabilisce che la porta delle camere di sicurezza deve avere ad altezza d’uomo un finestrino di piccole dimensioni non superiore a cm. 10 per lato, con crocetta di ferro e sportello esterno applicato solidamente e sbarrato, quando è tenuto chiuso, da robusto chiavistello e che Sulla faccia interna dello sportello deve essere incisa una crocetta concava dell’identica forma e delle identiche dimensioni della crocetta di ferro, onde questa una volta chiuso lo sportello, vada ad appoggiarsi perfettamente, si da far quasi corpo unico con lo sportello stesso . Per assicurare lo scopo, infine, la disposizione conclude così fissando l’obbligo imposto a chi è destinato al controllo Naturalmente lo sportello, tranne quando si devono sorvegliare i detenuti deve rimanere chiuso . 4. È stato espressamente escluso dalla Corte territoriale che il P. fosse tenuto ad una sorveglianza diversa da quella ordinaria prevista dal regolamento generale all’art. 170.1, che impone un controllo frequente ed accurato, con intervalli non superiori alle due ore dei detenuti rinchiusi nella camere di sicurezza per assicurarsi del loro atteggiamento . Mentre è stato ritenuto che l’omissione consistita nell’avere mantenuto aperto lo sportello al di fuori del tempo necessario per le ispezioni, in violazione dell’obbligo rivolto ad impedire eventuali suicidi, costituì la condizione necessaria al prodursi dell’evento. 5. Il ragionamento che fonda la sentenza non è condivisibile. 6. Come sostenuto dal ricorrente, la titolarità della posizione di garanzia-certamente rivestita dal P. , destinatario dell’obbligo di controllo dell’arrestato nella camera di sicurezza, posto a tutela dell’incolumità del detenuto non implica un automatico addebito della responsabilità colposa per il prodursi dell’evento, in forza del principio della verifica concreta sia della prevedibilità ed evitabilità del medesimo, che del nesso causale tra l’omissione e l’evento. 8. L’art. 177 del regolamento generale dell’Arma chiarisce che la sorveglianza degli arrestati provvisoriamente detenuti in caserma ha principalmente due scopi la sicurezza della salute della persona -in particolare la tutela della sua vita da atti anticonservativi e la necessità di evitare l’evasione. Il regolamento introduce un dovere generale di controllo dell’atteggiamento del rinchiuso rimettendo alle condizioni del soggetto una frequenza maggiore di quella minima determinata in due ore art. 170.1 , che diventa ininterrotta quando il detenuto sia pericoloso art. 170.2 , ma che, d’altrò canto, non consente di disturbare il detenuto, tanto che durante la notte si prevede che, prima dell’apertura dello sportello, il militare di servizio debba origliare. Nondimeno, se l’art. 170.1 dispone la frequenza dei controlli attraverso lo sportello, l’art. 171 specifica che quando la camera di sicurezza non presenti la necessaria garanzia, vi sia qualche detenuto pericoloso, dovrà essere comandato un secondo militare di servizio il quale si alterna con il primo a sorvegliare i detenuti con lo sportello sempre aperto . Dalla complessiva lettura delle norme si trae, dunque, che la norma sulla conformazione dello sportello e sulla sua chiusura non ha quale scopo quello di preservare dal pericolo di atti anticonservativi, assicurato, invece, dalla frequenza dei controlli, ma quello, da un lato, di evitare i contatti con l’esterno e dall’altro, di mantenere la riservatezza del ristretto, diritto che viene meno, come chiarisce l’art. 171, quando il detenuto sia pericoloso o quando la camera di sicurezza non presenti le necessarie garanzie contro l’evasione. È in queste ipotesi che il regolamento impone una vigilanza a vista , a mezzo l’apertura dello sportello, da tenersi altrimenti chiuso per le ragioni chiarite dalla disposizione precedente. Che la presenza dello sportello abbia una funzione diversa da quella di preservare la salute del detenuto, come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata, emerge con chiarezza anche dalla sua posizione sulla porta di chiusura della camera di sicurezza, essendo il medesimo, per ovvie ragioni, posto ad altezza d’uomo, al fine di consentire l’ispezione. È chiaro, infatti, che una simile collocazione rende di per sé molto difficile l’impiccagione. Fatte queste premesse, non può certamente ritenersi che mantenendo aperto lo sportello il brigadiere abbia violato una disposizione specificamente rivolta ad evitare il suicidio del ristretto, avendo al più violato il suo diritto alla riservatezza, per ragioni di non minore importanza, quali assicurare il benessere del medesimo, stante l’elevata temperatura estiva e le condizioni irregolari della cella rispetto allo standard richiesto per la salvaguardia della salute. Tutte circostanze delle quali i giudici di merito danno atto. Ecco, allora, che considerando anche le altre emergenze risultanti dal provvedimento, l’evento si presentava in concreto altamente improbabile perché ed anche di questo si dà atto, benché se ne affermi l’irrilevanza le condizioni del detenuto non mostravano alcun segno di turbamento psichico ed anzi il detenuto si presentava tranquillo, mentre in modo de tutto regolare erano stati svolti i controlli previsti dall’art. 170.1 del Regolamento dell’Arma, tanto che una frequenza inferiore a quella minima prevista non era stata suggerita neppure suggeriti dal maresciallo con il quale l’imputato aveva effettuato l’ultima ispezione. 3. Va, dunque, esclusa la configurabilità della colpa, sotto il profilo dell’insussistenza della concreta prevedibilità del gesto autosoppressivo. 4. La sentenza va pertanto annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.