Condannabile per minaccia anche se la vittima non mostra paura

Rimessa in discussione l’assoluzione di due donne. Irrilevante il fatto che la persona destinataria della intimidazione abbia reagito in modo coraggioso, dicendo a chiare lettere Non mi fate paura”.

Non mi fate paura!”. Reazione coraggiosa a fronte delle minacce subite. Questo comportamento, però, non può ritorcersi contro la vittima e favorire, paradossalmente, i responsabili dei comportamenti e delle parole intimidatorie. Cancellata perciò in Cassazione l’assoluzione pronunciata dal Giudice di Pace e poggiata proprio sulla mancanza di paura manifestata dalla persona presa di mira Cassazione, sentenza n. 5454, sez. V Penale, depositata oggi . Situazione di pericolo. Nessun dubbio sul reato in discussione minaccia . Sotto accusa due donne, che, però, vengono ritenute dal Giudice di Pace non colpevoli. La decisione viene spiegata con una semplice constatazione la persona destinataria delle minacce ha dichiarato in dibattimento di avere detto Non mi fate paura” alle due imputate , subito dopo l’intimidazione subita. La lettura di questo dato viene duramente contestata dalla Procura, che vede le proprie obiezioni condivise dai giudici della Cassazione. Consequenziale la decisione pronunciata al Palazzaccio, decisione con cui si cancella l’assoluzione stabilita dal Giudice di Pace, chiedendo un nuovo processo. Necessario, quindi, riesaminare la vicenda, tenendo però presente, spiegano i Magistrati della Cassazione, che per parlare di reato di minaccia è sufficiente la mera esposizione al pericolo del bene giuridico, senza che si verifichi l’effettiva lesione del bene . Di conseguenza, è sufficiente che il male prospettato possa incutere timore in un ipotetico destinatario, identificato con l’uomo comune, anche quando, come in questo caso, la persona minacciata abbia chiaramente detto di non avvertire alcuna paura.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 gennaio – 6 febbraio 2018, n. 5454 Presidente Sabeone – Relatore Amatore Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata il Giudice di Pace di Eboli ha assolto i predetti imputati, in relazione al reato di cui all'art. 594 cod. pen., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e, in relazione al reato di cui all'art. 612 cod. pen., perché il fatto non sussiste. Avverso la predetta sentenza ricorre il P.G. presso la Corte di Appello di Salerno, affidando la sua impugnativa a due motivi di doglianza. 1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, violazione della legge penale in riferimento all'art. 612 cod. pen Osserva il P.G. ricorrente che il reato di minaccia è reato di pericolo per la cui integrazione è sufficiente la mera esposizione a pericolo del bene giuridico, senza che si verifichi la effettiva lesione del bene. Occorre, cioè, che il male prospettato possa incutere timore nel destinatario, secondo un criterio di medianità riecheggiante le reazioni della donna e dell'uomo comune e la lesione della sfera di libertà morale. Si evidenzia che la sentenza impugnata non aveva applicato il criterio da ultimo citato, assolvendo gli imputati per il solo fatto che la persona offesa aveva dichiarato che la minaccia proferita non la aveva intimorita. 1.2 Con un secondo motivo si declina vizio argomentativo sul medesimo punto dedotto nella prima doglianza, evidenziando, peraltro, che la stessa giurisprudenza richiamata nella sentenza impugnata portava a concludere nel senso opposto alla declaratoria di assoluzione per il reato di cui all'art. 612 cod. pen Considerato in diritto 2. Il ricorso è fondato già quanto al primo motivo il cui accoglimento assorbe peraltro l'esame del secondo motivo di censura. 2.1 Occorre ricordare come la giurisprudenza di questa Corte abbia sempre con voce unanime affermato che nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l'indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente cfr. anche Sez. 5, n. 31693 del 07/06/2001 - dep. 24/08/2001, Tretter, Rv. 21985101 Sez. 5, Sentenza n. 21601 del 12/05/2010 dep. 07/06/2010 Rv. 247762 Dunque, può affermarsi con sicurezza che costituisce principio consolidato quello secondo cui ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 612 cod. pen. - che ha natura di reato di pericolo - è necessario che la minaccia - da valutarsi con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto - sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, ancorché il turbamento psichico non si verifichi in concreto così, Sez. 5, Sentenza n. 644 del 06/11/2013 Ud. dep. 10/01/2014 Rv. 257951 cfr. anche, nello stesso, senso Sez. 5, Sentenza n. 45502 del 22/04/2014 Ud. dep. 04/11/2014 Rv. 261678 . Ne consegue, come precipitato logico del principio qui riaffermato, che ai fini dell'integrazione del reato di minaccia, non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo richiesto che la condotta posta in essere dall'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo così, Sez. 1, Sentenza n. 44128 del 03/05/2016 Ud. dep. 18/10/2016 Rv. 268289 . Tutto ciò premesso, risulta evidente come nel caso di specie la motivazione della sentenza impugnata si sia discostata dai consolidati principi affermati da questa Corte in tema di esegesi del disposto normativo di cui all'art. 612 cod. pen., così incorrendo nella lamentata violazione di legge. Ed invero, la declaratoria liberatoria qui impugnata si fonda sulla riferita circostanza che la persona offesa, escussa in dibattimento, aveva affermato che, dopo la minaccia, aveva detto agli imputati non mi fate paura . Orbene, risulta evidente come l'affermazione - sulla cui base si è statuita l'assoluzione degli imputati - non tenga conto, come correttamente denunziato dal P.G. ricorrente, che il reato di minaccia è reato di pericolo per la cui integrazione è sufficiente la mera esposizione a pericolo del bene giuridico, senza che si verifichi la effettiva lesione del bene occorre, cioè, che il male prospettato possa incutere timore nel destinatario, secondo un criterio di medianità riecheggiante le reazioni della donna e dell'uomo comune con la conseguente lesione della sfera di libertà morale. Si impone pertanto l'annullamento della sentenza impugnata affinché il giudice del rinvio riesamini la vicenda secondo i principi di diritto sopra ricordati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Giudice di pace di Eboli.