Stato di alterazione: gli indici sintomatici vanno considerati unitariamente

In tema di guida sotto effetto di stupefacenti, la presenza di più indici concorrenti nel medesimo senso compresenti al momento del controllo ed ivi attestati è idonea a far ritenere presuntivamente provata l’alterazione da uso di sostanze stupefacenti.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6139/18, depositata l’8 febbraio. Il caso. L’imputato era stato sorpreso a circolare alla guida di un’autovettura in stato di alterazione fisica e psichica conseguente all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, nella specie cannabinoidi, con una concentrazione superiore a 90 ug/l. La concentrazione risultava dal referto medico dell’ospedale. In primo grado l’imputato era stato prosciolto perché il fatto non sussiste la Corte territoriale, invece, riformava la sentenza dichiarando l’imputato responsabile del reato di guida in stato di alterazione psico-fisica ai sensi dell’art. 187, comma 1, c.d.s. conseguente la condanna alla pena di mesi quattro di arresto e di euro mille di multa, pena sostituita con 124 giorni di lavori di pubblica utilità. A fondamento della sentenza di condanna, la Corte d’Appello valorizzava una serie di elementi lo stato di agitazione, il possesso di stupefacente non ancora consumato e occultato nell’autovettura, l’odore acre all’interno del veicolo, la midriasi oculare. Inoltre lo stato di alterazione risultava anche dal controllo ospedaliero. Indici sintomatici neutri? L’imputato ricorreva in Cassazione lamentando il vizio di motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto indici sintomatici dello stato di alterazione elementi in realtà neutri e osservando che la positività del controllo ospedaliero, in assenza della concorrenza dello stato di alterazione psicofisica, non sarebbe sufficiente ad affermare l’integrazione del reato contestato e che, anzi, l’accertamento medico certificato affermava il soggetto come lucido, mnestico, orientato e collaborante non poteva, a suo dire, affermarsi la sussistenza dello stato di alterazione richiesto per l’integrazione della fattispecie perché lo stato di agitazione era da ascriversi al possesso degli stupefacenti e non al loro recente consumo , l’odore acre presente nell’auto dipendeva dalla presenza della marijuana nell’autoveicolo e non al suo recente consumo, la midriasi dipendeva dalla bassa luminosità tipica dell’ora serale nel mese di dicembre. Gli indici probatori sono univoci? Ridotta all’essenziale, la questione dedotta davanti al giudice di legittimità concerne la desumibilità dello stato di alterazione richiesto dalla norma incriminatrice da indici probatori di valore non univoco. Il ricorrente, infatti, analizza separatamente ciascuno degli elementi indicati come sintomatici dello stato di alterazione pervenendo alla conclusione che si debba escludere che, a fronte della pluralità di significati che ciascuno di essi può assumere, possa ritenersi integrata la prova di uno dei due presupposti materiali del reato che implica l’alterazione psichica durante la guida del veicolo e non, generalmente, il consumo di sostanze stupefacenti circostanza, peraltro, nel caso concreto, ammessa dall’imputato . Plurimi indici presuntivi. La Corte di Cassazione ritiene corretto il ragionamento posto alla base della sentenza di condanna che non ha attribuito valore conclusivo ad alcuno degli elementi riscontrati nell’immediatezza del controllo effettuato dagli agenti accertatori, bensì ha tradotto la pluralità degli elementi ivi riscontrati nella presunzione dell’alterazione da sostanza stupefacente. Lettura unitaria degli elementi sintomatici. È vero, ciascuno degli elementi, in sé e per sé considerati, appare privi di univocità tuttavia, la ricostruzione della loro pluralità e contestualità e la loro lettura unitaria, secondo le massime di esperienza, consente di elidere l’elemento di equivocità perché l’univocità scaturisce dalla concordanza di tutti gli indici in un unico senso. La presunzione che ne deriva è espressione del meccanismo delle presunzioni semplici e, quindi, del principio secondo cui gli elementi accertati da soli non provano, ma congiunti tra loro sì. Si tratta, in particolare, di argomentazioni logiche per mezzo delle quali è possibile indurre l’esistenza di un fatto ignoto partendo dalla conoscenza di un fatto noto. L’esito, invero, potrebbe anche essere opposto quando l’elemento, atomisticamente considerato, sia di per sé equivoco e diventi univoco perché l’inferenza logica, scaturente dalla sua valutazione con altri elementi coesistenti, dimostra che la sua lettura è incompatibile con conclusioni diverse e derivanti dalla considerazione di tutti gli elementi probatori a disposizione. La valutazione dell’inferenza presuntiva. L’univocità della conclusione che discende dal vaglio, secondo massime esperienziali comunemente accettate, della pluralità di significati propri di ogni fatto noto o l’univocità di significati di più fatti noti unitariamente considerati, autorizza il giudice all’affermazione o alla negazione della validità dell’inferenza presuntiva, in relazione ai canoni, previsti dall’art. 2728 c.c., della gravità, precisione e concordanza cui è subordinato il valore della prova indiziaria. Nessun vizio di motivazione. Nella vicenda giudiziaria in verifica, la motivazione del provvedimento impugnato assume la conclusione del ragionamento presuntivo fondato su una comune massima d’esperienza secondo cui la presenza di più indici concorrenti nel medesimo senso compresenti al momento del controllo ed ivi attestati è idonea a far ritenere presuntivamente provata l’alterazione da uso di sostanze stupefacenti peraltro confermato dall’accertamento positivo derivante dal successivo controllo ospedaliero . Ne deriva che il ragionamento probatorio sotteso alla decisione appare alla Corte privo di forme di illogicità. Il trattamento sanzionatorio. Nondimeno la Corte territoriale, nel ribaltare l’esito del giudizio di primo grado, ha commesso un errore, non considerando che l’imputato aveva optato per il giudizio abbreviato che impone la riduzione della pena di un terzo. Pertanto, la Corte di cassazione ha annullato la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando essa stessa la pena.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 novembre 2017 – 8 febbraio 2018, n. 6139 Presidente Izzo – Relatore Nardin Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Firenze con sentenza del 14 novembre 2016 ha riformato la sentenza del Tribunale di Arezzo - resa in sede di giudizio abbreviato - con cui C.P. era stato prosciolto perché il fatto non sussiste, dichiarandolo responsabile del reato di cui all’art. 187, comma 1^ C.d.S. per avere circolato alla guida di un’autovettura in stato di alterazione fisica e psichica, conseguente all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope cannabinoidi con una concentrazione superiore a 90 ug/l, come risultante dal referto medico dell’Ospedale di . La sentenza ha applicato la pena di mesi 4 di arresto ed Euro 1.000,00 di multa, ordinando la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con gg. 124 di lavori di pubblica utilità pari ad ore 248 da eseguirsi presso la Misericordia di XXXXXX per sei giorni settimanali in giorni ed orari da concordarsi con il legale rappresentante dell’Ente. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione personalmente, in data 27 marzo 2017, C.P. affidandolo ad un unico motivo, con il quale deduce ex art. 606 lett.re b ed e cod. proc. pen. l’erronea applicazione dell’art. 187 C.d.S., nonché il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto indici sintomatici dello stato di alterazione elementi in realtà neutri quali lo stato di agitazione, il possesso di stupefacente non ancora consumato ed occultato nell’autovettura, l’odore acre all’interno del veicolo, nonché la midriasi oculare. Rileva che la positività al controllo ospedaliero, in assenza della concorrenza dello stato di alterazione psicofisica, non accertabile attraverso gli elementi incoerentemente richiamati dalla Corte territoriale, non è sufficiente ad affermare l’integrazione del reato contestato. Osserva che la sussistenza dell’alterazione psicofisica dell’interessato era smentita dalla certificazione dell’Ospedale con cui il C. viene definito, al momento dell’accertamento, come Lucido, mnesico, orientato e collaborante . Sottolinea che, al contrario, lo stato di agitazione descritto dagli agenti accertatori doveva ascriversi non al recente consumo di sostanze stupefacenti, ma al loro possesso che l’odore acre riscontrato nell’auto dipendeva proprio dalla presenza della marijuana nell’autoveicolo e non al suo recente consumo che la midriasi dipendeva non dall’utilizzo della sostanza, ma dalla bassa intensità luminosa tipica dell’ora serale ore 21 nel mese di dicembre, tanto che la circostanza non veniva richiamata dal personale sanitario che aveva effettuato l’accertamento. Sicché non poteva affermarsi la sussistenza dello stato di alterazione richiesto per l’integrazione della fattispecie. Considerato in diritto 1. Il motivo è infondato. 2. La questione posta riguarda la desumibilità dello stato di alterazione di cui all’art. 187 C.d.S. da indici - riscontrati in occasione del controllo - dalla valenza probatoria non univoca. 3. La censura, invero, analizzando separatamente ciascuno degli elementi indicati dalla Corte territoriale come sintomatici dello stato di alterazione da stupefacenti, esclude che a fronte della pluralità di significati che ciascuno di questi può assumere, possa ritenersi integrata la prova di uno dei due fondamentali presupposti materiali del reato di cui all’art. 187 C.d.S., che implica non il generico uso di sostanze stupefacenti, ammesso dall’imputato, ma l’alterazione psichica durante la guida del veicolo. 4. Ora, la doglianza tende a destrutturare il ragionamento presuntivo contenuto nella sentenza che, correttamente, non attribuisce valore conclusivo ad alcuno degli elementi riscontrati dagli agenti accertatori al momento del controllo, ma traduce la pluralità degli elementi noti possesso degli stupefacenti, odore nell’abitacolo, midriasi , nella presunzione dell’alterazione da sostanza stupefacente. 5. Pur essendo, infatti, ciascuno degli elementi in sé e per sé considerati privo di univocità, la ricostruzione della loro pluralità e contestualità e la loro lettura unitaria secondo le massime di esperienza, consente nel ragionamento oggetto di critica, di elidere l’elemento equivoco proprio perché l’univocità scaturisce dalla concordanza di tutti gli indici in un unico senso, talché la presunzione, sotto il profilo logico non può - nel caso particolare - che essere espressione del principio quod singula non probant coniuncta probant. Diversamente la logica inferenziale dovrebbe consentire di affermare il principio opposto - che potrebbe ben conseguire la valutazione del materiale probatorio in diversa ipotesi - quod singula probant coniucta non probant allorquando un elemento atomisticamente considerato di per sé astrattamente equivoco, diviene univoco proprio perché l’inferenza logica derivante dalla sua valutazione con altri elementi coesistenti dimostra che la sua lettura è incompatibile con conclusioni concrete diverse e derivanti dalla considerazione di tutti gli elementi probatori a disposizione. 6. È, dunque, l’univocità logico-pratica della conclusione, che scaturisce dal vaglio - secondo massime esperienziali comunemente accettate - della pluralità di significati proprii di ogni fatto noto o dall’univocità di significati di più fatti noti unitariamente considerati, ad autorizzare il giudice all’affermazione o alla negazione della validità dell’inferenza presuntiva, in relazione alla gravità, precisione e concordanza cui l’art. 2729 cod. civ. subordina il valore della prova indiziaria. 7. Nel caso di specie il ragionamento probatorio sotteso alla decisione è privo di qualsivoglia forma di illogicità perché assume la conclusione del ragionamento presuntivo fondato su una comune massima d’esperienza che consente di affermare come la presenza di più indici concorrenti nel medesimo senso compresenti al momento del controllo ed in quel momento attestati, siano idonei a far ritenere presuntivamente provata l’alterazione da uso di sostanze stupefacenti, tra l’altro, positivamente accertato dal successivo controllo ospedaliero. 8. Nondimeno, non avendo la Corte di appello di Firenze provveduto ad applicare alla pena la riduzione per il rito abbreviato, prescelto dall’imputato, occorre rideterminare le medesima, trattandosi di pena illegale. 9. Avuto riguardo alla pena di mesi 4 di arresto ed Euro 1.000,00 di multa, la riduzione di un terzo comporta la commisurazione della pena in mesi 2 e giorni 20, nonché Euro 666,00 di ammenda, da convertirsi in giorni 82 di lavori di pubblica utilità per complessive ore 164, da eseguirsi con le stesse modalità indicate nella sentenza impugnata. 10. Conseguentemente va annullata la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena in mesi due e giorni venti di arresto ed Euro. 666,00 di ammenda e convertendo detta pena in giorni 82 di L.P.U. per complessive ore 164. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena in mesi due e giorni venti di arresto ed Euro. 666,00 di ammenda e convertendo detta pena in giorni 82 di L.P.U. per complessive ore 164. Rigetta il ricorso nel resto.