La condotta dell’automobilista che ostruisce la strada è violenza privata

Ricostruito l’assurdo episodio, i Giudici ritengono evidente la colpevolezza dell’uomo che per ripicca ha occupato la strada, così impedendo all’altra vettura di poter ripartire. Da valutare solo l’ipotesi della tenuità del fatto”.

Discussione accesa tra due automobilisti. Alle parole non seguono i fatti, per fortuna, ma uno dei contendenti decide di lasciare lì la vettura per qualche minuto e ‘bloccare’ così l’avversario, impedendogli di ripartire col proprio veicolo. La sadica soddisfazione può costargli però una condanna per violenza privata” Cassazione, sentenza n. 5358/18, sez. V Penale, depositata oggi . L’ostruzione della strada è violenza privata. Ricostruito facilmente l’episodio, si accerta che il diverbio tra i due automobilisti è nato, ovviamente, per motivi attinenti alla circolazione stradale . Sorprendente e assurda è la reazione di uno dei due contendenti, il quale per ripicca blocca la vettura per quasi una decina di minuti, così da impedire all’altro automobilista di ripartire col proprio veicolo. Così, dalla strada si passa alle aule di giustizia, dove la persona che per ripicca ha bloccato l’altro conducente viene condannata, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, per violenza privata . Decisivi i dettagli i Giudici spiegano che l’uomo ha impedito all’altro automobilista di riprendere la marcia, lasciando che il proprio veicolo ostruisse la strada per un apprezzabile lasso di tempo . Questa visione viene condivisa dai Magistrati della Cassazione. Anche a loro parere, difatti, il fatto stesso di impedire ad altri automobilisti di transitare sulla strada pubblica o di riprendere la marcia è sufficiente per parlare di violenza privata . Peraltro, in questo caso l’assurda condotta è proseguita per un apprezzabile lasso di tempo, circa sette - otto minuti , osservano i Giudici. Prima di arrivare alla condanna definitiva, però, resta un nodo da sciogliere l’applicabilità dell’articolo 131- bis c.p Su questo punto i Giudici della Corte d’Appello dovranno valutare la richiesta del legale dell’automobilista ritenuto responsabile di violenza privata , richiesta finalizzata ad ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 gennaio – 5 febbraio 2018, n. 5358 Presidente Palla – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Camerino, con sentenza confermata in appello, ha condannato Co. Lu. per violenza privata e minaccia in danno di Do. En Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito l'imputato, venuto a diverbio con Do. per motivi attinenti alla circolazione stradale, impedì a quest'ultimo di riprendere la marcia, lasciando che il proprio veicolo ostruisse la strada per un apprezzabile lasso di tempo, e lo minacciò di un male ingiusto. 2. Contro la sentenza della Corte d'appello di Ancona ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato lamentando a una mancanza di motivazione in ordine agli elementi oggettivo e soggettivo della violenza privata. Dalla pronuncia impugnata - deduce - non si rinvengono le ragioni per cui si sarebbe realizzata l'ostruzione della sede stradale né l'intenzionalità dell'ostruzione, protrattasi solo per il tempo del diverbio insorto tra i due automobilisti b la violazione dell'art. 612 cod. pen. e un vizio di motivazione con riguardo alla prova della responsabilità, per essere stata attribuita valenza delittuosa ad un'espressione innocua, pronunciata senza intenzionalità minatoria c una mancanza di motivazione in ordine alla richiesta applicazione dell'art. 131/bis cod. pen 3. Con memoria depositata nella Cancelleria di questa Corte in data 2 marzo 2017 la persona offesa, costituita parte civile, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, per la gravità della condotta dell'imputato, per la pluralità delle condotte a lui attribuite e per l'inammissibilità degli altri motivi di ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è fondato limitatamente all'ultimo motivo. 1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione. Pertanto, anche la condotta di chi ostruisca volontariamente la sede stradale per impedire ad altri di manovrare nella stessa realizza l'elemento materiale del reato in questione. Non v'è dubbio, pertanto, che tale realizzazione si sia avuta nel caso di specie, posto che - a quanto si legge in sentenza -Co. impedì a Do. di riprendere la marcia, dopo l'alterco avuto con lui, e che ciò fece per un apprezzabile lasso di tempo sette-otto minuti, secondo il teste Na. . Sul punto, le deduzioni difensive sono irricevibili, posto che si sostanziano in una diversa e soggettiva lettura delle risultanze istruttorie, a cui questa Corte non può aderire per i noti limiti del giudizio di legittimità. Sotto il profilo soggettivo, ai fini della configurazione del reato di violenza privata è sufficiente la coscienza e volontà di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare il dolo è, pertanto, generico. Ne consegue che il fatto stesso di impedire ad altri automobilisti di transitare sulla strada pubblica, o di riprendere la marcia, integra l'elemento soggettivo del reato in questione. Nella specie, è la ricostruzione stessa dell'occorso, come operata dai giudici di merito, che dà conto della sussistenza del dolo, dal momento che tutta la sentenza è imperniata sulla volontariatà dell'impedimento, frapposto dall'imputato, alla prosecuzione della marcia da parte di Do 2. Ugualmente infondato è il motivo relativo alla minaccia. Secondo ogni logica e per comune esperienza le parole pronunciate dall'imputato all'indirizzo di Do. tanto sta faccenda non finisce qui, t'aspetto quando finisci de lavora, cuscì te la faccio vedé io, te faccio na faccia come un tamburo avevano valenza minatoria, posto che contenevano la rappresentazione di un male, la cui verificazione dipendeva dalla volontà dell'agente. Sotto il profilo soggettivo, il dolo è dato dalla coscienza e volontà della condotta, accompagnata dalla consapevolezza di turbare l'altrui tranquillità, senza che abbiano rilievo le motivazioni dell'agire. Il fatto che l'imputato ebbe ad esprimersi nel modo anzidetto solo per rabbia e stizza non elide, quindi, l'antigiuridicità della condotta, né esclude il dolo. Nulla doveva dire, pertanto, il giudice d'appello in ordine alla sussistenza di tale elemento della fattispecie, anch'esso insito nella ricostruzione della vicenda operata da entrambi i giudicanti. 3. E' vero, invece, che la Corte d'appello, investita della richiesta di una pronuncia di proscioglimento ex art. 131/bis cod. pen. vedi verbale di udienza del 9/6/2015 , ha omesso ogni pronuncia al riguardo. Tale omissione è idonea a determinare l'annullamento della sentenza impugnata, posto che la motivazione risulta completamente omessa su un punto specifico di doglianza, che meritava un approfondimento ex professo. Non è condivisibile, infatti, la tesi della parte civile, secondo cui la continuazione nel reato a Co. sono contestate la violenza privata e la minaccia esclude l'applicabilità dell'art. 131/bis cod. pen Tale tesi, infatti, sebbene trovi sponda nella giurisprudenza di questa Corte, non può essere seguita nella sua assolutezza, perché il reato continuato addebitato a Co. è, nella specie, sostanzialmente unico, essendo composto di fattispecie poste in essere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della medesima persona, sicché è rivelatore di una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa, incompatibile con l'abitualità presa in considerazione - in negativo - dall'art. 131/bis cod. pen. in questo senso si è, in fatti, già espressa questa sezione, con sentenza n. 35590 del 31/5/2017 . Quanto alla dedotta inammissibilità degli ulteriori motivi di ricorso, essa non è certamente di ostacolo all'accoglimento della doglianza qui presa in considerazione, trattandosi di un punto autonomo della decisione, fondatamente aggredito - per il motivo anzidetto - dal ricorrente. Del tutto inconferente è la giurisprudenza citata dalla parte civile, giacché la stessa si riferisce a ipotesi in cui il giudizio di merito si era concluso prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 16/3/2015, n. 28 - che ha introdotto nell'ordinamento la particolare tenuità del fatto - e a casi, quindi, in cui la non punibilità era stata dedotta per la prima volta in Cassazione, e non già all'ipotesi - ricorrente nella specie - in cui la questione era stata posta al giudice d'appello e questi abbia omesso di motivare sul punto. In tale evenienza, infatti, il vizio di motivazione, certamente sussistente, impedisce di dichiarare il ricorso inammissibile. Gli atti vanno rimessi allo stesso giudice penale, atteso che i due rinvii di udienza, richiesti a questa Corte in data 17/3/2017 e 6/7/2017, ex d.l. 189 del 2006 per complessivi mesi nove e giorni 15 hanno spostato il termine prescrizionale al 13 maggio 2018. Il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese di questa fase di giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla omessa statuizione sulla richiesta di applicazione dell'art. 131/bis cod. pen. con rinvia per nuovo esame alla Corte d'appello di Perugia rigetta, nel resto, il ricorso.