Ragioni di legittimità della limitazione di corrispondenza tra detenuti sottoposti a regime speciale

Viola il principio di libertà e segretezza della corrispondenza, garantito dalla Carta Costituzionale, il provvedimento di limitazione della corrispondenza tra detenuti sottoposti al regime speciale previsto dalla legge di ordinamento penitenziario disposto in situazioni di emergenza?

In applicazione del principio contenuto nella disposizione volta a tutelare le situazioni di emergenza della legge di ordinamento penitenziario, può trovare applicazione lo speciale regime di limitazione della corrispondenza tra detenuti, senza che i provvedimenti in cui esso trova applicazione, violino il diritto di libertà e segretezza della corrispondenza garantito dalla Costituzione e dalla Cedu. Il principio che tutela la libertà e segretezza della corrispondenza contenuto nella Carta Costituzionale, ha caratteristiche di elasticità, se posto in relazione alle situazioni concrete nei confronti delle quali esso trova applicazione. Vi sono infatti ragioni di sicurezza e di tutela dell’ordine pubblico, che ne giustificano la limitazione nei confronti di soggetti che si trovano sottoposti al regime di detenzione speciale previsto dalla legge di ordinamento penitenziario, senza che questo costituisca violazione del precetto Costituzionale relativo alla libertà e segretezza della corrispondenza. Questo è quanto statuito dalla Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 5324/18 depositata in cancelleria il 5 febbraio. La fattispecie. La vicenda processuale oggetto della decisione in commento, è costituita dal provvedimento del GIP, nel quale, su richiesta dell’amministrazione penitenziaria, si limitava per il periodo di mesi 6 la corrispondenza di un detenuto. Tale provvedimento era poi oggetto di reclamo, nel quale il destinatario principalmente ne lamentava al Tribunale il carente profilo motivazionale, in quanto nel decreto che ne disponeva l’applicazione, il GIP si sarebbe limitato a richiamare le ragioni che erano state poste a fondamento della sua richiesta dall’amministrazione penitenziaria. Il provvedimento veniva confermato dal Tribunale, che condividendone i contenuti, provvedeva ad integrarne i profili motivazionali, con considerazioni di ampliamento ed approfondimento delle ragioni già contenute nel provvedimento oggetto di reclamo. Avverso tale decisione veniva proposto ricorso ai Giudici del Supremo Collegio. Motivazione del provvedimento di limitazione della corrispondenza. Il provvedimento con il quale il Giudice dispone il regime limitativo della libertà di corrispondenza per ragioni di ordine interno dell’istituto penitenziario, ovvero per esigenze inerenti le indagini o investigative, può essere motivato anche facendo ricorso alla tecnica della motivazione per relationem , ovvero richiamandosi a quella che era la motivazione esplicitata dall’amministrazione penitenziaria nella richiesta di emissione, purché i riferimenti giustificativi del decreto abbiano un contenuto riferibile al caso oggetto della richiesta, e siano chiarificatori del pensiero del Giudice. Tali riferimenti concreti ben possono essere basati su elementi presuntivi, purché questi abbiano contenuto preciso in relazione al pericolo che la corrispondenza possa contenere elementi contrastanti con le esigenze di prevenzione poste a ragione della limitazione. Integrazione della motivazione da parte del Tribunale in sede di reclamo. E’ da rilevare che il Tribunale in sede di riesame del decreto, pone in essere un giudizio che ha la funzione, se condiviso sotto il profilo motivazionale, anche di integrazione del provvedimento reso dal primo giudice, con la possibilità di specificazione degli elementi giustificativi del provvedimento. Tale possibilità è subordinata al fatto che già il provvedimento del primo Giudice, anche se reso per relationem, contenga in se quelli che sono gli elementi giustificativi richiesti dall’ordinamento per la limitazione della libertà di corrispondenza tra detenuti, ovvero il pericolo che gli stessi possano comunicare tra loro, in modo da suscitare un elevato allarme sociale. Proprio la possibilità di limitazione della corrispondenza per ragioni di sicurezza dell’ordine pubblico e interna dell’istituto, che è posta dalla disposizione di legge speciale contenuta nell’ordinamento penitenziario, fa si che si possa ritenere il contenuto di tale provvedimento giustificato, anche se raffrontato al precetto costituzionale che sancisce la segretezza e la libertà della corrispondenza. Tale limitazione, a garanzia della sua imparzialità e giustizia, va poi disposta attraverso un procedimento giurisdizionale, che deve contenere adeguata motivazione del provvedimento, e di come la sua mancata attuazione, potrebbe dar luogo alla diffusione tra detenuti che ancora conservano un legame con le organizzazioni di appartenenza, di notizie o informazioni suscettibili di creare situazioni in contrasto con gli interessi protetti dalla norma che rende lecite le limitazioni della corrispondenza in casi speciali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 settembre 2017 – 5 febbraio 2018, n. 5324 Presidente Di Tommasi – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, reso il 18 ottobre 2016, il Tribunale di Messina ha rigettato il reclamo proposto, ex art. 18-ter Ord. pen., da R.G. , detenuto nella Casa circondariale di L’Aquila sottoposto al regime ex art. 41-bis Ord. pen., avverso il decreto emesso dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale in data 21 aprile 2016, avente ad oggetto la limitazione, per la durata di mesi sei, della corrispondenza epistolare tra detenuti sottoposti al suddetto regime, compreso il R. , nel senso del divieto di inoltro di tale corrispondenza, fatti salvi i rapporti epistolari tra stretti congiunti. 2. Avverso l’ordinanza ha interposto ricorso il difensore del R. chiedendone l’annullamento e prospettando a sostegno un unico motivo con cui lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 15, 24 e 111, sesto comma, Cost., 18-ter legge n. 354 del 1975, 125 cod. proc. pen. e 8 CEDU. Il provvedimento di limitazione della corrispondenza emesso dal G.i.p. del Tribunale di Messina era del tutto privo di autonoma motivazione, in quanto l’integrale richiamo della richiesta dell’Amministrazione penitenziaria aveva finito per affidare la limitazione di una libertà fondamentale all’Amministrazione stessa, laddove la limitazione della corrispondenza dei detenuti esigeva l’emissione di un decreto motivato. Sotto altro aspetto, il Tribunale, decidendo sul reclamo, non poteva surrogare in toto la motivazione mancante, al pari di quanto si era stabilito per le decisioni del Tribunale del riesame. Infine, il modo di ragionare posto a base dell’ordinanza aveva evidenziato soltanto circostanze di carattere generale ed astratto, non elementi che riguardassero il R. , il cui nominativo non era stato nemmeno menzionato nel corpo della richiesta, mentre i provvedimenti limitativi previsti dall’art. 18 ter cit. avrebbero dovuto riguardare singoli detenuti, in tal senso venendo lese anche le garanzie fissate dall’art. 8 CEDU per la vita privata e familiare dell’individuo. 3. Il Procuratore generale ha prospettato la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione in quanto, per un verso, la natura impugnatoria del reclamo aveva fatto sì che il Tribunale, nell’ordinanza resa, avesse integrato le eventuali carenze emerse all’esito della prima fase e, per altro verso, era emersa la ragione per la quale la limitazione era stata stabilita ossia, scongiurare il pericolo che la libera circolazione della corrispondenza tra detenuti soggetti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen. determinasse una condizione di elevato allarme sociale. 4. Con memoria del 15 maggio 2017 il difensore del R. ha ribadito le doglianze già sollevate sottolineando la tutela costituzionale art. 15 Cost. e convenzionale art. 8 CEDU garantita alla libertà di corrispondenza, con la riserva di legge posta a sua tutela, ed evidenziando che il mero richiamo alla richiesta del D.A.P. posto dal G.i.p. alla base del primo provvedimento ne aveva determinato l’assenza grafica di motivazione effettiva per ciò solo il Tribunale avrebbe dovuto dichiararne la nullità, non potendo il giudice del reclamo integrare una motivazione che si era configurata come apparente od inesistente. In ogni caso, anche la motivazione fornita dal Tribunale non aveva evidenziato nessuna specifica esigenza riconducibile alle ipotesi stabilite dall’art. 18-ter cit. e riferibile al R. , sicché il provvedimento assunto finiva, in ogni caso, per rispondere ad esigenze general-preventive che competeva la legislatore, non all’autorità penitenziaria ed all’autorità giudiziaria di assolvere. Considerato in diritto 1. Il ricorso si profila privo di fondamento in ordine all’unica, articolata censura proposta. 2. La motivazione resa dal Tribunale espone un quadro di elementi che, rendendo congrua giustificazione del provvedimento assunto in relazione all’applicazione dell’art. 18-ter legge n. 354 del 1975, resiste alla censura formulata dal R. . Invero richiamato il contenuto del decreto reclamato, reso per relationem nella richiesta ministeriale, ed esaminate la doglianze svolte dal reclamante, il quale aveva segnalato l’eccedenza dell’oggetto del provvedimento rispetto alle finalità perseguite dall’art. 41-bis Ord. pen. e la carenza di motivazione il Tribunale di Messina ha rilevato che la ragione della limitazione era stata resa chiara dal coordinamento della richiesta e, quindi, del provvedimento con l’espresso divieto posto dal legislatore con la legge n. 94 del 2009 di contatto fra soggetti inseriti in diversi gruppi di socialità del medesimo istituto penitenziario, disciplina a cui non poteva non accedere l’esigenza di evitare il contatto fra i detenuti connotati da pari pericolosità ed ospitati in diverse carceri. Il giudice ha segnalato che, diversamente opinando, si sarebbe giunti a consentire le comunicazioni, con effetti per la sfera del R. , anche fra detenuti posti in posizioni di vertice dal punto di vista criminale, così determinando una situazione di elevato allarme sociale a cui la disciplina dell’art. 18-ter cit. aveva inteso porre argine per questa ragione non si era determinata alcuna lesione del precetto di cui all’art. 15 Cost. 3. La motivazione resa dal provvedimento del Tribunale si profila sufficiente ed immune da vizi logici. L’art. 18-ter Ord. pen. stabilisce le esigenze attinenti alle indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto che legittimano la disposizione da parte dell’autorità giudiziaria delle limitazioni e dei controlli, per periodi prefissati, alla corrispondenza. A tale norma va coordinata quella di cui all’art. 41-bis, comma 2, Ord. pen., che nel disciplinare le limitazioni a cui può essere sottoposto il detenuto prevede espressamente, al comma 2-quater, lett. e , la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza tranne quella con i membri del Parlamento e con Autorità Europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia ciò, per il perseguimento di esigenze di ordine o di sicurezza pubblica e per impedire i collegamenti del detenuto con l’organizzazione criminale esterna, a cui deve ritenersi lo stesso faccia ancora riferimento. Non si dubita che la libertà e la segretezza della corrispondenza costituiscano, anche nel corso della detenzione, manifestazione di diritti inviolabili che possono essere limitati, ai sensi dell’art. 15 Cost., soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge, secondo la riserva di legge rinforzata dalla garanzia giurisdizionale, sicché le esigenze attinenti alle indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero le ragioni di sicurezza e di ordine dell’istituto, idonee a legittimare le limitazioni e i controlli della corrispondenza della persona sottoposta ad indagini o imputata ovvero del condannato devono essere oggetto di provvedimenti rispondenti ai canoni sanciti dall’art. 15 Cost Assodata, a seguito delle garanzie e dei limiti introdotti dalla legge n. 95 del 2004 sulla cui rilevanza v. la motivazione di Corte cost, sent. n. 122 del 2017, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettere a e c , della legge n. 354 del 1975, sollevate, in riferimento agli artt. 15, 21, 33, 34 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 8 CEDU , la tenuta costituzionale e convenzionale della disciplina di cui all’art. 18-ter cit. norma rispetto alla costituzionalità di alcuni suoi profili, in relazione agli artt. 3, 15, 24, 112 e 117 Cost. quest’ultimo per l’interposizione con gli artt. 8 e 13 CEDU, cfr. anche Sez. 1, n. 47748 del 05/12/2011, Lo Piccolo, Rv. 252188 , il provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria deve essere quindi motivato, non sulla scorta di un mero sospetto della sussistenza dei presupposti previsti dalla norma, bensì sulla base di elementi concreti. Tuttavia, l’accertamento di questi elementi può essere compiuto anche mediante l’impiego di argomentazioni presuntive che inducano ragionevolmente a ritenere che il contenuto effettivo della missiva o delle missive sia tale da far concretamente paventare la trasmissione da parte del detenuto o verso il detenuto sottoposto a regime differenziato messaggi contrastanti con le esigenze indicate dalla norma. cfr. Sez. 1, n. 9689 del 12/02/2014, Virga, Rv. 259472 . In ogni caso, la motivazione, pur potendosi esplicare in forma sintetica, va comunque resa in guisa da dar conto in modo comprensibile del pensiero del giudice e non può svuotarsi fino ad una assoluta genericità dei contenuti Sez. 1, n. 16744 del 14/03/2013, Di Trapani, Rv. 257013 . 3.1. Posta questa premessa, in ordine alla lamentata nullità del provvedimento emesso in prima fase dal G.i.p. ed alla non emendabilità dello stesso da parte di quello reso dal Tribunale in sede di reclamo, occorre rilevare che, in primo luogo, il decreto appare essere stato reso con la tecnica della motivazione per relationem, ossia con esplicito e completo riferimento alla richiesta dal D.A.P. in data 19 aprile 2016, il cui contenuto esplica, in modo chiaro ed esaustivo, oltre che l’oggetto della chiesta limitazione della corrispondenza riguardante R.G. , anche le ragioni della limitazione stessa. Inoltre, si deve rilevare che il Tribunale, nell’ordinanza emessa a seguito del reclamo, non condividendo il merito dell’impugnazione, ha estrinsecato le ragioni che giustificano la limitazione temporanea assunta, così integrando, per quanto di rilievo, il discorso giustificativo esposto dal primo giudice e facendo, per ciò solo, venir meno la rilevanza di ogni questione inerente alla motivazione del decreto. Invero, lo strumento impugnatorio attribuito al detenuto dall’art. 18-ter, in relazione all’art. 14-ter, Ord. pen. per contrastare l’originario decreto motivato introduce una fase di natura rescissoria, non rescindente, che comporta il potere dovere del giudice di secondo grado, anche in ipotesi di difetto di motivazione del primo provvedimento, di decidere sanando i difetti e le mancanze del decreto ciò, perché la carenza di motivazione di quel provvedimento non integra un caso di nullità del giudizio che sia espressamente sancito dall’ordinamento cfr. analogamente, in tema di reclamo ex art. 35-ter Ord. pen., Sez. 1, n. 35120 del 05/06/2017, Confl. comp. in proc. Verardi, Rv. 270999, e, in tema di reclamo avverso provvedimento di liberazione anticipata, Sez. 1, n. 23934 del 17/05/2013, Confl. comp. in proc. Nardi, Rv. 256142 arg., fra le altre, ex Sez. 2, n. 19246 del 30/03/2017, Spera, Rv. 270070, con riferimento al diverso giudizio di appello ed n relazione al disposto di cui all’art. 604 cod. proc. pen. . 3.2. Quanto, poi, al contenuto della disposta limitazione, la puntualizzazione esplicitata nel provvedimento reso dal Tribunale, circa il senso ed i confini dell’oggetto del provvedimento, consente di cogliere il nesso fra le connotazioni della specifica posizione del R. , detenuto sottoposto a regime differenziato ex art. 41-bis Ord. pen., ed il perseguimento dell’obiettivo di evitare per periodo di sei mesi i contatti in via epistolare fra il detenuto e gli altri detenuti collocati ai vertici delle organizzazioni criminali, a loro volta assoggettati per la loro pericolosità al regime di cui all’art. 41-bis cit. Fra i precetti stabiliti dalla norma ora indicata per assicurare la tutela delle esigenze di ordine e sicurezza pubblica poste alla base del provvedimento di sospensione delle regole di trattamento detentivo ordinario risulta rilevante, con riferimento al caso in esame, quello che impone l’adozione di tutte le misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata l’assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, all’interno dello stesso istituto comma 2-quater, lett. f . Lo scopo pratico della disposizione è quello di impedire i contatti fra detenuti che, proprio per essere tutti sottoposti a regime differenziato, se non appartengono al medesimo gruppo di socialità, non devono potersi relazionare perché le loro interlocuzioni sarebbero, per sé, concretamente idonee a mettere in pericolo le esigenze di ordine e sicurezza che presiedono all’istituzione del medesimo regime. Questo obiettivo di tutela non può, all’occorrenza, non essere garantito anche per quanto concerne la detenzione dei soggetti sottoposti a regime differenziato ma situati non in diverso gruppo di socialità dello stesso carcere, bensì in diverso luogo di custodia carceraria quando, per le connotazioni della loro posizione quali, fra le altre, l’appartenenza ad organizzazioni criminali omologhe ed il ruolo rivestito in esse , i contatti fra loro sarebbero tali da porre in pericolo le superiori esigenze suindicate. Orbene, con riferimento alla posizione del R. , il provvedimento impugnato ha dato conto delle ragioni riferite anche al ruolo di vertice rivestito nelle organizzazioni criminali dei soggetti che dovrebbero relazionarsi per via epistolare per le quali la limitazione per la durata di sei mesi della sua corrispondenza con gli altri detenuti pure sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen. esclusi i rapporti epistolari con gli stretti familiari è necessaria evitare la libera circolazione di notizie ed informazioni tra soggetti dotati di pericolosità notevole, tale da far concretamente paventare la trasmissione da parte del detenuto o verso il detenuto di messaggi contrastanti con le esigenze indicate dalla norma e, dunque, idonei a generare il conseguente allarme che le comunicazioni veicolate vengano messe a frutto in funzione criminale da soggetti che ancora conservano un’alta capacità delinquenziale. Anche sotto questo profilo, dunque, l’ordinanza appare sufficientemente motivata e rispettosa dei vincoli stabiliti dall’art. 18-ter legge n. 354 del 1975. 4. Tale approdo determina l’infondatezza dell’impugnazione e, quindi, il suo rigetto, cui consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.