Delitti con violenza sulla persona e richiesta di revoca o sostituzione in melius della misura cautelare: quali rimedi a tutela della persona offesa?

In caso di omessa notifica al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa della richiesta di revoca o di sostituzione nei procedimenti aventi ad oggetto i delitti commessi con violenza alla persona tra cui rientrano anche i reati di maltrattamenti e atti persecutori la parte offesa non può autonomamente impugnare l’ordinanza che modifica in melius per l’indagato la misura cautelare, ma può soltanto sollecitare il PM ad impugnare la relativa ordinanza, soggetto ad appello ex art. 310 c.p.p., con successiva ricorribilità per cassazione del provvedimento del Tribunale adito.

Questo il principio di diritto affermato dalla Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 5820/18, che si discosta da quello che sembrava essere l’orientamento prevalente sul punto, aprendo così la strada per un probabile conflitto che verrà presumibilmente portato a breve all’attenzione delle Sezioni Unite. La vicenda. Una donna, vittima di atti persecutori, ricorre in Cassazione facendo rilevare che la richiesta di revoca avverso il provvedimento cautelare di divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa poi accolta dal GIP presso il Tribunale di Catanzaro non le era stata notificata, come invece prevede espressamente a pena di inammissibilità l’art. 299, comma 3, c.p.p Così è stata negata la possibilità di instaurare il contraddittorio cartolare, attraverso la presentazione di memorie nei due giorni successivi alla notifica. Anche se la persona offesa ha rinunciato all’impugnazione perché l’ordinanza era stata nel frattempo annullata dal Tribunale di Catanzaro investito da autonomo appello del PM, ai sensi dell’art. 310 c.p.p. , la Corte di Cassazione entra nel merito per dichiararne una seconda – e ben più importante – inammissibilità quella legata alla mancanza di legittimazione attiva della persona offesa a proporre autonomamente ricorso per cassazione. Alla vittima di stalking spetta la notifica della richiesta cautelare in melius. Prima di entrare nel cuore della quaestio iuris , la Corte Suprema ricorda in via prodromica che alla persona offesa spettava la notifica dell’istanza di revoca o modifica della misura cautelare avanzata dall’indagato. Ciò in quanto, come risolto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 10959/16 , anche gli atti persecutori rientrano nella nozione di delitti commessi con violenza alla persona”, espressione quest’ultima che deve essere intesa alla luce di concetto di violenza di genere” alla luce delle recepite disposizioni di diritto internazionale e di diritto comunitario. Quali rimedi per tutelare la persona offesa? Si pone allora il problema se la persona offesa possa dirsi legittimata a proporre ricorso per cassazione dell’ordinanza emessa dal giudice sull’istanza di modifica in melius del regime de libertate dell’indagato qualora manchi, a seguito dell’omesso avviso, l’interlocuzione della vittima del delitto commesso con violenza a suo danno. Un primo orientamento di legittimità ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto per saltum dalla persona offesa avverso il provvedimento di inammissibilità della richiesta di revoca dell’ordinanza che modifica in melius il quadro cautelare dell’indagato, in quanto avverso quest’ultimo provvedimento è ammesso soltanto l’appello ex art. 310 c.p.p., mentre il ricorso diretto per cassazione è possibile solo per i provvedimenti che dispongono la misura coercitiva Cass. Pen, sez. V, sentenza n. 35735/15 . Altra pronuncia, invece, pur partendo dalle stesse premesse normative, ritiene che in mancanza di una specifica previsione, la persona offesa per far valere la violazione dell’omessa notifica dell’istanza di revoca o modifica della misura cautelare coercitiva prevista dall’art. 299, comma 3 c.p.p. per la fase delle indagini e dal comma 4- bis se l’omessa notifica avviene dopo la chiusura delle indagini preliminari è legittimare il rimedio del ricorso per cassazione sulla base della prescrizione di carattere generale dell’art. 111, comma 7, Cost. secondo cui contro tutti i provvedimenti sulla libertà personale è sempre ammesso il ricorso per cassazione Cass. Pen., sez. V, n. 7404/17 . Parimenti, altro orientamento ritiene invece che la persona offesa, nei procedimenti per i reati commessi con violenza alla persona, possa dedurre in Cassazione l’inammissibilità dell’istanza di revoca o sostituzione di misure cautelari coercitive applicate all’imputato, qualora questi non abbia provveduto alla contestuale notifica alla vittima. Tale soluzione si porrebbe in linea con l’aumento dei diritti delle vittime dei reati del più ampio peso processuale che ha assunto la parte lesa di reati espressione della violenza sulle donne, in recepimento della Convenzione di Instanbul del 2011 e con le norme euro-unitarie in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime dei reati, attuate con il d.lgs. n. 212/2015 Cass. Pen., sez. VI, n. 6864/16 sez. I, n. 51402/16 . La persona offesa non ha legittimazione ad impugnare in materia cautelare. La soluzione adottata dalla sentenza n. 5820/18 in commento si pone in linea di discontinuità con tutti gli orientamenti richiamati, anche con quello in precedenza adottata dalla stessa V sezione. Partendo dalla base normativa, ritiene innanzitutto che gli artt. 310 e 311 non annoverano la persona offesa tra i soggetti legittimati a presentare appello e ricorso per cassazione avverso i provvedimenti de libertate . Inoltre, ponendosi in antitesi con quanto in precedenza espresso dalla stessa Sezione, ritiene che l’art. 111, comma 7, Cost. prevede sì che contro tutti i provvedimenti sulla libertà personale è sempre ammesso il ricorso per cassazione ma tale norma è rivolta soltanto a chi soffre della limitazione della personale o il suo difensore , e non alla persona offesa. Né potrebbe essere richiamata come fa la sentenza n. 6864/16 una interpretazione costituzionalmente orientata, alla stessa stregua di quanto avvenne a proposito dell’art. 409 c.p.p. in tema di omessa notifica della richiesta di archiviazione. In quella occasione la Corte costituzionale sentenza n. 353/91 allineò la già prevista ricorribilità in Cassazione da parte della persona offesa del decreto di archiviazione emesso in difetto di suo contraddittorio con l’ipotesi ben più grave in cui la persona offesa era stata privata a monte dell’avviso della richiesta di archiviazione formulata dal PM nonostante la sua espressa richiesta. Infatti mentre in tema di archiviazione esisteva già il ricorso per cassazione da parte della persona offesa per difetto di contraddittorio, ciò non può dirsi in materia cautelare. Può solo sollecitare il PM ad impugnare. La Corte Suprema ritiene pertanto che l’unico istituto che consente di conseguire un difficile equilibrio tra le contrapposte esigenze della persona offesa e di tutela della libertà personale dell’indagato è quello previsto dall’art. 572 c.p.p., norma che identifica nel PM l’organo istituzionalmente a mediare” le richieste di impugnazione della parte offesa, in tutti i casi in cui la legge non attribuisce a quest’ultima un potere di impugnazione diretta. Pertanto, la persona offesa vittima di reati commessi con violenza sulla persona alla quale non sia stata notificata dall’indagato o imputato l’istanza di revoca o modifica della misura cautelare coercitiva, dovrà sollecitare il PM ad impugnare l’ordinanza in melius a proporre dapprima appello art. 310 c.p.p. con successivo ricorso per cassazione del provvedimento del Tribunale adito.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 ottobre 2017 – 7 febbraio 2018, n. 5820 Presidente Zaza – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il difensore / procuratore speciale di G.S. impugna l’ordinanza indicata in epigrafe, recante la revoca di misure cautelari applicate nei confronti di B.V. , già sottoposto ad obbligo di presentazione alla p.g., nonché al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, per essersi reso autore - secondo l’ipotesi accusatoria - di atti persecutori in danno della odierna ricorrente. Nell’interesse della G. si fa rilevare che la richiesta di revoca, sulla quale il Gip del Tribunale di Catanzaro risulta essersi pronunciato adesivamente, non era stata a lei notificata, come invece prescritto dall’art. 299, comma 3, cod. proc. pen. all’esito delle modifiche introdotte nel 2013 in tal modo, non le sarebbe stato consentito di presentare memorie nei successivi due giorni, come sarebbe stato suo diritto. Anche del provvedimento impugnato, peraltro non emesso dal giudice procedente vi era stato un decreto di giudizio immediato dinanzi al Tribunale, con tanto di costituzione di parte civile già formalizzata in udienza , non sarebbe stata curata alcuna notifica alla G. . Con atti successivi, datati 14 e 28 settembre 2017, il difensore della ricorrente - ha formalizzato una dichiarazione di rinuncia all’impugnazione, segnalando che l’ordinanza de qua risulta essere stata già annullata dal Tribunale di Catanzaro, investito ex art. 310 del codice di rito da autonomo appello del Pubblico Ministero - ha insistito nella rinuncia anzidetta, allegando procura speciale rilasciata a tal fine dalla persona offesa e chiedendo non pronunciarsi condanna alle spese del procedimento od a sanzioni pecuniarie atteso che la carenza di interesse della G. all’impugnazione proposta è sopravvenuta per causa a lei non imputabile . Considerato in diritto 1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, sia a seguito della rituale rinuncia che - già a monte - per le ragioni appresso evidenziate. 2. Innanzi tutto, deve essere chiarito che alla persona offesa - nella peculiare fattispecie concreta - sarebbe senz’altro spettato l’avviso della cui omissione ella si duole, considerando le modifiche normative sopra accennate e la conseguente evoluzione giurisprudenziale. Dopo essersi affermato più volte che la nozione di delitti commessi con violenza alla persona , utilizzata dal legislatore nel comma secondo bis dell’art. 299 cod. proc. pen., al fine di individuare l’ambito di applicabilità dell’obbligo di notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, ai sensi del successivo comma terzo, evoca non già una categoria di reati le cui fattispecie astratte siano connotate dall’elemento della violenza sia essa fisica, psicologica o morale alla persona, bensì tutti quei delitti, consumati o tentati, che, in concreto, si sono manifestati con atti di violenza in danno della persona offesa Cass., Sez. I, n. 49339 del 29/10/2015, Gallani, Rv 265732 , il massimo organo di nomofilachia ha infatti ulteriormente precisato - sia pure a proposito della parallela disposizione in tema di avviso della richiesta di archiviazione - che l’obbligo formale sancito dall’art. 408, comma 3-bis, cod. proc. pen. è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti contro familiari e conviventi, previsti rispettivamente dagli artt. 612-bis e 572 cod. pen., in quanto l’espressione violenza alla persona deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere , risultante dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario Cass., Sez. U, n. 10959 del 29/01/2016, C., Rv 265893 nello stesso senso, v. anche Cass., Sez. II, n. 30302 del 24/06/2016, Opera . Il delitto di atti persecutori, sia nella sua previsione dogmatica quale ipotesi di reato abituale, sia con riguardo alla dimensione avuta nel caso oggi in esame, esclude peraltro che il soggetto passivo possa intendersi vittima soltanto occasionale della condotta penalmente sanzionata, dovendosi tener presente che la giurisprudenza di questa Corte ha inteso altresì distinguere, ai fini della valutazione di ammissibilità o meno di istanze di revoca o sostituzione di misure cautelari non notificate alle persone offese, le ipotesi in cui la condotta violenta si caratterizza anche per l’esistenza di un pregresso rapporto relazionale tra autore del reato e vittima, ove perciò la violenza alla persona è da intendersi mirata in danno di un determinato individuo, da quelle in cui il soggetto aggredito risultava selezionato dall’autore su base puramente casuale od estemporanea v., per una diffusa analisi della questione, Cass., Sez. II, n. 43353 del 14/10/2015, Quadrelli . 3. Tanto premesso, ci si deve chiedere quali rimedi l’ordinamento appresti a tutela della persona offesa, laddove il diritto di costei ad essere avvisata ai sensi dell’anzidetto art. 299, comma 4-bis, cod. proc. pen. non sia stato rispettato in particolare, occorre valutare se la persona offesa sia pure attraverso un difensore, eventualmente munito di procura speciale possa dirsi legittimata a proporre ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal giudice procedente a seguito dell’istanza che mirava a modificare in melius il regime de libertate del soggetto sottoposto a restrizione, ordinanza intervenuta - stante l’omesso avviso - senza l’interlocuzione della stessa persona offesa. Si tratta, all’evidenza, di un quesito che implica problemi di non poco momento, atteso che l’annullamento di un’ordinanza de libertate formalmente viziata ma comunque necessariamente migliorativa dello status della persona già sottoposta a misura cautelare comporta giocoforza il ripristino della situazione anteatta, nuovamente valutabile solo una volta garantito il contraddittorio pretermesso. Con il risultato di introdurre possibili forme di limitazione della libertà personale, sia pure nei confronti di soggetti già in precedenza gravati da restrizioni, sulla base di iniziative imputabili a parti private, piuttosto che all’ufficio del Pubblico Ministero. 3.1 Secondo un primo approccio interpretativo, si è ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto per saltum dalla persona offesa del delitto di atti persecutori c.d. stalking - avverso il provvedimento del Gip di inammissibilità della richiesta di revoca dell’ordinanza di modifica della misura cautelare degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora nei confronti dell’indagato - in quanto avverso i provvedimenti di sostituzione o modifica delle misure cautelari è ammesso esclusivamente il rimedio dell’appello, previsto dall’art. 310 cod. proc. pen., mentre il ricorso immediato per cassazione può essere proposto, ex art. 311, comma secondo, cod. proc. pen., soltanto contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva e solo nel caso di violazione di legge nonché, ex art. 568, comma secondo, cod. proc. pen., contro i provvedimenti concernenti lo status libertatis non altrimenti impugnabili Cass., Sez. V, n. 35735 del 31/03/2015, S., Rv 265866 . La pronuncia appena richiamata, dunque, riguardava un caso in cui la persona offesa aveva chiesto direttamente al giudice procedente di revocare l’ordinanza emessa senza contraddittorio, e successivamente impugnato in sede di legittimità il provvedimento con cui tale richiesta era stata disattesa. Nella motivazione della sentenza si legge che la ricorrente avrebbe dovuto proporre impugnazione avverso il provvedimento di modifica della misura cautelare, di cui invece ha chiesto la revoca al giudice che lo ha emesso, con la conseguente declaratoria di inammissibilità pronunciata da quest’ultimo. La ricorrente lamenta un vizio relativo al provvedimento del Gip con il quale è stata modificata la misura cautelare e, in particolare, l’omessa notifica dell’istanza di revoca tale vizio avrebbe potuto essere oggetto di impugnazione dinanzi al Tribunale, dovendo peraltro escludersi la possibilità di ricorso immediato per cassazione, giacché avverso i provvedimenti di sostituzione o modifica delle misure cautelari è ammesso esclusivamente il rimedio dell’appello, previsto dall’art. 310 del codice di rito . Infatti, se, ai sensi dell’art. 311 comma 2 cod. proc. pen., l’imputato e il suo difensore possono proporre direttamente ricorso per cassazione per violazione di legge contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva, la norma tuttavia, come da costante indirizzo giurisprudenziale di questa corte , non si presta ad essere interpretata nel senso di ammettere il ricorso per saltum anche contro i provvedimenti che intervengono a seguito di richiesta di modifica della misura. Nessun’altra disposizione di settore consente d’altra parte il ricorso diretto avverso tali provvedimenti, mentre la norma generale, l’art. 569 cod. proc. pen., si riferisce esplicitamente alle sole sentenze . 3.2 Stando a un diverso indirizzo, nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, la persona offesa può dedurre con ricorso per cassazione l’inammissibilità dell’istanza di revoca o sostituzione di misure cautelari coercitive diverse dal divieto di espatrio e dall’obbligo di presentazione alla p.g. applicate all’imputato, qualora quest’ultimo non abbia provveduto contestualmente a notificarle, ai sensi dell’art. 299, comma quarto bis, cod. proc. pen., l’istanza di revoca, di modifica o anche solo di applicazione della misura con modalità meno gravose Cass., Sez. VI, n. 6864 del 09/02/2016, P., Rv 266542 . La Sezione Sesta ha osservato, in motivazione, che in virtù delle modifiche introdotte dal d.l. 14 agosto 2013 n. 93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013 n. 119, nel caso in cui venga in considerazione una delle misure cautelari di cui agli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 cod. proc. pen. e si tratti di procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, la richiesta di revoca o di sostituzione della misura, che non sia stata presentata in sede di interrogatorio di garanzia art. 299, comma 3, cod. proc. pen. o che non sia stata presentata nel corso dell’udienza art. 299, comma 4-bis, cod. proc. pen. , deve essere contestualmente notificata a pena di inammissibilità presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio. La modifica è volta ad assicurare alla persona offesa la concreta facoltà di interlocuzione, mediante presentazione di memorie nei due giorni successivi. Tale disciplina mira a garantire alle vittime di reati caratterizzati da violenza alla persona, in relazione alla possibilità che il soggetto, cui i reati sono attribuiti, si renda ancora pericoloso, l’opportunità di apprestare preventivamente le proprie difese, fornendo elementi idonei a rappresentare situazioni che sconsiglino la revoca o la sostituzione richieste. Ciò si correla ad una più ampia e pregnante considerazione dei diritti delle vittime dei reati, in sintonia con le previsioni contenute nella Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, dell’11 maggio 2011, ratificata con legge 77 del 2013, e con le istanze che hanno ispirato la direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25/10/2012 recante norme minime in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, cui è stata data attuazione con il d.lgs. 15 dicembre 2015 n. 212 . Sulla base di tali premesse, illustrative della ratio della novella, la sentenza giunge alla conclusione che la persona offesa che deduca la mancata notifica della richiesta di revoca o di sostituzione, possa dolersi di ciò mediante ricorso, venendo in considerazione un vulnus alle prerogative specificamente riconosciute alla persona offesa a propria tutela, vulnus che dunque primariamente la stessa persona offesa, proprio in ossequio al quadro di diritti e facoltà più ampiamente riconosciute alle vittime di reato, deve ritenersi legittimata a far valere . In senso sostanzialmente conforme, la Sezione Prima con sentenza n. 51402 del 28/06/2016, Zacheo ha accolto il ricorso presentato dai prossimi congiunti della vittima di un reato di omicidio non preventivamente informati dall’imputato della richiesta di sostituzione della misura custodiale in quest’ultimo caso, peraltro, all’annullamento senza rinvio dell’ordinanza che aveva sostituito la custodia in carcere con la misura degli arresti domiciliari ha fatto seguito la comunicazione del provvedimento di annullamento al Procuratore generale in sede, rilevandosi la necessità di dare i provvedimenti occorrenti, conseguenti al venire meno del titolo concessivo degli arresti domiciliari , in applicazione estensiva del disposto dell’art. 626 del codice di rito . 3.3 Un’ulteriore pronuncia di questa Sezione ha ribadito che nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona nella specie, stalking , è ammesso il ricorso per cassazione della persona offesa avverso l’ordinanza con cui si dispone la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva in atto, al fine di far valere la violazione del disposto di cui all’art. 299, comma 4-bis, cod. proc. pen. e la mancata declaratoria di inammissibilità dell’istanza di modifica cautelare di cui sia stata omessa la notifica Cass., Sez. V, n. 7404/2017 del 20/09/2016, D.P., Rv 269445 . In motivazione, si è osservato come la previsione della sanzione dell’inammissibilità comporti conseguentemente la possibilità di farla valere dalla parte nei cui confronti la sanzione è stata eminentemente apprestata e, pur tuttavia, il legislatore non ha inserito la nuova previsione nel sistema delle impugnazioni delle misure coercitive, improntato all’iniziativa del Pubblico Ministero, dell’imputato e del suo difensore. L’art. 299 cod. proc. pen. non prevede, infatti, un rimedio in favore della p.o. e, comunque, come detto, la possibilità della p.o. di interloquire nell’ambito del procedimento cautelare costituisce un novum che non trova pregresse specifiche previsioni normative . Analizzando poi i principi ricavabili dal precedente arresto di cui alla sentenza n. 35735/2015, la pronuncia da ultimo richiamata rileva - quale dato ostativo all’interpretazione suggerita in quella sede - il fatto che legittimati alla proposizione dell’impugnazione ex art. 310 cod. proc. pen. sono solo il P.M., l’imputato ed il suo difensore, e tale norma deve senz’altro ritenersi di stretta interpretazione , quindi non suscettibile di alcuna estensione analogica, in linea con il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, sancito dall’art. 568/1 cod. proc. pen. . Neppure può ritenersi applicabile estensivamente alla fattispecie in esame il rimedio del ricorso per saltum, previsto dall’art. 311/2 cod. proc. pen., atteso che - a prescindere dalla testuale previsione, anch’essa di stretta interpretazione, della esperibilità di tale rimedio da parte dell’imputato e del suo difensore - come condivisibilmente evidenziato dalla pronuncia citata, in ogni caso, il ricorso immediato, ai sensi della suddetta disposizione, è ammesso specificamente soltanto contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva . Nel contesto descritto si ritiene, dunque, che in mancanza di una specifica previsione la p.o., al fine di far valere la violazione del disposto dell’art. 299/4-bis cod. proc. pen., è legittimata ad esperire il rimedio del ricorso per cassazione sulla base della prescrizione di carattere generale di cui all’art. 111/7 Cost. - secondo cui contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso per cassazione - nonché della previsione di cui all’art. 568/2 cod. proc. pen., secondo cui sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale . 4. Il Collegio ritiene di giungere a conclusioni differenti, muovendo da alcuni presupposti che, pur nella lettura di norme di nuova introduzione e rispondenti a pregnanti esigenze di offrire tutela a soggetti che l’ordinamento impone di tenere in peculiare considerazione, non sembrano potersi porre in discussione. 4.1 Innanzi tutto, né l’art. 310 né l’art. 311 contemplano la persona offesa fra i soggetti legittimati a presentare, rispettivamente, appello o ricorso per cassazione in tema di provvedimenti de libertate e, conformemente a quanto segnalato nella motivazione della sentenza segnalata da ultimo, non può ritenersi che tali norme - peraltro disciplinanti specifici mezzi di impugnazione siano suscettibili di applicazione oltre i casi ivi tassativamente previsti . Analogamente, però, non può convenirsi con la lettura dell’art. 111 Cost. che la medesima pronuncia del 2016 di questa Sezione suggerisce vero è che contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale deve sempre ritenersi ammesso il ricorso per cassazione, ma non è revocabile in dubbio che la norma sia a sua volta anzi, ancor più di stretta interpretazione, nel senso di imporre che i soggetti legittimati all’impugnazione siano solo colui che soffre la limitazione della propria libertà ovvero il suo difensore e l’organo chiamato a tutelare le ragioni - pubbliche - sottese all’esigenza eccezionale di limitare la libertà altrui. Né può ritenersi che la generalizzata possibilità di esperire ricorso per cassazione, in casi come quello oggi in esame, sia ricavabile da norme disciplinanti altri istituti. Secondo la già richiamata sentenza n. 6864/2016, sarebbe agevole tener conto, a tal fine, della interpretazione costituzionalmente orientata formatasi sull’art. 409 cod. proc. pen. in tema di omessa notifica della richiesta di archiviazione alla persona offesa ove, appunto, la Corte Costituzionale ha riconosciuto a quest’ultima il diritto ad impugnare il decreto di archiviazione nell’ipotesi di omesso avviso, oltre i limiti della espressa previsione della norma al contrario, però - come la stessa decisione della Sesta Sezione segnala -, non può tralasciarsi il dato che con la sentenza n. 353/1991 la Corte Costituzionale ritenne che potesse ricavarsi dal sistema - che già riconosceva espressamente alla parte offesa, proponente opposizione, la legittimazione a ricorrere per cassazione contro l’ordinanza di archiviazione pronunciata dal Gip ad esito dell’udienza in camera di consiglio celebrata senza averle dato modo di parteciparvi - la sussistenza di un analogo rimedio nell’ipotesi, ben più grave, in cui la persona offesa fosse stata privata ancora a monte dell’avviso della richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero nonostante la sua espressa richiesta. Tanto che il giudice delle leggi evidenziò come quella raggiunta fosse la conclusione non solo più adeguata alla ratio dell’art. 409, comma 6, del codice di rito, ma anche la più conforme all’esigenza di disciplinare unitariamente l’istituto dell’archiviazione, senza implicazioni pregiudizievoli sul principio di tassatività dei mezzi di impugnazione. Ergo, in tanto è stato possibile alla Consulta introdurre un’ulteriore ipotesi di ricorso per cassazione a tutela delle ragioni della persona offesa in quanto, in materia di archiviazione, tale rimedio già esisteva financo per ipotesi in cui le ragioni del soggetto passivo dal reato potevano dirsi oggetto di minor compromissione , sì da poter pervenire ad una ragionevole disciplina d’insieme in altre parole, a fronte della pacifica e già contemplata impugnabilità di un’ordinanza emessa senza il rispetto delle forme di cui all’art. 127 cod. proc. pen., con le garanzie di un contraddittorio di ben altra estensione, la Corte Costituzionale ha avuto agio di intervenire con la soluzione descritta. Il che non è a dirsi - e non pare possibile - nel caso oggi in esame, dove rimedi siffatti non si rinvengono in alcuna disposizione normativa tanto da aver portato questa Corte ad affermare, in via generale, che il ricorso per cassazione presentato da persona offesa che non sia costituita parte civile va dichiarato inammissibile perché proposto da non avente diritto, non essendovi alcuna previsione normativa che legittima tale impugnazione Cass., Sez. VII, n. 48896 del 15/11/2012, Bossi, Rv 253927, nonché Cass., Sez. V, n. 17802 del 14/03/2017, M., Rv 269714 . 4.2 Non rimane, pertanto, che ricorrere all’unico istituto idoneo a consentire, da un lato, effettività al diritto attribuito alla persona offesa, e dall’altro il rispetto delle regole generali poste a presidio delle - comunque non recessive, ove poste in relazione al diritto medesimo - garanzie di tutela della libertà personale, non soggetta a limitazioni se non su iniziativa del Pubblico Ministero vale a dire la norma di cui all’art. 572 cod. proc. pen., che identifica appunto nel P.M. l’organo istituzionalmente preposto a mediare le richieste di impugnazione della parte offesa, in tutti i casi in cui la legge non attribuisce a quest’ultima un potere di impugnazione diretta. La persona offesa, odierna ricorrente, avrebbe perciò dovuto sollecitare il P.M. ad impugnare l’ordinanza in epigrafe soggetta ad appello ex art. 310 cod. proc. pen., con successiva ricorribilità per cassazione del provvedimento del Tribunale adito . Impugnazione che - al di là della constatazione empirica che vede un appello del Procuratore della Repubblica, nella fattispecie concreta, effettivamente presentato e financo accolto - sarebbe stata strumentale a far valere la violazione del diritto della G. a ricevere la notifica della richiesta di revoca o sostituzione della misura, e conseguentemente a rilevare l’inammissibilità della richiesta ed il vizio incidente sulla successiva ordinanza ma al contempo, per espressa previsione del citato art. 572, avrebbe avuto valore ad ogni effetto penale, ivi compreso il necessario ripristino, alle condizioni di legge, della misura revocata o sostituita come effettivamente accaduto . 5. Il ricorso, come già accennato, è stato financo oggetto di rinuncia, il che costituisce una ulteriore ragione di inammissibilità comunque originaria e non solo sopravvenuta, il che comporta la condanna della G. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità . Considerando, in ogni caso, che le ragioni della ritenuta inammissibilità dell’impugnazione - a prescindere dalla successiva rinuncia - derivano da un’analisi dell’elaborazione giurisprudenziale su istituti di nuova introduzione, elaborazione dove si sono registrate anche pronunce in linea con la tesi della legittimazione della ricorrente, il Collegio ritiene non esservi i presupposti per la condanna di quest’ultima a sanzioni pecuniarie. Stante la peculiare natura dei reati oggetto del procedimento, si impone infine - ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 - l’omissione, in caso di diffusione della presente sentenza, dell’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.